• Capitolo XCV •

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La porta di casa si richiuse, mozzando di netto una scia di vento che si era insediata dentro la stanza.
"Accendo il caminetto." disse Zorah, allontanandosi dai due ragazzi.
"Sicuro che vada tutto bene? Sei sbiancato..." chiese la giovane a Blake, rimasto impalato all'ingresso del minuscolo salotto.
Il balancer scostò il mento verso la finestra, i suoi occhi blu riflessero i campi di colza ed erba gatta.
"Credo... credo che andrò a fare un bagno caldo." rispose, come sospeso, "Scusatemi." aggiunse infine, rivolgendosi alle due donne e abbandonando in fretta la camera.

Skyler lo guardò andare via, con occhi inquieti, celando una preoccupazione che iniziò a smuoverle lo stomaco.
L'amica, allora, gettò dentro al fuoco l'ultimo ceppo di legna secca e la osservò con estrema tenerezza.
"Forse è meglio che io vada..."
"No." replicò subito lei, "Per favore, resta ancora un po'." le disse, afferrandole una mano e accompagnandola a sedersi insieme a lei sul divanetto, "Continua col tuo racconto!"
Zorah accennò un sorriso non troppo convinto, "Beh, quello che avevo da dirti te l'ho detto. Lavorerò come sarta presso la signora Dowenfield, tutto qui. La paga tuttavia mi sembra buona... in più Joshua sembra essersi davvero convinto di trasferirci al villaggio. Sarebbe la soluzione migliore per entrambi."
"È davvero fantastico..." rispose Skyler, con occhi lucidi, "Alla fine le cose sembrano finalmente girare per il verso giusto, non è così?"
"Sì, è vero. La felicità non è forse poi così lontana."
Zorah le strinse una mano e la osservò con serietà.
La giovane sorrise, tuttavia non riuscì a sostenerne lo sguardo. Una lacrima trasparente come ghiaccio scivolò via dal viso ma riuscì a nasconderla, alzandosi di scatto dal divano e riprendendo a parlare con tono quasi esaltato.
"Dovresti restare per cena!" esclamò, dirigendosi frettolosamente verso la dispensa.
L'amica corrugò istintivamente la fronte, "Sai che mi è impossibile... devo rincasare prima che sia buio o Joshua inizierà a credere che qualche balordo mi abbia derubata o chissà che altro."
"Allora fermati qui per stanotte!" insistette, frugando freneticamente tra provviste e pentolini, "C'è una brandina libera nella stanza sul retro! Vado a prendere delle coperte! Magari quelle che abbiamo cucito insieme l'anno scorso! Te le ricordi?"
"No, ferma..." la donna si alzò, provando a bloccare il passaggio verso il corridoio.
"Che problema c'è?!" le disse la ragazza, isterica, "Fammi passare!"
"Skyler..." riprese Zorah, con calma "Skyler, non posso restare."
La giovane, a quel punto, si zittì e arrestò la frenesia.
Deglutì vistosamente e grossi lacrimoni presero a fluire lungo tutto il viso, bagnando il colletto del lungo maglione di lana.
"Vieni qui..." le fece l'amica, abbracciandola con sincero istinto di protezione e accogliendo quel pianto improvviso sul suo petto, "Che ti prende?"
"Ho paura..." le rispose, ritornando in su con la schiena e asciugando gli occhi, "Ho paura che possa succedere qualcosa a Blake. Ho paura che... qualcuno o... o qualcosa possa portarmelo via."
La donna sembrò inizialmente confusa e le chiese maggiori spiegazioni, ma Skyler non riusciva a risalire lungo il filo logico dei discorsi, era come se credesse che confessare a qualcuno quei sogni ricorrenti li potesse rendere in un certo modo reali, concreti.

"C'è un incubo..." disse poi, deglutendo "Un incubo che faccio sempre, quasi ogni notte. E mi tormenta."
Zorah si fece seria in viso, "E cosa ti accade in questo sogno?"
Skyler alzò gli occhi arrossati verso l'amica, "Non è a me che succede qualcosa. È a lui che..."
Si bloccò e l'immagine di Blake ripiombò davanti. Chiuse allora le palpebre, solo per un'istante, e spazzò via dalle iridi quel ricordo.
"C'è Mr. Peace..." riprese, digrignando i denti, "Lui mi parla e... ed ogni volta aggiunge qualcosa di più. Ogni cosa diventa sempre più dettagliata, notte dopo notte. Come se le immagini e i discorsi diventassero più nitidi, completi."
"Cosa ti dice nel sogno."
Si guardarono negli occhi, osservandosi con tacita gravosità.
La giovane prese un respiro e, non prima di aver serrato la mandibola, emise "Dice che lo vuole, Zorah. Vuole... vuole lui."

***

"Le ho iniettato venti milligrammi di corticoxanticina." disse il medico, estraendo dalla vena di Mr. Peace una canula, "Se durante la notte gli spasmi diminuiranno, procederemo ad aumentarne la dose."
Ripose la strumentazione dentro una lucida valigetta in pelle, posata ai piedi del gonfio letto.
L'anziano ruotò la testa in direzione dell'uomo, "I miei organi mi stanno abbandonando, dottore. Non è così?", sorrise quasi divertito dall'ironia della sorte che gli era toccata, "Tutto mi abbandona. Prima il mio miglior soldato... poi il mio stesso corpo. Non lo trova buffo?"
"L'emorragia ha intaccato anche il fegato." replicò con estrema professionalità l'uomo, "Ma se la nuova cura avrà successo, possiamo prevedere che entro..."
"Al diavolo le ipotesi." lo interruppe Mr. Peace, sprofondando il capo sul guanciale, "Mi dica solo quanto mi resta, dottore. Senza inutili arzigogoli. Il mio corpo si sta disintegrando, è vero, ma la mia mente è ancora sufficientemente lucida per capire che non posso permettermi vane speranze. Ci sono ancora parecchie cose che devo mettere a posto prima che io mi dissolva nel nulla... per cui me lo dica, dottor Laslovijc, mi dica quanto tempo ho per farlo."
Il medico stirò il mento leggermente in avanti e si prese qualche attimo per riflettere e poter dare al suo superiore una stima quanto più accurata.
"Otto-nove mesi, signore. La malattia è ormai ad uno stadio molto aggressivo e, presto, le cellule cerebrali inizieranno ad entrare in apoptosi."
"Uhm..." si limitò a commentare l'anziano.
Fece, allora, segno al medico di avvicinargli la sedia a rotelle e, con evidente difficoltà, riuscì a prendervi posto sopra.
Raggiunse il tavolino in ebano e si versò tre dita di cognac bollente, gocciolando un po' d'alcol sul lucido piano. Per quasi un'ora non aggiunse altro. Aveva congedato il dottor Laslovijc e imposto che nessuno entrasse nelle sue camere fin quando non lo avrebbe richiesto lui. Si fermò di fronte alla grande vetrata, ad osservare l'arrogante panorama dell'immensa metropoli per cui aveva speso un'intera vita. Chissà quante altre volte l'avrebbe guardata ancora così, chissà quante altre volte avrebbe assaporato quel pungente sapore ambrato che gli anestetizzava la punta della lingua.

OSMIUM - Il pianeta senza amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora