Capitolo 26: il nostro amore

17.8K 269 25
                                    

Insieme a Can arrivano in commissariato anche Sanem, Leyla ed Emre, la situazione si rivela più grave del previsto. Fabbri ha gonfiato nella denuncia i capi di accusa portando Can in escandescenza anche davanti al poliziotto che lo stava interrogando.
Sanem è l’unica che riesce a parlare per qualche minuto con lui.

Can: "Non piangere per favore, lo sai che non mi piace vederti così"

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Can: "Non piangere per favore, lo sai che non mi piace vederti così".
Sanem: "Non sto piangendo, Can cosa accadrà ora?"
Can: "Niente Sanem, stai tranquilla, abbiamo un avvocato che si occuperà di tutto, per questo non c’è bisogno di piangere".
Sanem: "Tutto è successo per colpa mia, mi dispiace davvero tanto, non avrei mai immaginato Can"
Can: "In questo momento sta accadendo tutto quello che Fabbri voleva, per renderci infelici. Se ti preoccupi e piangi, otterrà quello che vuole. Gli permetteremo questo? Sanem, non rimanete qui, andate in agenzia".
Sanem: "Non ti lascio qui da solo, impossibile"
Can: "Qui ora non mi sei di aiuto, vai in agenzia, c’è tanto da fare, prenditi cura di loro, va bene?".
Sanem: "Ok….va bene. Seni çok seviyorum".
Can: "Bende seni seviyorum"
Dopo aver ascoltato Can, Sanem ritorna in agenzia con Leyla ed Emre. Le voci e i pettegolezzi rimbombano nella testa di Sanem. Deve fare qualcosa, è necessario per far uscire Can di prigione.

Can

Il mio dolce e delicato uccellino del mattino, quanto ancora le dovevo fare male a causa dei miei gesti e delle mie parole? Sanem stava pagando a caro prezzo il fatto di amarmi. Dovevo e volevo essere l’uomo capace di difenderla e proteggerla, ma come potevo farlo dietro le sbarre? Come potevo stare accanto a lei nella vita se non facevo altro che fare enormi errori uno dietro l’altro? Quell’amore che provavo per lei mi stava consumando, e mi rendevo conto che a consumarsi era anche la mia calma e il mio buonsenso. Il cervello si staccava dal corpo ogni volta che la rabbia, la gelosia o altro prendevano il sopravento su di me. Perdevo il controllo, consumavo e bruciavo quell’amore con una forza che non credevo, con comportamenti che non facevano parte di me. Lei per me era il bene assoluto, come il male assoluto in determinate circostanze. Ogni volta che cercavo di fare del mio meglio, finiva che facevo del mio peggio. Le avevo detto di andare in agenzia, di tornare a lavoro. Ero stato un fottuto bugiardo, desideravo che rimanesse con me, che mi sostenesse e che mi parlasse oppure che rimanesse in silenzio guardandomi con quei suoi occhi spettacolari. Il problema era solo uno, che mi vergognavo terribilmente che mi vedesse in carcere, preda dei miei oscuri demoni e cosi l’avevo mandata via, perdendo un pezzo di me. Così mi succedeva ogni volta che Sanem si allontanava da me anche solo per un secondo, io….io cadevo a pezzi.

Sanem


Mi sedetti alla mia scrivania, quella che avevo scelto fin da subito, lontana da sguardi indagatori e da bocche che non vedevano l’ora di pronunciare domande. Lavorare mi era impossibile, la stanza degli archivi era il mio rifugio, dove spesso Can veniva a farmi visita con qualche scusa. Mi aspettavo di vederlo comparire da quella porta, magari ricordandomi la password del mio computer, che dimenticavo sempre, almeno finché non fu lui stesso a scriverla su quel post.it che avevo attaccato sullo specchio di camera mia. “Albatros”. Il mio albatros era stato ingiustamente chiuso in quella gabbia fredda, grazie all’astuzia e alla perfida di un uomo. C’erano giorni dove mi chiedevo quanto l’ego umano potesse coincidere con la cattiveria dell’animo. Molte persone, uomini e donne si facevano artefici di gesti e di menzogne che rovinavano o cambiavano radicalmente la vita di coloro a cui essi erano rivolti e lo facevano con tale tranquillità, come potevano dormire la notte? Non ero presente al momento in cui Can aveva sferrato il pugno a Fabbri, ma questo aveva poca importanza, conoscevo l’uomo che amavo e avevo imparato a conoscere anche quell’uomo che più passavano i giorni meno mi piaceva. Ero tornata a lavoro come Can mi aveva detto di fare, mi sentivo però io come un albatros in gabbia, incapace di agire. Starmene con le mani in mano, con lui al commissariato e accusato ingiustamente era una cosa che non potevo tollerare. Dovevo essere forte e agire, agire per lui. Ogni volta che avevo fatto qualcosa con tutte le buone intenzioni del mondo era finita male. Non avevo però altra scelta, dovevo togliere il mio amore da quel posto e se questo implicava mettermi ulteriormente nei guai con Fabbri, non ci avrei pensato un secondo. Sapevo bene come far cambiare idea a quel mostro dai modi gentili.

"La storia di Sanem & Can"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora