Prologo

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Marta Bianco aveva solo ventiquattro anni quando sentì nominare per la prima volta Lorenzo Anselmi.
Sulle spalle portava il peso dei sacrifici fatti e tra le dita stringeva la sua inseparabile ventiquattrore, mentre a testa alta si districava tra i corridoi affollati del tribunale di Napoli.
Era ormai trascorso un anno da quando aveva iniziato la pratica forense, ma in quel luogo percepiva ancora distinta la sensazione di essere catapultata in una giungla di animali feroci.
Per un neolaureato in giurisprudenza, gli edifici del Palazzo di Giustizia di Napoli fungevano da fionda verso il mondo del lavoro e come per un bambino con il seno materno, lo svezzamento improvviso era traumatico e destabilizzante. Una volta conseguita la laurea, il giurista in erba viveva un vero e proprio stato di abbandono e quelle mura universitarie così opprimenti e tanto odiate, finivano con l'essere rimpiante.
Marta aveva lasciato da parecchio la calda culla della Federico II, ma l'inadeguatezza e la sensazione di essere abbandonata a se stessa talvolta la sopraffacevano ancora. Un lieve tremolio alle gambe la scuoteva, quando incrociava gli sguardi efferati dei suoi colleghi nascosti dietro imponenti sorrisi di circostanza ed era in quei momenti che si aggrappava alla presenza rassicurante del suo dominus che le sfilava accanto.
Marta sapeva che la paura di non essere all'altezza l'avrebbe sempre accompagnata, ma tra l'essere un pesciolino in un mondo di squali ed essere squalo anche lei, avrebbe sempre scelto di essere il predatore e mai la preda. Perciò agiva sempre allo stesso modo: ingoiava l'insicurezza per reprimerla negli angoli più remoti della sua essenza e sfoderava il suo sorriso da predatore.
Non avrebbe mai mostrato le sue debolezze; agli occhi altrui, Marta Bianco appariva fiera come un'aquila e inscalfibile come il granito. Aveva la giusta tempra per poter diventare un giorno avvocato penalista: fredda, cinica e caparbia a tal punto, da lottare per le sue ragioni fino all'ultimo respiro.
Solo un nervo rifiutava di nascondersi dietro quell'imponente corazza di compostezza; come il pelide Achille, anche Marta aveva un tallone vulnerabile alle cuspidi nemiche: essere una femminista convinta, quasi fondamentalista.
Sin da ragazzina aveva guardato con ammirazione quelle donne che avevano lottato contro il pregiudizio di una società machista per guadagnarsi un posto accanto all'uomo e lei della loro forza ne aveva fatto un modello di vita. Non sapeva dire se fosse stato a causa di una predisposizione caratteriale originaria dalla nascita, o di una convergenza di concause verificatesi nel tempo, stava di fatto che il femminismo aveva trovato in lei terreno fertile per porre radici.
Marta sarebbe potuta passare sopra a qualunque insulto alla sua persona, a condizione che non la si sminuisse perché donna.
Non era tipa da: "dietro un grande uomo, c'è sempre una grande donna"; si riteneva troppo ambiziosa e capace per accontentarsi di un posto all'ombra. Era alla luce che voleva stare, magari al fianco di un uomo, ma sicuramente mai dietro.
La sua avversione al maschilismo non le aveva però reso la vita facile; per incompatibilità di visioni era scappata da famiglia, relazioni sentimentali e credenze religiose che trovavano nel suo sesso, presupposti per doveri astrusi e fondamenti di un'incomprensibile inferiorità.
Marta era una di quelle che la sera, quando il sonno faticava a sopravvenire e si trovava a fissare il soffitto per guardare in faccia i suoi pensieri, si chiedeva se esistesse un Dio e di che sesso fosse.
Sospettava fosse uomo, o in extremis, una donna con tendenze autolesioniste.
Almeno fino a quel giorno.
Si sistemò la borsa sulla spalla, mentre seguiva l'avvocato Borrelli verso l'ascensore che li avrebbe condotti alle aule di udienza, quando l'uomo trasalì e si voltò a guardarla allarmato.
«Marta, hai portato quello che ti avevo chiesto?» chiese l'avvocato, leggermente agitato.
La giovane donna ghignò soddisfatta e annuì con il capo.
«È tutto nel fascicolo.»
L'avvocato Borrelli, uomo di mezza età e venticinque anni di esperienza, sospirò rincuorato e le sorrise riconoscente e Marta si sentì più leggera, come ogni volta che dimostrava efficienza e affidabilità.
Si misero in fila per attendere il loro turno e Marta iniziò ad avvertire lo stomaco farsi più pesante a causa dell'udienza imminente. Decise di sfruttare l'attesa per sfogliare sommariamente gli atti e cercare di fare mente locale sulla strategia difensiva, ma una voce calda maschile attirò la sua attenzione, distogliendola dal suo intento.
«Zio Umberto, che piacere!»
Marta sollevò lo sguardo, incuriosita, e quando vide un uomo alto e ben vestito salutare calorosamente il suo dominus, inclinò il capo di lato, interessata.
Aveva il brutto vizio di fissare con insistenza le persone, specie al loro primo incontro, e anche in quell'occasione non si tirò indietro: socchiuse gli occhi e con minuzia passò in rassegna ogni dettaglio dell'aspetto di quell'uomo.
Era quasi certa che non fosse di molto più grande di lei, ma il portamento fiero e l'aria da padrone del mondo davano prova del fatto che lui, in quei corridoi, ci bazzicava da più tempo.
Non era una donna che solitamente si lasciava impressionare da un bel faccino e ampie spalle, ma doveva riconoscere che quell'uomo, con i suoi colori bruni e le movenze sicure, fosse dotato di un fascino accattivante. C'era un qualcosa nel suo sguardo che la incuriosiva; un'aura sinistra e pericolosa si celava dietro quei normalissimi occhi color nocciola e quando se li sentì puntati addosso, trasalì, allarmata.
Lo sconosciuto non solo si era accorto delle sue occhiate insistenti, cogliendola in fallo, ma in quel momento aveva preso a fissarla anche lui. Le sue iridi scure squadrarono con interesse il suo corpo, mettendola a disagio, e quando tornarono a incastrarsi nei suoi occhi verdi, le sorrise sfacciato.
L'avvocato Borrelli notò con qualche secondo di ritardo lo scambio di sguardi tra i due giovani e resosi conto di non aver dato luogo alle presentazioni, si portò una mano in fronte, desolato.
«Toh, che maleducato! Lorenzo, permettimi di presentarti Marta, la mia praticante.»
Lo sconosciuto sollevò le sopracciglia e i suoi occhi si illuminarono di stupore.
«Avvocato Lorenzo Anselmi, molto piacere!» disse, allungando un braccio.
«Marta Bianco.» scandì lei, stringendogli la mano con sicurezza.
Non sciolsero subito la stretta delle loro mani; Lorenzo Anselmi studiò ancora qualche attimo la giovane che gli era di fronte e a Marta non piacque per niente il ghigno beffardo che gli s'increspò tra la barba curata.
«Lei è giovanissima» constatò l'uomo sorpreso.
Marta s'impettì, lusingata dal complimento, e proprio quando fece per dischiudere le labbra e ringraziarlo, Lorenzo Anselmi proseguì, anticipandola.
«Vuol dire che ha tutto il tempo per trovare una seconda scelta.» affermò serafico «Ha mai pensato a qualche concorso? Magari magistratura, o qualche posto di rilievo in pubblica amministrazione.»
Quel grazie avventato che fu in procinto di capitolare fuori dalla sua bocca, fu immediatamente ingoiato dallo sgomento che paralizzò Marta e dalle sue labbra uscì solo un verso indefinito.
«C-come prego?» farfugliò la ragazza, spiazzata.
Lorenzo Anselmi le rifilò un'occhiata compassionevole e sospirò in un modo così teatrale, da mettere Marta sulla difensiva.
«Signorina, mi dia retta. Cambi mestiere.» asserì convinto «O quantomeno passi al civile. Il penale non è un mondo per avvocati in gonnella.»
A Marta per poco non andò la saliva di traverso.
Le costò una fatica immane contenere il tremolio che le si propagò nelle viscere, ma armandosi di tutto il suo contegno, ingoiò la bile amara che le impastò la bocca e represse il disgusto.
Del sorriso lusingato che provò a insidiarsi prima sul suo volto non ce ne fu più traccia e al suo posto si manifestò una smorfia talmente innaturale, da apparire storta agli occhi altrui.
«Ragazzi...»
Marta fece un respiro profondo e l'occhiata melliflua che rifilò al suo interlocutore contrastava palesemente con la repulsione che ardeva nelle sue iridi verdi.
«Non si preoccupi, avvocato.» lo rassicurò lei, sorridendo tagliente «Io indosso sempre i pantaloni.»
Non fu un semplice scambio di sguardi quello che seguì il loro botta e risposta; Marta e Lorenzo con gli occhi si dichiararono guerra.
Marta Bianco quel giorno si convinse che Dio fosse uomo, perché se Dio fosse stato donna, non avrebbe permesso che si radicasse la pregiudizievole convinzione che le donne fossero socialmente inferiori agli uomini. Se Dio fosse stato donna, non le avrebbe mai condannate al ciclo mestruale una volta al mese. Non poteva proprio pensare che fosse donna, perché era una vita che non faceva altro che lottare contro chi voleva impedirle di dimostrare il suo valore.
Se Dio fosse stato donna, non le avrebbe inferto un colpo così basso, perché per Marta incontrare Lorenzo Anselmi fu quanto di peggio potesse capitarle.

**Note dell'autrice**

Mia adorate lettrici! Vi avevo detto che questa storia l'avrei pubblicata solo su EFP, ma ho deciso di postarla qui per farmi un po' perdonare della mia assenza.
Mi sento un po'in difetto nei vostri confronti e così ho deciso di pubblicare questo altro delirio come segno del fatto che, anche se non sono più presente come una volta per le ragioni che sapete, io vi penso sempre.
Detto questo, vi piace? Vi intriga? Qual è la vostra prima impressione? Sono molto curiosa di conoscere la vostra prima opinione!
Comunque, da oggi in poi faremo così! Alternerò un capitolo di questo nuovo delirio e un capitolo del sequel di Deontologicamente scorretto.

Vi aspetto con ansia! Siete la mia forza!

A presto <3 <3

Se dio fosse stato donnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora