17; Non sudare

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C'è un posto, in questa chiesa, dove mi piace starmene a cerimonie finite.
È una colonna del pulpito, un pulpito talmente basso che quando mi ci piazzo sotto sfioro il soffitto con la testa.
Mi piace perché il fresco della colonna mi copre di brividi, e perché a fine cerimonia tutto il chiasso che prima era dentro, si sposta fuori e diventa un chiacchiericcio lontano e sfocato.
Sfioro con le dita il marmo freddo e rabbrividisco di nuovo. Il vestito color lavanda, da damigella, mi lascia scoperta la schiena.
Alessia, la fidanzata di Dionisio, ha insistito ad avere me, Azzurra e Melissa come damigelle d'onore e noi non potevamo che accettare.
Così mi ritrovo attaccata a questa colonna, con un vestito lunghissimo e bellissimo che mi fa sentire a disagio.
«Margherita Martinelli.» sorrido, alzando gli occhi al cielo ed interrompendo il momento filosofico in cui mi ero immersa.
«Dionisio.» rispondo, improvvisando un inchino.
Mi prende per mano e mi fa fare una giravolta su me stessa, tirandomi fuori dal mio piccolo nascondiglio.
«Sempre bellissima.» mi bacia una guancia e mi concedo di stringergli il busto in un abbraccio.
Lui ed Azzurra si somigliano molto, se non fosse per gli occhi: quelli di Dionisio sono verde bosco, mentre quelli della sorella di un cioccolato penetrante.
Mi bacia la testa ed io inspiro a pieni polmoni il suo profumo, stranamente dolce.
«Tu ed Alessia siete bellissimi, sono davvero felice per voi.» con il braccio ancorato alla sua schiena, mi faccio trascinare fino all'uscita della chiesa. Sono tutti felici, come è giusto che sia.
«Lo so dolcezza, ti ho vista piangere prima.» ridacchia, e mi da un buffetto sulla guancia.
In risposta lo colpisco sulla spalla, ed iniziamo una piccola lite manesca che viene immediatamente ripresa dal fotografo. Quando finalmente Dionisio mi lascia in pace, faccio una linguaccia all'obiettivo e mi sento stringere le spalle da dietro.
«Non avrei dovuto trascinarti a questo matrimonio, non ci sarò per tutto il giorno.» borbotto, alzando la testa verso quella di Marco, che nel frattempo mi guarda dall'alto.
«Macché, mi sto divertendo tantissimo, i tuoi fratelli sono davvero molto simpatici.» i suoi occhi verdi brillano ancor di più, non so dire se per il sole accecante che ci sta scaldando oppure se è davvero contento. Gli lascio un bacio sulla guancia e lui raggiunge di nuovo i miei fratelli, che nell'abito buono sono più belli del solito.
Manuel come sempre, ha ancora tutto quanto il completo, la cravatta ben allacciata e perfino la giacca abbottonata. Marco, come al solito, ha ceduto al caldo e si è allentato la cravatta, tiene la giacca dietro la spalla con due dita e le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, facendo mostra delle braccia inchiostrate. Michele invece, si è limitato ad allentare la cravatta e a tenere le braccia incrociate.
Poco dopo, ci catapultiamo al ristorante con il caldo che ci ha resi già esausti. Lascio a mio fratello l'onore di guidare e mi ritrovo stretta tra Marco e Brusco, il primo che mi sventola un ventaglio davanti alla faccia per non far sciogliere il trucco, il secondo si preoccupa di sventolarmi la schiena.
«Ma perché tutto questo teatrino?» domanda Ginevra, seduta accanto a mio fratello nei posti anteriori. I capelli blu sono intrecciati in un raccolto intricatissimo ed indossa una coroncina di fiori che si è fatta fare per l'occasione. È bellissima, sembra appena uscita da una fiaba per bambini.
«Perché Alessia non vuole che sudi.» ribatte Bruno, in un ringhio poco contento. In risposta gli accarezzo la testa e gli prometto qualsiasi cosa voglia in cambio di questo favore.
«Semmai ci sposeremo, ti giuro che ti mollo all'altare se ti azzardi a dire una cosa del tipo non sudare a una delle mie sorelle.» la minaccia subito Marco, gli occhi puntati sulla strada ed una smorfia infastidita a deturpargli il volto.
Subito guardo Bruno, lui si guarda con Ginevra e poi ci scambiamo uno sguardo io e mia cognata. Marco non aveva mai parlato di matrimonio.
Mai, neanche quando da bambini giocavamo tutti assieme e c'era da impersonare il papà della situazione. Niente matrimonio, niente figli.
Marco, accanto a me, mi piazza una lieve gomitata nel costato, confuso. Io scuoto la testa e sbuffo una risata, lasciando cadere il discorso con un cenno della mano ed un occhiolino.
«Ah, quindi mi sposi?» Ginevra non è della mia stessa opinione, ma vorrei che lo fosse, dato che non ho la minima voglia di sentirli discutere per l'ennesima volta.
Bruno è della mia stessa opinione, e si porta una mano sul ponte del naso chiudendo gli occhi. Ma, ancora una volta, Marco stupisce tutti.
«Beh, succederà ad un certo punto, no?» mi va di traverso la saliva ed inizio a tossire. Ginevra si gira di scatto verso di me e scoppia a ridere.
Ne abbiamo parlato tante volte di questa cosa, ricordo ancora quando eravamo più piccole e quante volte è venuta a bussare alla porta della nostra stanza (all'epoca la dividevo con Martha) con le lacrime agli occhi e la paura che Marco non la volesse più.
Bruno inizia a tirarmi delle pacche dietro la schiena, fin troppo violente, al che entrambi i Marco presenti nell'abitacolo, decidono di intervenire.
«Brusco! Così la ammazzi!» butta un'occhiata dietro ed incrocia il mio sguardo nello specchietto retrovisore. L'altro Marco, mi cinge la vita con un braccio, allontanandomi leggermente dalle grinfie del migliore amico di mio fratello.
Fortunatamente, qualche minuto dopo ci ritroviamo a scendere dall'auto e finalmente posso far scappare un po' Marco dalla follia della mia famiglia.
«Bruno è un po'...» inizia Marco, passeggiando accanto a me nel prato immenso della villa che ospita il ricevimento.
«Particolare?» concludo io per lui, sorridendo.
«Esatto.» annuisce.
«Conosco Bruno da quando sono nata.» inizio a raccontare, alzando leggermente il vestito, per evitare che gli accada qualcosa. «È cresciuto da solo, con tre fratelli più grandi, un padre severo e abbastanza manesco. La madre è morta di cancro quando era molto piccolo, vivevano in una zona di Roma non bellissima.»
«Per questo..» non lo lascio finire.
«Sembra che si stia sempre guardando le spalle? Sì.» confermo il suo sospetto, adocchiando un paio di altalene e fiondandomici contro.
Tolgo le scarpe, nella corsa, un po' perché si piantano nel prato, un po' perché non potrei correre agilmente indossandole.
Corro, a perdifiato, senza neanche pensare più alle altalene. È una sensazione che mi ricorda troppo l'infanzia e le giornate primaverili al mare, a correre contro le onde e poi scappare via non appena tornavano indietro.
Arrivo al mio traguardo senza un briciolo di fiato, con Marco a distanza di metri che mi guarda, ride e mi riprende con il cellulare.
Esausta, mi abbandono sul seggiolino, situato all'ombra di un albero maestoso.
«Ma sei sempre così matta?» ride ancora, ora ad una manciata di metri di distanza da me.
Mi allungo e lo tiro per un braccio, invitandolo a prendere posto accanto a me.
«A volte sì, ma cerco sempre di contenermi un po'.» ammetto, prendendo un lungo respiro.
«Adesso capisco cosa ci trova Cantelli in te.» mi si mozza il respiro.
«Avete parlato di me?» è un sussurro a malapena udibile.
«Ultimamente ci siamo incontrati un paio di volte, poi sapevo già la situazione grazie a Nelson — ridacchio, borbottando un pettegola che lo fa ridere- e credimi se ti dico che so più cose di te di quanto credi.» mi guarda con finto fare annoiato.
«Tipo che non puoi mangiare i crostacei, che il mare d'estate non ti piace, oppure che il tuo libro preferito è il Faust.» elenca tutte queste cose contandole sulle dita. Annuisco, per dare conferma. «Poi so che ti danno fastidio i bambini troppo iperattivi, che il tuo fiore preferito è la lavanda, che hai un sacco di tatuaggi, che tifi Juventus, simpatizzi Fiorentina ed hai una passione sfrenata per il Real Madrid, la squadra del cuore di tuo fratello Michele.»
«Wow.» guardo la collinetta da cui siamo appena scesi con le sopracciglia aggrottate e gli chiedo di darmi una sigaretta. L'accende e me la porge, un gesto meccanico che abbiamo sviluppato in questi pochi giorni di convivenza.
«È quello che ho pensato quando mi ha raccontato di quando tu e Claudio avete visto una partita assieme.» sbuffa il fumo e mi osserva di sottecchi. «Ti ha descritta in modo strano, non so come dirlo, ma ricordo di essermi sentito piccolissimo nei confronti di un sentimento così grande, seppur velato.»
Restiamo in silenzio, ad osservare la meraviglia di giardino in cui siamo immersi, finché la figura di Martha non compare sulla cima della collinetta e ci fa segno di raggiungerla.
Con un sospiro, mi acquisto più velocità sull'altalena e salto, atterrando in equilibrio sui miei piedi con le ginocchia piegate di poco.
«Se vuoi un mio parere, comunque, non credo che riuscirete a stare lontani per molto.» afferma, con in mano le mie decolté color panna. «Lo sento che stai soffrendo, Daisy, e so che soffre anche lui. Quello che non riesco a capire, è perché vi state facendo questo.»
«Perché forse sappiamo entrambi che è meglio far morire la cosa sul nascere, piuttosto che correre ai ripari dopo.»
«E perché non correre il rischio?»
«Preferisco averlo sempre con me, ma non nel modo in cui vorrei, piuttosto che dovermene separare.»

Margherita | Cesare CantelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora