7. Vedere per credere

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Dragana rimase per un tempo infinito a fissare il libro che teneva tra le mani. Non era arrabbiata con i suoi genitori, che non si erano mai aperti troppo sulla loro giovinezza e si erano limitati a parlare delle loro radici. Era però sorpresa che le loro vite riconducessero in quel luogo. La conversazione sostenuta poco prima con lo zio la ridestò: l'uomo aveva detto di non aver conosciuto sua madre, quindi probabilmente nessuno sapeva che la donna fosse in realtà cresciuta lì. Se glielo avesse detto, sarebbe cambiato qualcosa? La nonna e Melissa avrebbero smesso di prendersela per il suo sangue sporco, sapendo che entrambi i suoi genitori avevano origini comuni?

Decise che, prima di agire in modo impulsivo, ci avrebbe rimuginato sopra: aveva notato che i membri della sua famiglia erano sensibili ai legami di parentela, quindi meglio sarebbe stato indagare su chi fosse realmente sua madre. Non aveva intenzione di inimicarsi la nonna più del dovuto.

Un bussare leggero la distolse dai suoi ragionamenti e, dal momento che si trovava ancora in piedi di fronte al fuoco e con il libro tra le mani, decise di posarlo sotto le coperte prima di andare ad aprire. Come sospettava, sull'uscio trovò Mac.

«Mi dispiace» sussurrò Dragana, abbassando lo sguardo sui suoi piedi. La stoffa delle scarpe era ancora macchiata dalla bevanda rossa che aveva rovesciato al locale.

«Dispiace anche a noi. A tutti noi» rispose Mac, che rimarcò l'ultima frase quando vide un cenno d'incredulità sul volto di Dragana. Notò che gli occhi della giovane erano gonfi e arrossati e si dispiacque per essere stato causa della sua sofferenza: in pochi giorni aveva compreso che, nonostante l'apparente forza che voleva dimostrare, era in realtà una ragazza ancora troppo fragile per subire le angherie della vita.

«Chiederò scusa a bunică» continuò lei, nonostante entrambi sapessero che non sarebbero state scuse sincere.

«Non ce n'è bisogno, bunică non le accetterebbe. Ma c'è una cosa che vorremmo dirti, è molto importante» l'avvertì zio Mac, posandole una mano sulla spalla e costringendola ad alzare lo sguardo. «Solo che non sappiamo come» concluse.

«L'ho capito, zio Mac» proferì lei, in un sospiro.

Lo zio alzò le sopracciglia: «Davvero?»

Dragana annuì mesta, consapevole di quello che presto le avrebbe detto, così decise di anticiparlo. «Volete mandarmi via, non sono adatta alla vostra famiglia. Ed è vero: non ho nulla in comune con voi, né la lingua, né le origini, né tantomeno l'aspetto» ammise, pur sapendo di non essere completamente sicura del secondo punto.

«Oh, no, copilă. Non è questo che vogliamo» disse lo zio, dispiaciuto che la ragazza pensasse di essere rifiutata. «È vero, sei diversa, ma uguale sarebbe stato se uno di noi fosse stato costretto a venire in Italia: penso che tu e i tuoi genitori l'avreste accettato comunque come parte della vostra famiglia. Ed è quello che stiamo cercando di fare qui, solo che per alcuni è più difficile» cercò di spiegare l'uomo.

Dragana non rispose e Mac notò che aveva abbassato lo sguardo per nascondere nuove lacrime: conosceva quel gesto, anche lui in passato era solito farlo quando non voleva che altri fossero partecipi del suo dolore e lo additassero come un debole. Sorrise mestamente, nel ritrovare una parte di sé nella nipote. Senza aggiungere altro, decise di seguire l'istinto e attirò il corpo esile della ragazza al suo. L'abbracciò con affetto, cercando di farle sentire quanto bene le potesse dare, anche se la conosceva solo da tre giorni.

«Mi mancano così tanto» sussurrò Dragana in italiano, la bocca schiacciata dalla casacca dell'uomo.

Mac le accarezzò i capelli con attenzione, consapevole che non era da lui lasciarsi andare a simili dimostrazioni d'affetto, poi la prese per le spalle e si abbassò alla sua altezza.

La Mietitrice [completa]Where stories live. Discover now