20. (Haley)

276 18 0
                                    


Stavo già piangendo a dirotto quando Ben suonò l'ultima nota della canzone.

Alzò lo sguardo e, quando mi vide, scoppiò in una sonora risata. «Ma che fai?»

Il mio corpo spasmava cercando di trattenere i singhiozzi in fondo alla gola.

Quando si accorse che facevo sul serio, buttò la chitarra sul letto per venire a consolarmi.

Cercai di coprirmi il viso con le mani, ma prima di riuscirci Ben afferrò i miei polsi e mi fece riporre le braccia lungo i fianchi.

«Piccola, non piangere. Cos'è successo?»

Non riuscii più a trattenermi e i singhiozzi uscirono dalla mia bocca.

Ben mi prese tra le braccia e mi strinse forte.

Non avevo idea del perché fossi esplosa in lacrime. Forse era per via della canzone.

Ma perché mi aveva fatto quell'effetto?

Io, Haley Couper, tipica ragazza ribelle del college, non potevo piangere per una stupida canzone.

Quel pensiero mi scosse ancora di più. Non era una canzone stupida, era la canzone più dolce che avessi mai sentito. E ad ogni suono che usciva dalla bocca di Ben e ad ogni nota che la sua chitarra suonava, io pensavo a me, pensavo a lui, pensavo a noi.

«Non posso portarti alle prove se per una canzone reagisci così» scherzò.

La battuta mi provocò un sorriso e lui se ne accorse. Mi strinse più forte prima di prendermi il viso tra le mani e posizionarlo davanti al suo.

Mi asciugò le lacrime rimaste con i pollici e mi sorrise.

Sospirai, regalandogli anch'io un mezzo sorriso.

Lui si alzò dal letto, prese la chitarra e la ripose al suo posto. «Devo nasconderla nell'armadio o può rimanere lì?»

Sorrisi di nuovo, questa volta con più convinzione, e mi accorsi che ad ogni mio sorriso, anche i suoi si facevano più luminosi.

Rimanemmo per un po' in silenzio. Nessuno dei due sapeva cosa fare. Quando la situazione iniziava a farsi imbarazzante, decisi di parlare. «Allora... hai altre abilità nascoste che vuoi mostrarmi?»

Si fermò un attimo a pensare. «So giocare a biliardo.» Mi prese per mano e mi trascinò via con lui. «Dai, vieni.»

«Non credo sia il caso di...» ma non riuscii a finire la frase.

«Tranquilla, ti insegno io» disse, sprizzando gioia.

Varcammo una porta in fondo al corridoio, dove iniziavano delle scale che portavano al piano di sotto.

Ben accese la luce e io restai un po' scioccata. In mezzo alla grande stanza c'era un grande tavolo da biliardo verde. Lungo le pareti c'erano poster di qualche band: Blink-182, Sum 41, Green Day, Linkin Park... Esattamente le mie preferite.

Ben stava già sistemando le palle nella forma del triangolo, mentre io mi guardavo intorno stupita.

«Ci sono quindici palline, una nera, sette mezze e sette piene» spiegò. «Quella nera...»

«Ben» lo interruppi. «So come si gioca. Anzi, probabilmente sono più brava di te.»

Lui mi guardò divertito. «Ma smettila!»

«Dico sul serio» risposi offesa.

«Va bene. Prima le signore.» Mi passò una stecca. La esaminai: era troppo pesante per me e anche troppo lunga per la mia statura. Guardai le altre stecche disponibili e ne scelsi una più adeguata al mio fisico ma anche al mio stile di gioco. Ben mi stava fissando a bocca aperta, visibilmente sconcertato.

Spaccai e misi subito in buca una palla piena. Feci altre due buche consecutive, ma con l'ultima andò giù anche la palla bianca. Fallo.

Anche Ben mandò giù una palla al primo colpo, ma al secondo sbagliò mira.

Mandai in buca altre due palline, me ne rimanevano altre due e poi la nera. Quando mi preparai a tirare, Ben mi diede una sculacciata e così mancai la buca.

«Non vale!» mi lamentai.

Si divertiva a punzecchiarmi. Rideva sempre più forte man mano che la mia rabbia saliva al vederlo ridere e prendermi in giro.

«Te la faccio pagare, stronzo!» lo minacciai.

Ben imbucò solamente una palla. Ormai la partita poteva dirsi finita. Mirai con cura alla palla davanti alla buca e tirai con molta energia. La bianca toccò la prima pallina mandandola in buca, poi schizzò verso l'altra palla rimasta, imbucando anche questa.

Ben mi guardò esterrefatto. «Ma che cazzo!»

«Io ti avevo avvertito» feci con sguardo malizioso.

Era ancora il mio turno. Un po' mi dispiaceva non avergli dato neanche la falsa speranza di poter riuscire a battermi, così sbagliai di proposito la mira e la palla nera non arrivò alla buca.

Ben imbucò altre due palline, anche se invano.

Afferrai la stecca e mi presi un po' di tempo per mirare il colpo. Non era un tiro difficile, volevo solo farlo stare un po' sulle spine. Imbucai la nera ed esultai vittoriosa.

«Dove diavolo hai imparato a giocare così?» domandò sconfitto.

«Mio padre mi portava a giocare con lui quando ero piccola.» Mi rabbuiai a quel ricordo. «Vuoi la rivincita?» cercai di cambiare argomento.

Ben si accorse di aver toccato un tasto delicato. «D'accordo. Allora divertiamoci un po': ad ogni palla buona che uno mette in buca, l'altro si spoglia di un indumento» propose.

«Spero tu abbia messo qualche paio di mutande in più» mi presi gioco di lui. Amavo prendermi gioco di lui.

Purtroppo, la partita finì prima del previsto. I vestiti di Ben erano meno rispetto al numero di palle in campo. Si era dovuto togliere la felpa, i jeans, le scarpe, i calzini e le mutande. Io invece mi ero tolta solo calze e stivaletti.

Lo guardai nudo davanti a me ridendo come una scema.

Ben se ne stava lì in piedi, a braccia incrociate, forse un po' frustrato per la sconfitta, o forse per aver perso ad un gioco proposto da lui.

«Dai, non fare così» lo stuzzicai. «Ti prometto che la prossima volta ci andrò piano con te.»

Mi lampò con lo sguardò e iniziò a camminare a passo svelto e deciso verso di me. Afferrò l'orlo della mia camicia e me la strappò via con decisione. I bottoni saltarono a terra. Non sapevo se essere più arrabbiata per avermi rovinato la mia camicia preferita o se essere meravigliata dal piacere che mi aveva trasmesso il suo gesto.

Me la sfilò velocemente dalle braccia e la buttò per terra. Poi passò al reggiseno. Me lo slacciò abilmente e lo fece scivolare giù.

Chissà a quante ragazze avevo già sfilato il reggiseno in quel modo...

«Che c'è?»

«Niente.»

Si inginocchiò davanti a me e mi sfilò le mutandine di pizzo, sfiorandomi le cosce e facendomi rabbrividire.

Saltò in piedi e in un batter d'occhio mi ritrovai sulle sue braccia e subito dopo stesa sul tavolo da biliardo, il suo viso ad un soffio dal mio.

«Tu...» si fermò per cercare le parole giuste. «Tu mi mandi fuori di testa.»

Anche tu.

ONE NIGHT || Benjamin Mascolo ||Where stories live. Discover now