20; Buonanotte

1.1K 43 3
                                    

Dalla telefonata di Margherita, sono passate delle settimane. Ormai non mi chiedo più neanche quante sono, perché mi da crea soltanto fastidio.
Lancio la pallina da tennis contro il muro della mia stanza per l'ennesima volta, tra un tiro e l'altro mi passo le mani tra i capelli, combattuto.
«Che dici, la finirai di sfracassarmi o hai intenzione di sfidare la mia pazienza?» gli occhi grandi e dolci di Carolina, mi rimproverano. So che non è questo a recarle fastidio, ma piuttosto il mio comportamento nelle ultime settimane.
Ha i capelli legati in una coda che ha visto tempi migliori, gli occhiali posati sul naso ed indossa un paio di pantaloncini ed una maglietta che sicuramente erano miei o di Claudio.
Mi studia, indecisa se calarsi nella parte della sorella maggiore o meno. Si dondola sui piedi, e mi ricorda terribilmente quando mi rinchiudevo in camera dopo un litigio con Sofia e lei si presentava per consolarmi, combattuta.
Il ricordo mi fa accennare un sorriso sincero che non mostro molto spesso, ultimamente.
Forse incoraggiata da questo gesto, forse davvero esasperata dalla situazione, si toglie gli occhiali e si siede accanto a me nel letto.
Mi ruba dalle mani l'oggetto incriminante ed inizia a farla balzare sul muro, alternandosi con me nel lanciarla.
Solo adesso noto la figura felina di Matisse, che la segue fedelmente ovunque lei vada. È come se fosse la sua ombra, hanno un legame davvero strano.
«Parli tu o devo cavarti le parole di bocca?» mi chiede, sospirando e rigirandosi tra le mani la palla gialla.
«Non saprei da dove iniziare.»
«Potresti parlarmi di lei, intanto.» mi fa un cenno con la testa e non mi serve guardarla in viso per capire di chi sta parlando.
Ma decido comunque di fare il finto tonto.
«Conosci Sofia da anni.»
«Non parlavo di lei.» il tono è brusco, stanco. Si è davvero immedesimata nel ruolo di sorella maggiore e so che quando fa così non ce ne è per nessuno: o vuoti il sacco, oppure inizia a tirar fuori le maniere forti.
«Che ti devo dire, Caro.» sospiro. «Non lo so neanche io che cazzo sta succedendo.»
Adesso ci stiamo guardando e il suo sguardo, prima severo e guardingo, si è addolcito d'un botto, rendendola di nuovo un po' bambina.
Mi accarezza la testa e si sporge per darmi un abbraccio e non posso far altro che accoccolarmi addosso a lei, sentendo gli occhi inumidirsi.
«Lei mi piace, sai?» parla dopo un po', tenendomi sempre stretto a sé. Credo non lo faccia da quando siamo bambini. «Sembra appena uscita da un romanzo d'epoca. Se ne sta lì, sempre composta, delicata.»
«Non l'hai mai vista guardare una partita con Claudio.» ridacchio.
«Me l'ha raccontato, pare siano molto amici quei due.» ammicca. «E anche papà la trova deliziosa, ne parlavamo giusto l'altro giorno a tavola.»
Alzo lo sguardo e trovo subito il suo.
Sospiro, sciolgo l'abbraccio e mi passo le mani sul viso con violenza, mentre lei accoglie Matisse tra le sue braccia e lo coccola a dovere, lasciandomi come sempre il mio spazio per riflettere.
