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RYAN

Le risate e le lacrime hanno inondato il salotto in pochi minuti, tra i racconti divertenti sulla mia infanzia e quelli un po' più tristi. Ma in questo momento, mi sento bene, mi sento in pace con me stesso. Andy e mia madre vanno d'amore e d'accordo, come se anche lui fosse sue figlio e questa cosa mi fa piacere.

"Dovevi vederti da piccolo..." continua mia madre con un sorriso malinconico sul volto. "Avevi sempre voglia di fare qualcosa, di imparare. Non ti stancavi mai. Ti ricordi quel vecchio pianoforte?" Chiede e io annuisco.

"Sì, è in camera mia. Non l'ho mosso da li. Mi ricordo che avevo sempre voglia di suonare qualcosa e a volte avevo paura anche di farti vedere i progressi che facevo. Ma alla fine ci sono riuscito e d'allora non ho più smesso di suonare." I suoi occhi si illuminano di felicità e il suo volto assume un'espressione incredula.

"Davvero?" Chiede con un filo di voce e io annuisco ancora una volta. Il suo sorriso si allarga doppiamente ma, d'un tratto, cala il silenzio tra di noi e l'aria si fa più tesa e seria.

"Beh... penso che ora sia arrivato il momento." Afferma lei guardandomi dalla poltrona posta davanti al divano. Andy abbassa lo sguardo e poi si alza in piedi.

"Credo che io debba lasciarvi soli." Fa per andarsene ma mia madre lo ferma per un braccio.

"No. Puoi rimanere qui se vuoi, credo che Rye abbia bisogno di qualcuno in questo momento. Qualcuno come te." Lui annuisce e torna a sedersi affianco a me.

"Non saprei da dove cominciare." Abbassa lo sguardo e inizia a torturarsi le dita a causa del nervosismo.

"Tuo padre..."

"Connor." La interrompo subito. "È un mostro, e io non voglio riconoscermi come suo figlio." Affermo con tono duro e deciso. Lei non ribatte, annuisce e abbassa lo sguardo con un velo di tristezza sul volto.

"Io so che, anche se in questo momento non sembra, tu ce l'hai con me. È normale, ti capisco. Ti ho abbandonato e non ho avuto il coraggio di tornare da mio figlio solo per paura di essere pestata ancora, o di essere uccisa. Ma devi sapere che il mio non è stato egoismo Ryan, io l'ho fatto anche per te. Connor alzava le mani anche su di te, ricordi?"

"Certo che ricordo."

"Mi pareva ovvio. Tornando a noi, lui picchiava anche te. Quel giorno, quel dannatissimo giorno, prima che tu tornassi a casa, mi chiuse in camera con lui e andó avanti a violentarmi per ore. Poi tu sei tornato e io ti ho accolto come sempre. Sei salito in camera tua e la discussione tra me e lui si riaccese. Prese la bottiglia di Vodka che si era appena scolato, e me la sbatté in faccia." Prende la ciocca di capelli e se la sposta dietro l'orecchio. Un lungo taglio si distende sul suo volto fino a nascondersi tra i capelli.
Sento la mano di Andy stringere la mia e in un qualche modo, mi sento sostenuto. Fa male sentire queste parole sul proprio padre. Fa male ricordare certi momenti, e non voglio chiudere gli occhi, perché so che la scena mi apparirebbe davanti ancora e ancora.

"Non ricordo molto di quel momento. Ricordo solo il modo in cui mi guardasti tu." Va avanti puntando i suoi occhi nei miei.

"Non ebbi solo un trauma cranico. Mi si ruppe anche il cuore all'idea di non vederti più. Il giorno dopo tuo padre mi raggiunse in ospedale, inventó lui qualcosa da dire ai medici per me e mi fece dimettere. Poi, mi minacciò. Se fossi tornata a casa, ci avrebbe uccisi entrambi." I suoi occhi sono colmi di lacrime e io cerco di fare respiri profondi per mantenere la calma.

"Ryan, io l'ho fatto per te." Dice sporgendosi verso di me, cercando prendere la mia mano.

"Lo so... ma perché sei tornata ora? Perchè non hai chiamato la polizia? Dove sei stata per tutti questi anni? Rispondi a queste domande, ti prego. Io non ce l'ho con te, so che volevi proteggermi. Ma non puoi neanche pensare che io superi tutto questo facilmente." Stringo la mano di Andy nella mia e lui ricambia.

Don't Let Me Go // 𝐆𝐚𝐲 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐲 Where stories live. Discover now