26. Nessun gioco

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I pensieri di Dragana, per tre giorni, avevano gravitato intorno a un unico argomento: suo padre. Non aveva fatto altro che ragionare su di lui, cercando invano di sostituire alla figura del genitore affettuoso e altruista l'immagine di un assassino spietato. Aveva provato anche a riportare su carta quell'accusa, usando per la prima volta il connubio tra il nero del carboncino - che aveva dato forma all'espressione affranta di Crin - e il colore della sanguigna, con cui gli aveva sporcato le mani della sua colpa. Dragana aveva dovuto chiudere gli occhi e immaginare con tutte le sue forze le pieghe a cui il volto del padre si sarebbe adattato, se quel fatto fosse davvero accaduto. Nonostante il disegno realistico che ne era uscito, le sembrava inverosimile associare cinque omicidi all'uomo che l'aveva cresciuta con valori ineluttabili.

«Non capisco perché questa storia ti interessi tanto: è successo diciassette anni fa, vuoi davvero riportare quella disgrazia a galla?» chiese Nastia in un sussurro, sporgendosi oltre il tavolo per escludere le altre persone presenti al Capul Taiat dalla loro conversazione.

«Sì» dichiarò Dragana, addentando uno dei papanasi che avevano ordinato. Sander aveva eletto il martedì come giornata della nostalgia e, tutte le settimane, cercava di riproporre delle ricette italiane: a pranzo le era toccato assaggiare la pasta al pesto che, però, era stata costretta ad avanzare. Forse Sander non era a conoscenza che la cottura massima era di dieci minuti e Dragana non era sicura che avesse utilizzato, effettivamente, del basilico per il condimento. Gli amici, quindi, le avevano proposto di trovarsi al locale per una merenda.

«È macabra, come decisione» commentò Nastia, storcendo il naso.

Dragana deglutì a fatica. «Disse, la ragazza che si è tolta la vita dissanguandosi a una festa pubblica!»

«Quello è un rituale di passaggio, attenta a come parli» la rimbeccò l'amica, assottigliando lo sguardo senza però metterci abbastanza cattiveria. Dragana era abituata alla nonna e a Melissa, le finte minacce di Nastia non potevano farle paura.

«Ragazze» le salutò Sokrat, sedendosi con loro. Al posto del cibo, che avevano già provveduto a ordinare anche per lui, aveva con sé la sua solita macchina fotografica: Dragana, ogni tanto, notava che restava qualche passo dietro di loro e percepiva il conosciuto rumore del flash, ma non aveva mai avuto occasione di ammirare i suoi scatti.

«Voglio solo saperne di più: ti ricordo che a essere accusato di omicidio è mio padre e di sicuro non voglio dover affrontare di nuovo l'argomento con mia nonna.»

«Va bene» cedette alla fine Nastia.

«Quindi, chi erano le vittime?» Dragana rinunciò del tutto al pensiero di un pasto tranquillo: voleva capire se ci potessero essere elementi non presi in considerazione, che avrebbero potuto portarle chiarezza sulla questione.

Nastia non rispose con prontezza, così Dragana lanciò uno sguardo minatorio a Sokrat. Non era più disposta ad accettare bugie.

«Tre Incubi, un Succube e un Notturno» rispose con precisione il ragazzo.

«Vuoi dirmi che un uomo solo è riuscito a uccidere un Notturno, tra gli altri? Ma ci credi a quello che dici?» chiese Dragana, corrugando le sopracciglia per l'assurdità che aveva appena sentito.

Nastia alzò le spalle, noncurante. «Siete Mietitori, avete passato gran parte dei secoli a uccidere i Maledetti, di sicuro conoscete i nostri punti deboli.»

«Be', io non li conosco e, presumo, nemmeno mio padre. Dove è avvenuto lo scontro, perché nessuno se ne è accorto?»

«Dra» la richiamò Sokrat. «Ci stai fantasticando sopra troppo: se non ti fidi chiedi a tuo zio di darti la lettera lasciata da tuo padre e valuta tu stessa. La comunità è rimasta sconvolta da questa vicenda tanto quanto te e sono state fatte le opportune indagini, ma tutte le prove portano a lui» le disse sconsolato.

La Mietitrice [completa]Where stories live. Discover now