Apro il primo cassetto del comodino di Claudio, dove so esserci le sigarette di scorta che nasconde sempre. Ne prendo una, la accendo e trovo anche qualcosa di inaspettato.
Ne sfilo delle foto.
La prima raffigura Margherita con la testa abbandonata sullo schienale del divano e una nuvola di fumo che le esce dalle labbra corrucciate. Ricordo benissimo quella sera: era una delle prime volte che ci sparpagliavamo in casa loro, e forse la prima volta che l'ho guardata con occhi diversi. Polpetta è steso sulle sue gambe ed una sua mano è sul suo muso, l'altra tiene una sigaretta.
In quella dopo, me ne sto seduto sul davanzale della cucina con il cellulare tra le mani, una maglia a maniche corte addosso e i pantaloni del pigiama.
Lei che gioca con Chewbe seduta sul divano del set di Space Valley, durante il salotto sugli animali domestici. Io che le bacio la testa mentre dorme su uno dei divani del suo appartamento, prima che Cecilia desse di matto.
Poi di nuovo un suo primo piano mentre guarda assorta l'alba sui Colli, lì credo di essermi innamorato di lei, e di aver rivalutato l'alba. Io a bordo della mia moto che esco dal vialetto del condominio dove vivevano lei e Nelson.
Margherita che fa colazione in casa mia, una delle prime notti dopo la sua fuga a Londra, io che gioca con Polpetta nel salotto di casa mia. Lei nel corridoio del suo appartamento, con una felpa della Viola addosso e un sorriso enorme stampato sul viso. Il mio viso che affonda sulla sua spalla, le labbra arricciate in un broncio.
Per ultima, io e Margherita stesi sul letto, uno ad un palmo dal naso dall'altra, Polpetta steso accanto a noi. Illuminati soltanto dalla luce di un lampione che entra dalla finestra.
Ricordo quella sera vividamente, come se la stessi rivivendo in questo momento. Sbuffo una risata pensando al fatto che non ci siamo mai baciati, eppure sono completamente e follemente ossessionato da lei.
Due biglietti scivolano dalla busta gialla che tengo tra le mani, Carolina si affretta a raccoglierli ed indossa di nuovo gli occhiali da vista per leggere.
«Non c'era niente di male, potevamo fermarci, potevamo sbagliare.» borbotta, scambiando velocemente i biglietti. «Non fare stronzate, riguarda bene 'sta roba e vedi quello che devi fare. Ti voglio bene, Cla. PS: sapevo che prima o poi avresti frugato qui dentro, non finirle
Io e Carolina ci guardiamo, leggermente scossi, mentre lei sbuffa una risata, allargando le braccia, incredula.
«Poi non ti arrabbiare quando dicono che Claudio è la tua versione migliore.» mi lascia solo con questa frase.
Lancio le fotografie contro il letto e mi passo le mani nei capelli, frustrato come poche volte nella mia vita.
Il mio cellulare squilla, per l'ennesima volta, rompendo il silenzio che si è creato nella stanza.
Dopo la discussione con mia sorella mi sono limitato a vegetare sul letto per ore, finché l'afa estiva del pomeriggio ha lasciato il posto ad una lieve brezza che mi da sollievo.
Sospiro e rispondo, notando che ho saltato la cena e che Sofia mi ha chiamato dieci volte.

Ma che fine hai fatto?
Ti devo parlare!
Cesare, mi sto preoccupando.
Vuoi rispondere?!
Vabbè, alle dieci vengo a casa tua, fatti trovare.

I messaggi preoccupati di Sofia e un'altra mole di messaggi da amici vari mi intasa il telefono, e ciò non fa altro che rendermi più nervoso di prima.
Prendo le chiavi della moto dalla scrivania e mi precipito giù dalle scale, ignorando qualsiasi richiamo da parte dei miei familiari.
Incredibilmente, Sofia è in anticipo e la incrocio giusto nell'ingresso di casa. Mi urla contro un qualcosa che somiglia molto ad un 'dove cazzo vai', ma con la scusa del casco e del rumore della moto, faccio finta di non sentire.
Corro a più non posso, concentrandomi solo sull'adrenalina che mi regala la velocità e sul vento freddo che mi gela gli stinchi e le braccia scoperte.
Quando mi fermo, il bar dove lavora sempre Margherita, è gremito di gente. Ragazzi e ragazze di ogni età se ne stanno buttati un po' ovunque, dal ciglio della strada al bancone.
Da quando è iniziata la stagione estiva hanno messo dei tavolini fuori, occupati da decine di fuori sede.
La intravedo shakerare un cocktail dalla vetrina, mentre chiacchiera allegramente con Doc, seduto al bancone con una 0.20 tra le mani nodose.
Con un sospiro, fisso i suoi capelli castani schiariti dal sole estivo, la pelle leggermente abbronzata e gli occhi chiari brillanti. Le labbra carnose ora si muovono, ad imitare le parole dell'ennesimo tormentone estivo che esce dalle casse.
Hanno su un velo di rossetto ciliegia, che si abbina perfettamente al top senza maniche che indossa. I tatuaggi sono in bella vista e ora, grazie anche all'estate, si riesce a distinguere per bene quello sulla clavicola.
Sbuffo ed indosso di nuovo il casco, indietreggiando fino alla moto e ripercorrendo la strada verso casa al contrario.
Davanti al cancello, sorprendentemente, c'è Sofia che mi aspetta.
Si mangiucchia le unghie e se ne sta in piedi assumendo una postura scomposta, i capelli sciolti le cadono sulle spalle coperte da una t-shirt color ottanio che sono certo essere mia.
Le sta talmente grande, che l'ha usata come vestito. Osserva distratta il vuoto, è talmente impegnata a pensare che non mi degna della minima attenzione, anche se sono certo mi abbia sentito, difficile ignorare il rumore che fa una moto.
Come un'automa, si precipita nel cortile del mio condominio, dopo che io stesso sono rientrato ed ho messo la moto nello spazio che gli abbiamo riservato.
Neanche mi chiede di salire: si siede su una delle panchine che abbiamo fuori, con la testa tra le mani e il volto sempre più devastato.
Ricordo una situazione molto simile, ma quella volta, ero io ad essere nelle sue condizioni: era il primo di gennaio, dopo il consueto pranzo di famiglia, la stavo riaccompagnando alla macchina.
La prima volta che mi ha lasciato, ero seduto su quella stessa panchina, nella sua stessa esatta posizione.
«Penso sia diventata un'abitudine.» do voce ai miei pensieri, sedendomi accanto a lei.
«Cosa?» chiede, la voce stanca, di chi è davvero esasperato.
«Lasciarsi su questa panchina.» affermo, guardando il suo profilo. «Ma l'ultima volta ero io quello messo nelle tue condizioni.»
«Apprezzo davvero che lei si sia fatta da parte, lo sai?» annuisce, con le lacrime agli occhi. «Ma sinceramente, dopo aver trovato le foto, non ho più alcun dubbio: siete pazzi l'uno per l'altra.»
«Quali foto?» chiedo, perplesso.
«Quelle nel cassetto del tuo comodino, non fare il finto tonto.» mi lancia uno sguardo gelido. «Siamo onesti, almeno alla fine.»
Annuisco, ancora perplesso, ma d'accordo con lei.
«Ti amo ancora da morire, e mi dispiace averti lasciato a gennaio solo per delle mie paranoie. Ci ho provato davvero, a farla funzionare. Ma forse quel passo falso ti ha soltanto fatto innamorare di lei.» prende un respiro profondo. «So che le hai detto che la ami, Nicolas me l'ha raccontato qualche settimana dopo che è successo. Non te ne faccio una colpa, davvero.»
«Ti ringrazio.» le faccio un piccolo sorriso, accarezzandole i capelli con affetto. «Lo sai quanto sei stata importante per me, Sof, ti ho amata davvero tanto e giuro che mi sono sforzato per cercar di far tornare le cose come prima.»
«Lo so.» ricambia il sorriso. «Ma a volte, dovremmo solo arrenderci a quello che accade, non credi?»
«Già.» sussurro.
«Adesso vado.» dice solennemente, alzandosi di scatto e spolverandosi la maglia. «Ti dispiace se tra qualche giorno passo a prendere le cose che ho lasciato qui?»
«Figurati, siamo stati insieme dieci anni, ne hai tutto il diritto.» borbotto. «E meriti di essere felice.»
«Anche tu.» stavolta mi sorride davvero. «E spero di aver contribuito...buonanotte.»
«Buonanotte.»

Margherita | Cesare CantelliOù les histoires vivent. Découvrez maintenant