Capitolo XXXVI

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36.

Marta guardò Loredana impegnata alla guida e le mormorò per ennesima volta un grazie. Era sabato mattina e quel giorno ricorreva il mesiversario della morte di Flavia Corsi. Ogni mese, di venti, la famiglia organizzava una messa celebrativa nella parrocchia del suo paese di provenienza, nel beneventano. Marta non aveva mai trovato il coraggio di andarci, sebbene avesse sempre voluto farlo. Era scesa a patti con la sua coscienza e aveva anteposto la sua professionalità ai suoi principi, ma non aveva mai digerito il senso di colpa verso quella ragazza. Difendeva il suo assassino, o comunque presunto tale, e all'ultima udienza era riuscita pure a segnare un forte colpo all'impianto accusatorio.

Non credeva di poter riuscire veramente a ottenere un'assoluzione, ma l'aver visto per la prima volta il dolore dei suoi genitori la fece sentire orribile solo per averci provato.

Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo sprezzante che le rifilò la madre di Flavia Corsi a fine udienza. Il viso era arrossato dal pianto e aveva stretto compulsivamente tra le mani un fazzoletto usato.

Gli occhi di quella madre l'avevano quasi fatta sentire complice di quell'omicidio. Come se tentare di dimostrare un'innocenza in cui non credeva nessuno fosse l'ennesimo omicidio della memoria di Flavia Corsi.

Quel giorno Marta aveva preso coraggio e aveva deciso di presenziare in disparte alla messa. Dentro lo studio e l'aula avrebbe indossato la toga e sostenuto con convinzione la posizione del suo assistito, ma fuori era una persona che voleva chiedere perdono.

Loredana si offrì di accompagnarla all'andata, dato che la sua auto l'aveva prestata a Federico.

Era lievemente agitata, perché non era sicura di stare facendo la cosa giusta. Internamente sentiva di doverlo fare, per la sua coscienza almeno, ma si era imposta di mantenere un profilo bassissimo. Non aveva intenzione di farsi vedere dalla madre di Flavia, né riteneva fosse appropriato che l'avvocato dell'imputato del processo per omicidio della ragazza presenziasse alla messa commemorativa.

Loredana aveva aspettato che fossero quasi arrivate in quel paese sulla collina, ai piedi del monte Taburno, prima di chiederle di Lorenzo.

Marta non aveva molto da dire. L'ultima settimana era stata terrificante. Si erano completamente ignorati e avevano parlato di lavoro solo due volte. Lui non la guardava nemmeno in faccia e lei faceva altrettanto. Le sembrò di essere tornata ai primissimi tempi, quando il non guardarsi in faccia era la parvenza altezzosa di chi riteneva che l'altro non fosse meritevole della propria attenzione. E faceva molto male sentirsi come allora, dopo tutto quello che avevano condiviso. Provocava l'amara sensazione che non fosse mai accaduto.

«Marta, io non mi voglio intromettere, ma sei sicura?»

«Lori, vorrei tanto sbagliarmi, ma sì, sono sicura.»

«Ma tu sei-...»

«Innamorata di lui? Sì, lo sono. Ma in certi casi l'amore non basta. L'ho capito tanto tempo fa questo.»

Loredana si morse il labbro in difficoltà, sentendo sulla lingua tutto il suo senso di impotenza.

«Come vuoi.»

Giunte in prossimità della piazza principale, Loredana accostò prima dell'ingresso della zona pedonale. Marta la ringraziò con un caloroso bacio e la rassicurò sul fatto che avrebbe preso un autobus al ritorno.

S'incamminò per il paese in fermento per la pasqua del giorno successivo. Nella piazza principale, proprio fuori la chiesa, erano stati allestiti degli addobbi in vista della resurrezione di Cristo. Molte persone erano in strada per scambiarsi auguri, colombe e uova pasquali.

Se dio fosse stato donnaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora