Capitolo IV

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Marta scontrò il suo Negroni con i bicchieri pieni delle sue due amiche: Loredana e Silvia.
«Al “dio uomo”, che non smette mai di perseguitarmi!» brindò, facendo una smorfia seccata, prima di tracannare una generosa sorsata del suo cocktail.
«Fammi capire bene.» esordì Loredana perplessa «Il tuo capo ti ha imposto di lavorare con quest’uomo, a tuo dire “il più stronzo e maschilista esistente sulla Terra”, al caso di omicidio di Flavia Corsi?» si accertò la mora sconvolta.
«Esatto.» confermò Marta, sospirando «Hai presente quando ti dicevo: “la cosa peggiore che potrebbe mai capitarmi è incontrare un maschilista?” Ecco, si è appena verificata!» esclamò, tirando un sorriso finto.
Loredana e Silvia si lanciarono un’occhiata sbalordita e guardarono con preoccupazione la loro amica che cercava invano di trovare conforto in un bicchiere di alcool.
«Almeno è gnocco?» indagò Silvia, inarcando un sopracciglio.
Marta grugnì di fastidio e sopraffatta dal senso di spossatezza, si accasciò disperata sul bancone.
Non avrebbe mai ammesso ad alta voce che Lorenzo Anselmi, per quanto detestabile, fosse un uomo molto attraente, piuttosto si sarebbe fatta fustigare.
«È solo uno stronzo patentato!» mugugnò, nascondendo il viso tra le braccia.
«Peccato!» commentò Silvia delusa «Sarebbe stato più soddisfacente prendere a schiaffi un bel faccino!»
Le tre donne risero di gusto e Marta si voltò a guardare le sue più care amiche con un sorriso sollevato.
Erano passati ormai dieci anni da quando si erano conosciute e Marta prima di loro non avrebbe mai immaginato che si potesse instaurare un rapporto così puro e sincero con altre persone.
Nel corso della sua adolescenza aveva avuto tante amiche al suo paese, ma non si era mai mostrata interamente nella sua essenza; aveva sempre mantenuto alta la guardia, pronta a proteggere se stessa da ulteriori delusioni, ma quando conobbe Silvia tra i banchi della facoltà di giurisprudenza, colpita dalla schiettezza della bionda e dopo il primo incontro con Loredana, studentessa di psicologia e amica di infanzia della prima, Marta riuscì a cogliere per la prima volta il significato della parola amicizia.
Dopo tanto tempo, Marta si sentì meno sola e le venne naturale aprire il cuore.
Da quel giorno le tre donne divennero inseparabili; non c’era un singolo dettaglio della vita dell’altra di cui non erano al corrente e si erano conosciute così a fondo, da aver imparato a interpretarsi con un solo sguardo.
Entrando nel mondo del lavoro, si erano ripromesse che non si sarebbero mai perse di vista e così nacque la loro tradizione: ogni giovedì sera si incontravano nel loro bar di fiducia e si aggiornavano sulle rispettive novità.
«Comunque sei sempre in tempo per passare al tributario.» propose Silvia con un sorriso sghembo.
«Scordatelo!» la schernì Marta, inorridita «Piuttosto cambio mestiere, anziché occuparmi di cartelle di pagamento e avere a che fare con l’Agenzia delle Entrate!»
Un’altra risata coinvolse le tre ragazze e dopo un altro brindisi a cose stupide, Marta, più leggera, si sentì improvvisamente mettere sotto torchio dagli sguardi insistenti e sfumati di malizia delle sue amiche.
«Perché mi guardate così?» domandò la donna dagli occhi verdi sulla difensiva.
«Novità con Bruno?» indagò Loredana, ammiccando.
La giovane avvocatessa sbuffò sonoramente e prese una lunga sorsata del suo drink.
«Calma piatta.» rispose di getto, facendo una smorfia «Forse mi sto solo illudendo di piacergli, quando in realtà mi vede solo come un’amica.» confessò delusa.
Loredana e Silvia aggrottarono la fronte e si scambiarono un’occhiata perplessa.
«Saresti il primo caso al mondo di donna “friendzonata”, credo.» commentò la bionda, dubbiosa.
«Silvia!» la richiamò Loredana, rifilandole una gomitata «Marta, non ascoltarla!» ordinò la psicologa, puntandole il dito contro.
«Tranquilla, Lori.» mugugnò Marta rassegnata «Ho smesso di dare peso a un uomo da tempo.» mormorò atona.
Loredana addolcì lo sguardo. Sapeva bene a cosa si riferisse la sua amica; Marta Bianco era stata delusa da tutti gli uomini della sua vita e dietro quella corazza dura indossata con fierezza e ostinazione, si celava un cuore grande terrorizzato dalla paura di soffrire ancora.
«Forse lo intimorisci.» ipotizzò la psicologa, sorridendo «Sei una donna forte e sicura, magari è lui ad avere paura di non piacerti!»
Marta corrugò la fronte e giocherellò assorta con la cannuccia nel bicchiere. Forse Loredana aveva ragione, dopotutto tra lei e Bruno c’erano stati segnali inequivocabili, eppure preferì rimanere con i piedi per terra: sapeva bene quanto facesse male cadere col sedere al suolo a causa di un’illusione e lei non voleva trovarsi ancora una volta con i piedi all’aria, a raccogliere pezzi di cuore tra la polvere.
«Forse ha ragione Lori.» convenne Silvia, scrollando le spalle «Magari se fossi meno bacchettona, sareste già usciti!» l’ammonì senza mezzi termini.
«Non sono bacchettona!» protestò Marta oltraggiata, poi incrociò gli sguardi eloquenti delle sue amiche e si morse il labbro inferiore «Lo sono?»
Le due donne annuirono vigorosamente con il capo e Marta gonfiò le guance e incrociò le braccia al petto.
«Non è colpa mia se gli uomini preferiscono le stup-…» provò a difendersi, ma si bloccò di colpo quando scorse in lontananza una figura ormai nota «Oh cazzo!» imprecò, sbiancando.
Loredana e Silvia notarono immediatamente il cambiamento repentino nell’espressione di Marta e si voltarono in direzione del suo sguardo, incuriosite.
Lorenzo Anselmi, vestito di tutto punto e con al fianco una donna dalla bellezza appariscente e le forme giunoniche, stava facendo il suo ingresso nel locale e Marta inorridì, perché di sicuro era l’ultima persona al mondo che avrebbe desiderato incontrare quella sera.
La giovane donna si portò le mani in faccia per nascondersi e d’impulso ruotò il busto nella direzione opposta, nella speranza di passare inosservata.
Credeva ci potesse essere un limite all’odio, eppure Marta detestò Lorenzo Anselmi più di quanto fosse umanamente possibile; il “Blonde” era il suo locale di fiducia da anni, un rifugio da tutto ciò che la stressava e Lorenzo Anselmi, la causa principale del suo malessere, aveva invaso la sua oasi di pace, guastandola.
«Chi è quello?» domandò Silvia, piacevolmente stupita.
«Lorenzo Anselmi.» frignò sconsolata «Che diavolo ci fa qui?!»
Le sue amiche squadrarono con sgomento il bell’intruso e ne avevano sentito così tanto parlar male, che neanche parafrasando o appellandosi alla più fervida immaginazione si sarebbero aspettate una così ampia discrepanza tra le descrizioni di Marta e la realtà.
«Quello è Lorenzo Anselmi?» si accertò Silvia esterrefatta.
«Non guardare!» l'ammonì Marta isterica, abbassando il capo verso il bancone.
Loredana e Silvia osservarono divertite la rigida Marta Bianco andare in panico a causa di un uomo e con la coda dell'occhio controllarono i movimenti dell'aitante collega che si faceva sempre più vicino.
Marta trattenne il respiro, nella timida illusione di apparire invisibile, ma nonostante le preghiere sibilate tra i denti, Lorenzo Anselmi fu in poco tempo alle sue spalle.
L'avvocato Anselmi sorrideva languido alla sua accompagnatrice e quando poggiò una mano sul fianco di Elena per invitarla a prendere posto, le sue iridi marroni si puntarono incuriosite su una figura minuta familiare. Strabuzzò gli occhi, sorpreso, e contenne a stento una risata quando riconobbe Marta Bianco con i capelli davanti al viso e la posa ricurva di chi stava evidentemente cercando di nascondersi.
«Ma che sorpresa!» proruppe l’uomo con un sorriso da guastafeste.
Marta sobbalzò di colpo e si portò una mano al petto per lo spavento, mentre la smorfia seccata che le deformò il viso si opponeva in toto al sadico entusiasmo che aleggiava nel sorriso di Lorenzo.
«Anselmi.» lo salutò Marta fredda, raddrizzando il busto.
«Marta.» ricambiò l’uomo, ghignando beffardo «Come stai?»
«Meglio prima.» borbottò acida, prendendo un sorso del suo Negroni.
Lorenzo ridacchiò divertito e dopo averla squadrata da capo a piedi, una luce sinistra gli brillò lo sguardo.
«Toh, che maleducato!» si redarguì, portandosi una mano in fronte con una teatralità che insospettì Marta «Lei è Elena.» disse, con la fierezza di chi stava sfoggiando un trofeo «Elena, lei è Marta Bianco, una mia collega.»
Marta allungò di malavoglia il braccio e neanche dalla sua espressione si doveva evincere la smania di conoscere quella specie di vatussa dai capelli perfetti e le curve da capogiro contenute in un abito succinto. Abbozzò un sorriso di circostanza e dopo aver fatto su e giù con lo sguardo, constatando con disappunto l’assenza di un qualunque difetto nel corpo statuario della donna, le strinse la mano con decisione.
«Piacere di conoscerti, Elena.» disse, cercando di mascherare il tono seccato.
La bionda ricambiò la stretta e proprio quando fece per dischiudere le labbra, Lorenzo Anselmi le strizzò spudoratamente il gluteo e squittì come un’oca giuliva.
Marta, irritata, inarcò un sopracciglio. Aveva capito dove volesse andare a parare; Lorenzo Anselmi la stava sfidando a mettersi a paragone con quella donna e, implicitamente, a confrontarsi con l’unico prototipo di donna che concepiva: un soprammobile tutto apparenza e niente sostanza. Tuttavia, quando Lorenzo avvicinò le labbra all’orecchio di Elena, il sentore che quel diavolo di avvocato puntasse al suo disagio le suonò alla mente come un campanello di allarme.
«Non le dare troppa confidenza.» la mise in guardia Lorenzo con fare cospiratorio, poi guardò Marta e sogghignò «È un po’ fuori di testa!»
«Oh…» si limitò a commentare la vatussa, ritraendo la mano.
Loredana e Silvia, che nel frattempo stavano assistendo alla scena allibite, videro Marta sfoderare il suo sorriso più inquietante e se era vero che conoscevano la loro amica come le loro tasche, quello era solo un riflesso incondizionato del suo viso deformato dalla rabbia crescente, un segnale che lasciava presagire il momento in cui Marta avrebbe mostrato i canini e puntato al collo del suo nemico.
Lorenzo notò il carnato della sua collega farsi paonazzo e con un sorriso soddisfatto in volto, circondò il fianco della sua accompagnatrice e rise sotto i baffi.
«Buon proseguimento di serata, avvocato!» la sbeffeggiò, per poi darle le spalle.
Marta provò a ribattere, ma l’uomo ormai era già lontano. Strinse i pugni ed emise un grugnito frustrato, colpita in pieno stomaco dal senso di insoddisfazione che la sopraffaceva ogni volta che le parole le ricadevano in gola anziché uscire fuori.
Si voltò a guardare le sue amiche e nel suo sguardo aleggiava un misto di risentimento e sconforto.
«Adesso capite perché lo detesto?» le canzonò, sospirando amareggiata.
Non ebbe risposta Marta; solo due paia di occhi sconcertati e un cenno affermativo con il capo.

Se dio fosse stato donnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora