11; Liti

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«Margi, svegliati.»
L'unica cosa che riesco a fare è rispondere con un mugugno indistinto alla voce di Francesco.
Siamo abbracciati sul letto della mia vecchia stanza ed abbiamo dormito sì e no due ore e mezzo.
«Margi, qualcuno bussa alla porta da due minuti, per favore.» sbuffa e sento il suo respiro sulla nuca.
«Cristo, che palle.» sbuffo e mi alzo, sistemandomi i calzoncini da calcio di mio fratello e spostandomi i capelli dalla faccia.
«Buongiorno raggio di sole!» la faccia allegra della mia migliore amica, mi si para davanti.
È truccata (strano) e vestita di tutto punto.
«Ciao Zury, è sempre bello vedere la tua brutta faccia il 13 maggio.» sbotto, per poi tirarla per un braccio e stringerla in un abbraccio. «Buon compleanno, zuccona.»
«Grazie Daisy.» sussurra, lasciandomi un bacio tra i capelli.
Il 13 maggio non è solo il compleanno di Michele, ma anche quello di Azzurra.
Da circa 5/6 anni, la mia famiglia e la sua, con amici annessi di entrambi, festeggiano assieme a casa mia, complice il giardino enorme che abbiamo sul retro.
«Oh, non sapevo ci fosse il roscio.» borbotta stralunata, fissando Tone addormentato.
La guardo con un sopracciglio alzato e vedo i suoi occhi castani scrutare minuziosamente il ragazzo in penombra.
«È stato a Londra con me, lo sai.» affermo, continuando ad osservare la mia amica.
«Ho visto, belli i ritratti che gli hai fatto.» commenta. «Ha degli occhi molto belli, si offende secondo te se gli scatto delle foto?»
Sbuffo una risata e la ignoro, andando a gettarmi di peso su Francesco, che urla per il dolore e mi insulta.
«Dai Tone, è Zury, devi farle gli auguri.» non so come, è finito a terra, ha gli occhi gonfissimi e le occhiaie per mancanza di sonno.
Io e i miei fratelli siamo stati svegli fino alle 6 del mattino a chiacchierare e festeggiare Michele. Il povero Tone è stato costretto a sopportare le nostre piccole liti, con annesse risse.
«Ma ho sonno.» è tutto ciò che riesce a dire, con uno sbuffo.
«Ma principessa! Chi dorme non prende pesci!» esclama Azzurra, sfottendolo con le braccia incrociate attorno al seno ed un ghigno sulle labbra tinte di rosso ciliegia.
Francesco si risveglia subito dal coma mattutino, con uno scrollo veloce del capo. Spalanca gli occhi chiari e si alza da terra in tempo record, passandosi successivamente una mano tra i capelli radi della nuca, imbarazzato.
Ridacchio ed alzo le tapparelle, ed osservo divertita la scena di sottecchi.
Azzurra, sta fissando imbambolata la figura del mio amico, in boxer. Tone le fissa il viso allo stesso modo, rapito dai suoi tratti.
«Okay, io sto uscendo.» li avverto, varcando la soglia della mia stanza ed affacciandomi in corridoio.
Subito sento i passi concitati di Azzurra seguirmi e un suo braccio passarmi attorno al collo. Sbadiglio e le sue labbra laccate mi lasciano un bacio su una guancia, a cui rispondo con un sorriso accennato.
Entrando in cucina, mi pento di essermi svegliata: c'è il caos più totale. Le gemelle stanno discutendo su chi debba mangiare l'ultima manciata di biscotti, mia madre e la madre di Azzurra si confrontano sul menù della giornata, Martha e Dionisio, il fratello di mezzo di Azzurra, chiacchierano amorevolmente. Michele se ne sta seduto sul davanzale della finestra, ed osserva il delirio che c'è in cucina. Amelie parla con la fidanzata di Domenico (il fratello maggiore di Azzurra), e Domenico stesso se ne sta in un angolo a discutere con Manuel, mio papà e Luigi, il padre di Azzurra.
«Questi li mangio io.» dico, sfilando dalle mani di Mara il pacco di biscotti. Pongo così fine alla discussione, facendo ridere Azzurra.
«Buongiorno principessa.» mi saluta Michele, non appena cerco rifugio accanto a lui. Gli lascio un bacio sulla spalla e borbotto gli auguri.
«Perché ci ostiniamo a fare questo pranzo al vostro compleanno?» chiedo, avvilita.
«Perché Dom e Dio sono anche amici miei e perché continui ad invitare le tue amiche ad ogni mio compleanno.» mi ricorda, scompigliandomi ancor di più i capelli.
Ringhio, in contemporanea allo squillo del campanello.
Avverto i presenti che andrò ad aprire, e non faccio in tempo a metabolizzare chi ho davanti, che due piccoli tornadi mi si aggrappano alle gambe. Scoppio a ridere e accarezzo i capelli dei nani come mi piace chiamarli da quando sono nati.
Il viso della sorella di mia mamma, Gloria, mi si palesa davanti. Abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto, ma da quando è morto zio Dani, ci siamo legate ancor di più.
Mi bacia una guancia, seguita subito dal marito, Gabriele.
Poi mi abbasso all'altezza delle due pesti e mi faccio lasciare un bacio, con la promessa di consegnargli un regalo portato da Londra.
Mattia e Nico iniziano subito a gridare emozionati.
Li prendo per le mani e torno in cucina, trovando subito papà che presenta Tone ai presenti. Sorrido, intenerita dalla scena.
«Quindi tuo fratello non scherzava quando mi ha detto che sareste lievitati.» borbotta, osservando i due bambini accanto a me.
«Tone, ti presento le mie gioie più grandi: Mattia e Nico.» li indico, e lui si abbassa subito alla loro altezza.
«Sei il fidanzato di zia Gigì?» chiede Nico, vagamente timido.
«No, ma siamo molto amici!» esclama Tonno, scompigliando i capelli al più piccolo. Mattia se ne sta in silenzio, tra i due è il meno spigliato.
Ha 11 anni ed è il cugino che più mi somiglia caratterialmente, ha staccato il viso a zio Daniele, e tutti lo guardiamo un po' malinconici, soprattutto io, che nel vedere il perfetto equilibrio tra me e mio zio, mi ricopro sempre di brividi.
«Sai che anche a lui piace tantissimo Harry Potter?» glielo sussurro all'orecchio, con una mano che mi copre la bocca. È un fan accanito della saga, come me d'altronde, difatti sono stata io a farlo appassionare.
Mattia mi guarda, gli occhioni verdi che luccicano d'emozione che mi chiedono conferma di ciò che ho appena detto. Non appena mi vede fare un cenno d'assenso con la testa, bussa su una gamba di Tonno - che nel frattempo si è rimesso in piedi per presentarsi a mia zia- e gli chiede se davvero è un fan.
Con un sorriso, faccio un occhiolino ad entrambi e vado dritta a sedere sulle gambe di Azzurra, che ha spodestato suo fratello e se ne sta lì tutta soddisfatta.
Il campanello suona di nuovo.
«Vado io!» urla Michele frettolosamente, saltando via dal davanzale e correndo verso l'ingresso. Resto lì sbigottita, chiedendomi chi possa essere per avergli fatto fare questo scatto felino.
Azzurra fissa il corridoio con apprensione, il che mi preoccupa e non poco.
Dal buio, escono le figure di Michele e, sorprendentemente, Melissa.
La cosa che più mi lascia sbigottita, è che si tengono per mano.
«Che significa?» è un sussurro che rompe il silenzio creatosi all'arrivo dei due.
Continuo a fissare a scatti il viso di mio fratello, della mia migliore amica e le loro mani attorcigliate.
«Margi...» prova a dire Michele, ma subito mi alzo e lo fermo con una mano.
«No.» scuoto la testa e lascio la stanza, sotto lo sguardo di tutti.
Non faccio altre scenate, non credo ce ne sia bisogno. Mi limito a raggiungere la mia stanza e a chiudere la porta con due mandate.
Acchiappo al volo uno dei tanti pacchetti di sigarette che tengo sparsi per la stanza, poi apro la finestra e mi siedo sul davanzale, fissando la distesa fatta di case e verde che mi offre la posizione della mia stanza.
Mi tremano le mani e non so il perché.
Con un respiro profondo, scavalco dall'altra parte, ringraziando che la mia stanza sia soltanto al piano terra e sgattaiolo silenziosamente nel garage.
Tra le tante cianfrusaglie, la macchina dei miei genitori, il vecchio motorino di Marco e la 500 delle gemelle, c'è un piccolo angolo vuoto, una sorta di corridoio che finisce con un bel bersaglio.
Lo guardo, sorridendo malinconica e tiro giù da uno dei tanti scaffali a ridosso delle pareti, uno scatolone impolverato con su scritto il mio nome.
Tossisco un paio di volte: è tanto tempo che non lo apro, la polvere mi fa pungere il naso da morire.
Sorrido non appena la luce fredda della stanza colpisce le lame, lasciandole brillare.
Messi con precisione in fila, ci sono una serie di coltelli da lancio e due coltelli farfalla. Prendo gli ultimi due ed inizio a rigirarmeli tra le mani, imitando a rallentatore alcuni trick che mi divertivo a fare da adolescente.
Il freddo del metallo mi provoca una scarica di brividi, il rumore mi fa sentire un po' a casa e in pace con me stessa. Aumento di velocità non appena riconosco di aver preso di nuovo confidenza con le lame, e poi li richiudo con un gesto secco.
I coltelli sono sempre stati una mia grande passione, oltre alle armi da fuoco. Inusuale, per una ragazza.
Mio padre ha praticato per anni tiro a volo, con il fucile, per poi iniziare a sparare con la pistola e con il fucile a piombini. Una volta raggiunta la maggiore età, ho iniziato a frequentare il poligono anch'io, finché un giorno non conobbi una donna sulla cinquantina.
Adelaide.
Lanciava coltelli con la grazia di una ballerina e la precisione di un cecchino: fu lì che mi innamorai perdutamente di quelle armi in particolare. Il rumore secco e tagliente, il bilanciamento delle lame, il modo in cui ti scorrono tra le dita quando le tiri contro il bersaglio.
Con un sorriso, afferro il mucchio di coltelli da lancio e mi posiziono ad una distanza accettabile, iniziando a tirarli con violenza, sentendomi subito meglio all'udire il tonfo che fanno quando centro il bersaglio.
«E pensare che all'inizio eri così imprecisa.» la voce di mio padre rieccheggia nella stanza.
Accenno un sorriso e raggiungo il bersaglio, staccando con non poca difficoltà i cinque coltelli conficcati nel cerchio rosso al centro.
«Non l'hai mai capita la mia passione per questo sport.» affermo, riposizionandomi dov'ero prima.
«No, perché normalmente le diciottenni chiedono in regalo per il compleanno una macchina nuova o un viaggio all'estero.» commenta, sarcastico. «Non una coppia di coltelli farfalla.»
«Vero, ma non era questo il punto.» ridacchio.
«Ah sì, te devi fare sempre quella che si complica la vita.» sbotta, incrociando le braccia al petto. «Sai che palle, ogni volta devi andare, staccare tutto, lanciare di nuovo e ricominciare da capo.»
«Sono sempre stata un tipo paziente, a differenza di qualcun altro...» commento, facendo una chiara allusione a lui.
Papà mi sorride e mi ruba un coltello dalle mani, tirandolo nel bersaglio e facendo centro.
Gli lancio uno sguardo sorpreso.
«Ti sei allenato, vedo.» lo prendo in giro a modo mio. «Sentivi la mia mancanza ed era l'unico modo per sentirmi vicina.»
Questa è la verità: lo vedo nel suo sguardo e mi sporgo per lasciargli un bacio sulla barba incolta.
«Come mai tutte queste scene, orso?» mi chiede, accarezzandomi delicatamente la testa.
«Non capisco il perché.» faccio spallucce, davvero perplessa dalla situazione. «Io e Michele ci diciamo sempre tutto, da sempre. Anche con Meli.»
«Ma sei sempre stata molto gelosa di entrambi, devi ammetterlo.»
Sbuffo e ripongo tutti quanti i coltelli nello scatolone. Mio padre mi sta guardando con lo sguardo di chi ha ragione su tutto perché conosce i suoi polli, io lo evito come un ladro evita la polizia.
«Okay!» alzo le mani dopo un lunghissimo momento di silenzio in cui sono stata perennemente scrutata dagli occhi azzurro ghiaccio di papà. «Va bene! Forse avrei reagito male - subito uno sguardo soddisfatto fa capolino sul suo viso- ma facendo così hanno solo peggiorato la situazione.»
«Resta comunque il compleanno di Michele e tu non puoi tenergli il muso.» replica, incrociando le braccia al petto. «È una delle regole.»
Le regole, non è altro che un foglio A3 con su scritto un regolamento. Sette regole per sette fratelli.
L'abbiamo scritto quando le gemelle avevano nove anni, ed è un elenco di regole che tutti e sette dobbiamo rispettare, "potesse investirci un tir se non lo facciamo" queste le parole di Martha (drammatica fin da ragazzina) al momento in cui ci siamo ripromessi di rispettarle.
Il "non tenere il muso e non discutere durante le feste importanti", è stata la regola imposta proprio da Michele.
Incenerisco papà con lo sguardo, mentre mi indica con un dito la porta d'uscita del garage, da cui esco sbattendo violentemente i piedi atterra manco avessi cinque anni.
«Ma Michele-» provo a contrattare, sapendo benissimo il motivo per il quale Michele ha deciso di farmi scoprire questa cosa proprio oggi.
«Fila, Margherita.» sta iniziando a fare la voce grossa, ma io non mi lascio abbindolare: la regola vale solo per le feste importanti, e domani è un giorno qualunque.
Non appena varco la soglia della sala da pranzo, dove si sono riuniti tutti quanti, cala il silenzio.
Melissa mi guarda preoccupata, Michele con lo sguardo vittorioso. Guardo quest'ultimo ed accenno un sorriso finto quanto le monete di cioccolato, avvicinandomi ad un palmo dal suo naso ed assottigliando lo sguardo.
Lo prendo per un braccio e lo trascino in corridoio, sotto lo sguardo d'approvazione di mia madre, ed un brusio riprende non appena lasciamo la stanza.
Neanche il tempo di chiudermi la porta alle spalle, che inizio a parlare.
«La regola vale solo per le date importanti, brutto stronzo. E solo per i fratelli. Questa non passa come le altre Miché, stavolta l'hai combinata grossa. Una delle mie migliori amiche!» sbotto, incazzata come una iena.
«E ti chiedi perché ti nascondo le cose.» afferma, guardandomi male dall'alto del suo metro e ottanta. «Sei talmente presa da te stessa, Margherita, talmente egoista, che ti preoccupi soltanto del tuo non sapere. Non ti sei preoccupata di niente, niente! Eri lì, chiusa nella tua bolla di felicità a Bologna. Prima trascuri gli affetti vecchi, per quelli nuovi. Poi pretendi anche di venire a sapere le cose.»
Da questa affermazione sono piuttosto ferita: che fine ha fatto il mio rapporto meraviglioso con lui? Da quando sono la sorella impicciona a cui bisogna nascondere le cose?
«Dopo questa, hai definitivamente chiuso.» scuoto la testa, delusa ed amareggiata, lasciandolo solo in corridoio.

Margherita | Cesare Cantelliजहाँ कहानियाँ रहती हैं। अभी खोजें