Capitolo XXVIII

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28.

C'era un silenzio tombale nell'auto. Lorenzo aveva lo sguardo fisso sulla strada, Marta verso la città che le scorreva sotto gli occhi.

Non avevano molto da dirsi in quei giorni. Si comportavano come se la sentenza di condanna pesasse sulle loro di teste, come se fossero loro a rischiare la libertà personale.

Il caso aveva avuto un'impennata decisamente disastrosa. Quel pomeriggio di qualche giorno prima nello studio dell'avvocato Borrelli non lo avrebbero dimenticato facilmente.

Avevano fissato lo schermo come due fantasmi. Avevano recepito le informazioni provenienti dai media con la stessa atrocità del rintocco funebre delle campane. Come se fosse finita, come se avessero ricevuto un verdetto negativo inoppugnabile.

Si erano ritrovati a fronteggiare il panico più totale.

Umberto Borrelli aveva guardato i suoi due giovani collaboratori con una smorfia di disappunto.

«Signori, questo è quanto.»

«Dobbiamo subito andare in Procura e vedere che cosa hanno trovato. E non è certo che sia l'arma del delitto, ancora devono fare i dovuti accertamenti.» puntualizzò Marta, cercando nei meandri del suo sconforto una traccia di ottimismo.

«Sì, fino a quando non sappiamo per bene che cosa hanno in mano, non possiamo muoverci. C'è da dire che qualora fosse stata davvero ritrovata l'arma del delitto nello zaino di Fabio, il giudice non avrà problemi a decidere.» commentò Borrelli grave «Qualche idea?»

«Ma perché sti cazzo di pubblici ministeri debbano sempre violare il segreto con ste fughe di notizie io non lo so! Questa è una violazione bella e buona della legge!» sbottò alterato Lorenzo «Lo hanno chiamato un difensore, no?!»

Umberto Borelli lo guardò con una serietà che mise in allerta Lorenzo.

«Guarda tu stesso.»

Qualche attimo dopo a essere inquadrata fu l'avvocato Donatella Fiore. La madre di Lorenzo, accorsa subito sul posto non appena ebbe ricevuto la chiamata da Maurizio Grasso che l'aveva nominata difensore, fissava le telecamere con la sua aria arcigna e sicura.

Lorenzo guardò allibito la madre rilasciare dichiarazioni ai microfoni con le quali affermava la totale estraneità ai fatti del suo assistito.

«Non ci credo!» mormorò affranto, portandosi una mano in fronte.

Marta fissò Lorenzo preoccupata e lo avrebbe abbracciato se non ci fosse stato Umberto. Era avvilito e si vedeva: l'idea di dover avere a che fare con la madre lo torturava.

«Lorenzo, mi dispiace. Sai bene che mai avrei voluto tua madre tra le scatole. La cosa rassicurante è che molto probabilmente non ci sarà al processo, a meno che Maurizio Grasso non dovesse essere chiamato quale testimone assistito. I processi comunque viaggeranno paralleli.»

Lorenzo fece una smorfia, per nulla rassicurato. Sapeva bene che ci sarebbe stata comunque l'occasione per avere a che fare con lei; era inevitabile.

«Detto questo, andate in Procura. Voglio i verbali d'ispezione e sequestro, il nome del supertestimone e informazioni sull'arma.»

Con quell'ordine si erano congedati. Dopo l'accesso agli atti in Procura e un piccolo e breve scontro tra Lorenzo e la dott.ssa Barone nel corso del quale Lorenzo aveva accusato il p.m. di aver fatto trapelare notizie ai giornalisti per risollevare l'immagine della Procura dopo la riapertura delle indagini, Lorenzo e Marta riuscirono ad avere un quadro più chiaro dell'attuale situazione.

Il supertestimone si chiamava Angelo Covelli. Era uno studente di economia che frequentava gli stessi corsi di Maurizio e Fabio. Dalle informazioni che erano riusciti a ottenere, pare fosse un ragazzetto timido e molto dedito allo studio che non aveva mai avuto rapporti con i due ragazzi. Aveva impiegato molto tempo per trovare il coraggio di andare dagli inquirenti per raccontare cosa aveva visto.

Se dio fosse stato donnaWhere stories live. Discover now