8; Ci porti tutte le tue conquiste?

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«Ma sei cretino?!» urlo, alzandomi. Subito si toglie il casco e mi da una mano, ma lo scaccio con uno spintone.
«Mi dispiace, pensavo mi avessi riconosciuto.» mi urla sopra, e lo spintono di nuovo.
«Ma se neanche conoscevo l'esistenza della tua fottutissima moto!» replico, tremando leggermente.
Prova di nuovo ad avvicinarsi e stavolta mi lascio stringere in un abbraccio, inspirando a pieni polmoni il suo profumo, sentendomi più tranquilla. Restiamo stretti così per qualche istante. Mi passa le mani tra i capelli e mi coccola a dovere, conscio finalmente dello spavento che mi ha fatto prendere.
«Pensavo non venissi più.» lo dico mentre mi porge un casco che tira fuori dal bauletto.
«Ma ti pare?!» è molto sorpreso.
Faccio spallucce e indosso il casco con disinvoltura, come se andassi in moto tutti i giorni. In realtà è la prima volta in vita mia che vedo una moto così da vicino.
Mi aiuta a salire e poco dopo sfrecciamo per le strade del centro. Mi sento libera, il freddo che mi si infila fin dentro le ossa mi fa sentire viva, e le luci della città che scorrono talmente veloci da diventare delle scie, mi ammaliano tanto da farmi perdere la concezione del tempo che scorre.
È un viaggio breve, quando scendo dalla moto un capogiro mi fa barcollare e sento il Bloody Mary che bevo sempre a fine turno, salirmi lungo l'esofago.
Mi trattengo dal vomitare, perché ho fatto cose ben peggiori di un giro in moto e poi perché non mi sembra il caso.
«Benvenuta sui famosissimi Colli Bolognesi.» nel dirlo fa un gesto ampio con le braccia e marca di più il suo accento, già di per se molto prepotente.
Ridacchio, all'improvviso imbarazzata.
«È meraviglioso.» osservo il panorama estasiata. Finora nessun posto ha mai battuto la terrazza del Pincio, a Roma. Ma credo che il panorama dei colli abbia quasi raggiunto il mio posto preferito al mondo. «Ci porti tutte le tue conquiste?»
Ammicca con un occhiolino e io rispondo con una smorfia per prenderlo in giro.
Mi siedo sull'erba bagnata, sentendo l'umidità infilarsi sotto le calze leggere che indosso.
Mi stringo di più nella giacca di pelle che ho rubato a mio padre qualche anno fa e Cesare mi raggiunge poco dopo con una coperta e un plaid comparsi dal nulla. Stende la coperta e mi ci siedo sopra, poi mi copre le gambe con il plaid premurosamente.
Restiamo in silenzio a fissare il panorama, ogni tanto mi accendo una sigaretta.
Quando spuntano le prime luci dell'alba mi stiracchio e tiro uno sbadiglio, scrocchiandomi le ossa del collo.
«Vuoi andare via?» rompe il silenzio, osservandomi di sottecchi. Accenno un sorriso e scuoto la testa, osservando Bologna che inizia a svegliarsi pigramente.
«È bella Bologna.» affermo. «Sai, quando mi sono trasferita, volevo morire. Ho Roma cucita addosso, con le sue strade piene di sampietrini, gli anziani che urlano e i turisti sempre in giro con al collo le loro macchine fotografiche. Le rare volte in cui zio Dani veniva spedito in qualche caserma vicina e lo andavamo a trovare, mi diceva sempre 'sei bella come Roma'. — sorrido al ricordo— Roma è una bella donna che se ne sta lì a farsi osservare, ha l'aria arrogante di chi sa di essere bella e non ha bisogno di sforzarsi per esserlo. Ce l'ho cucita addosso, in famiglia tutti continuano a dirmi che sono come Roma: un uragano di chiasso e calore, bella senza il bisogno di sforzarmi.»
«Non pensavo che potessi essere così legata a Roma.» risponde al mio sproloquio grattandosi la nuca. «Perché vuoi toglierti l'accento romano?»
«Perché ho incontrato Bologna.» accenno un sorriso. «Bologna è la novità. È quella ragazza nuova che arriva a scuola in terzo superiore a sconvolgerti la vita, su cui vuoi per forza fare colpo. È quella ragazza che piace a tutti senza un motivo in particolare, è bella da mozzare il fiato, ma percepisci che ha un qualcosa che non va, che la rende ancora più bella. È fuori dai canoni, è follia.»
«È bello.» nel dirlo, smette di guardarmi.
«Cosa?»
«Che tu riesca a portarti dentro certe cose meravigliose.» stavolta è il mio turno di abbassare lo sguardo. Cerco una sigaretta e me l'accendo, continuando ad osservare l'alba.
«Sono solo stupidaggini.» sminuisco con un mezzo sorriso. «Mi è sempre piaciuto fare la persona poetica, quando ero più piccola allestivo dei mini spettacoli teatrali per la mia famiglia.»
«Ti senti mai sola?» mi chiede, guardando la distesa infinita che abbiamo davanti.
Faccio una smorfia.
«Non mi sono mai sentita sola come mi sento sola qui a Bologna.» accenno poi un sorriso. «Ma ci sto lavorando, lo giuro.»
«Bea mi ha detto che a Santo Stefano è stata assieme a voi.» annuisce.
«Si è divertita molto, beh ovviamente.» ammetto, fumando ritmicamente. «Quando conosci otto persone nuove, non puoi annoiarti.»
«Otto?!»
«Sono la quarta di sette fratelli.» annuisco vigorosamente. «Manuel, Martha, Marco, Michele, poi ci sono io, Matilde e Mara, che sono gemelle.»
«Porca troia!» esclama e si mette a ridere. «E quanti anni avete di differenza?»
«Manu ha 35 anni, lavora a Londra. Poi Martha ne ha 32, fa la logopedista a Verona. Marco ne ha 30 e fa il commercialista a Roma, Miche ne ha 27 ed è un medico. Mati e Mara ne hanno 19 e hanno appena iniziato l'università, una fa cosmetologia, l'altra farmacia.» spiego.
«Tu sei quella fuori dagli schemi.» constata, analizzando i lavori dei miei fratelli.
Annuisco, borbottando un 'il cigno nero'.
«E tu?»
«Io cosa?» mi chiede, imbarazzato. «Hai conosciuto Claudio e Carolina, sei tu quella misteriosa.»
Scoppio a ridere e lo spintono leggermente.
È vero: ho conosciuto i suoi fratelli in un giorno di gennaio uggioso, in cui avevo il morale sotto ai piedi e troppe pagine da studiare. Cesare mi portò a casa sua dopo aver finito di registrare un video, dicendomi che sua sorella Carolina aveva voglia di incontrarmi.
Con Claudio c'eravamo visti un paio di volte, me sempre di sfuggita. Ricordo quel pomeriggio con molto affetto, mi hanno fatta sentire un po' meno la nostalgia dei miei fratelli.
«Sei un cretino.»
Si crea di nuovo un bel silenzio, il sole ormai sta iniziando a farsi vedere e a dare spettacolo. Mi distendo sulla coperta e mi tiro il plaid fin sotto il naso, osservando il cielo dipinto di colori come l'indaco, il pervinca e il rosa.
Mi accendo un'altra sigaretta e sento che Cesare me ne ruba una dal pacchetto non appena lo poggio di nuovo a terra. Mi tiro su a sedere e resto ad osservarlo, ripensando alle parole che Riccardo mi ha detto ieri.
Lo osservo e penso alla complicità che abbiamo, nonostante l'inizio un po' strano. È indubbiamente un bellissimo ragazzo, ha un carattere che seppur fastidioso, non è troppo invadente, il che è perfetto per una persona riservata come me.
Mi fa stare tranquilla e in pace con me stessa, non ho bisogno di apparire perfetta ai suoi occhi, perché so che non gli interessa se vado in giro vestita male, se ogni tanto me ne esco con qualche strafalcione in romanaccio, se sono un po' maldestra o altro. Non ride mai di me, ma ride con me e quando mi prende in giro, lo fa sempre in modo del tutto inoffensivo.
«A che pensi, stronzetta? Mi stai consumando.» scuoto la testa e strappo dei fili d'erba, lanciandoglieli contro.
«Pensavo a quanto sei bello.» lo vedo gonfiare il petto, e noto che sta per fare il cretino dall'espressione arrogantella che inizia a manifestarsi prepotentemente sul suo viso. «Non ci provare. Dicevo a quanto sei bello dentro e a quanto mi piace la nostra complicità.»
Mi fa un mezzo sorriso ed un occhiolino.
«Anche il medico dice che ho un bel fegato.» inizio a ridere a crepapelle, stupendomi di me stessa. Non rido mai a queste battute orrende, sono solita darmi un contegno, ma con Cesare e soprattutto con Dario, non ci riesco mai.
Mi scatta una fotografia, sento il click della macchina fotografica usa e getta, una delle 300 che hanno messo in giro tra casa mia e casa di Nelson.
«E dai, che palle!» esclamo, provando a schiaffeggiarlo, senza scalfirlo di un millimetro.
«No Ghe, questa è la nostra kodak, certi momenti vanno immortalati.» si giustifica.
«Che vuol dire la nostra kodak?»
«Ci sono tutte le foto che io ho fatto a te o viceversa.» è arrossito leggermente, e io sorrido intenerita. «È stata la prima che abbiamo messo in giro per casa tua.»
«Non vedo l'ora di svilupparla.» dico sincera, porgendogli una mano che lui afferra subito e stringe. Mi tira poi in un abbraccio e mi lascio coccolare un po'.
Restiamo a guardare l'alba finché non ci sono più nuvole colorate all'orizzonte, dopodiché mi ricarica in moto e mi porta a casa che sono già le otto passate.
Lo faccio entrare in casa, stranamente deserta. Mi affaccio e noto che le stanze delle mie coinquiline sono vuote e controllo il telefono per vedere se Azzurra e Melissa mi hanno cercata.
Niente.
Trovo finalmente un biglietto poggiato sul mio letto, e mi affretto a leggerlo.

Io, Deni, le ragazze e Polpetta
siamo in giro per il centro, ti
abbiamo lasciato i cornetti sul tavolo!
Ceci
ps: salutami Cesare!

Scuoto la testa divertita, tornando in cucina con una sigaretta che mi pende dalle labbra.
Cesare se ne sta seduto sul davanzale, mangia avidamente un cornetto integrale al miele e scrolla il telefono, concentratissimo.
«Possibile che hai solo latte di soia in frigo?» mi chiede, senza staccare gli occhi dal cellulare.
«Sono intollerante al lattosio, che posso farci?» chiedo ironicamente, prendendo dal tavolo il mio danese, per poi addentarlo voracemente.
Il mio stomaco si riempie dopo soltanto sei morsi esatti, e un sorso di latte di soia.
Mi accendo la sigaretta che ho nascosto dietro l'orecchio e tiro su una serie infinita di sbadigli, seguita da Cesare.
«Vado a dormire.» annuncio, una volta buttato via il mozzicone.
«Certo Ghe, io vado.» dice, scendendo dal davanzale con un braccio e stropicciandosi gli occhi.
Scuoto la testa e lo tiro per un braccio fino alla mia stanza.
«Non mi va che stai in giro con la moto in queste condizioni.» nel dirlo, apro l'armadio e gli lancio una tuta che ho rubato a mio fratello Michele qualche anno fa e una felpa del Manchester United che Manuel mi ha regalato durante il breve periodo in cui ha lavorato lì.
«Ma io tifo Liverpool.» fa una faccia da cane bastonato a cui rispondo con un gestaccio della mano.
Si mette a ridere e mi tira i capelli, che ho legato da poco in una coda di cavallo. Lo guardo male e tiro giù dall'armadio una felpa del Real.
«Sei una tifosa allora.» constata, sbirciando nell'armadio. Una pila di felpe delle mie squadre del cuore si palesa ai suoi occhi e si mette a sfiorarle con le dita. «Non dire a Dario che squadre tifi, potrebbe scapparci la rissa.»
Rido anch'io e resto ad osservare per un po' le felpe del Real, quelle della Juventus e le due sporadiche della Fiorentina. Le ho accumulate negli anni, a Natale me ne viene regalata sempre una nuova.
«Seguirò il tuo consiglio.» annuisco, chiudendo l'anta per poter finalmente togliere dai piedi gli anfibi con un mugugno soddisfatto.
Mi rigiro verso il ragazzo e noto che si sta sfilando la maglia mentre mi da le spalle. Vedo i muscoli della schiena contrarsi e noto che ha le famose fossette di Venere.
Resto a fissarle finché non vengono coperte di nuovo dalla felpa, e mi ridesto passandomi una mano sul viso e dandogli di nuovo le spalle.
Mi tolgo in fretta i pantaloncini di jeans e le calze a rete, lanciando tutto in un angolo, ed infilando dei vecchi calzoncini da calcio di Marco. Con le stesse movenze frettolose e concitate, mi sfilo il maglione, la canottiera e li sostituisco con la felpa del Real, togliendo soltanto dopo il reggiseno.
Quando mi volto, gli occhi verdi di Cesare sono fissi su di me. Lievemente imbarazzata mi lancio sul letto.
«Piaciuto lo spettacolo?» accenno un sorriso, sicura che abbia visto tutto.
«Molto, dolcezza.» scherza, stendendosi accanto a me. Mi giro su un fianco e mi imita.
«Mamma mia che brutto che sei così da vicino.» scherzo per sdrammatizzare, infatti scoppia a ridere.
«Allora girati, che vuoi!» replica, con l'ombra di un sorriso sulle labbra. «Mica ti obbligo.»
Gli do le spalle e mi rannicchio in posizione fetale, chiudendo gli occhi.
Mi alza la felpa sul fianco e si mette sicuramente ad osservare i segni zodiacali che ho tatuato lungo il fianco.
«Siamo nati tutti in mesi diversi.» spiego. «Ogni segno è un fratello. L'acquario sono le gemelle, pesci è mia madre, ariete Manuel, toro Michele, cancro è Martha, io sono del leone, Marco è della vergine, zio Dani scorpione e papà del sagittario.»
«Sono bellissimi, davvero.»
«Ti ringrazio, mi fa davvero piacere.» sbadiglio e sento di nuovo le sue mani che mi spostano la felpa.
Restiamo in silenzio per un tempo infinito, finché non crollo addormentata.

Margherita | Cesare CantelliWhere stories live. Discover now