• Capitolo LIV •

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La stagione fredda aveva ormai gelato l'asfalto e, sui pali della luce, si poteva scorgere una leggera brina al mattino presto. L'inverno persisteva da almeno cinque mesi e Skyler si chiedeva quando sarebbe durato ancora in quel maledetto pianeta arido di morte e grigiore.
Percorse frettolosamente la strada, fino al locale di Connor. Era da parecchio tempo che non entrava lì dentro e temeva che il vecchio potesse reagire in malo modo.
Spinse leggermente la porta, lasciando che il campanellino appeso al cornicione suonasse. Giunse, quindi, all'ingresso della sala, le sedie erano ancora reclinate sui tavolini in legno scuro.
Il borbottio di Connor si estese dallo stanzino.
"Il locale è CHIUSO. Quante volte devo dirl..." esordì, affacciandosi e sorgendo la giovane lì davanti, infagottata dentro a un cappotto di feltro grigio.
"Dicesti la stessa cosa la prima volta che arrivai qui... però dopo cinque minuti avevo già ottenuto un lavoro." gli disse, sorridendo con un velo di malinconia.
Il vecchio tirò giù le spalle, rilassando la postura, "Già... sembra ieri."
Chiuse la porta che dava sul retrobottega, "Che ci fai qui? È da molti mesi che non ti vedo."
"Lo so... e mi dispiace. Ma stamattina sentivo il bisogno di vedere una faccia amica e allora eccomi qua."
L'uomo alzò un sopracciglio, poggiando i palmi sul bancone, "Parli d'amicizia. Non sentivo pronunciare questo termine da anni. Questo posto non ti ha ancora insegnato nulla, vero Anderson?"
"Ti assicuro che ho imparato molto più di quanto tu possa credere. La ragazzina impaurita che venne qui, quel giorno, non è più la stessa che ti parla adesso."
Connor la scrutò, "Però stai tremando lo stesso..."
Skyler si osservò, "È più freddo del solito stamani..."
"Togliti quel cappotto e siediti. Ti preparo un thè." risolse lui, mettendosi in movimento tra gli scaffali.
La ragazza prese posto su uno dei tanti sgabelli e sorrise, ma quell'accenno durò giusto un attimo, il tempo di ricadere sul fondo di pensieri oscuri e soffocanti.
Il vecchio se ne rese conto ma limitò l'invadenza e riempì un pentolino di acqua.
"Dai, chiedimelo pure." disse, allora, lei.
"Chiederti cosa, ragazza. A me non interessa far salotto."
"Ma ti interessa sapere se sto ancora con lui." replicò, subito.
L'uomo si fermò a guardarla, serio in viso.
"Non saresti venuta qui, Anderson."

Skyler lo fissò, per poi abbassare lo sguardo e perpetuare nel silenzio.
"Tieni, ti scalderà." le disse, posando davanti al suo viso la tazza fumante.
Guardò il thè e, per un attimo, si perse dentro quel fondo di ceramica, come se le sfumature di nero l'avessero risucchiata. Crollò, così, in un pianto impetuoso che sapeva di solitudine e disperazione.
Connor gettò via il panno col quale stava ripulendo e le si avvicinò, perplesso.
"Così mi metti in difficoltà, Anderson..."
Si asciugò le lacrime, portando una mano in fronte "Perdonami, Connor... Non... non volevo. Non so cosa mi stia succedendo..."
L'anziano abbozzò una smorfia con la bocca, "Ascoltami, ragazza." le disse, abbandonando la sua postazione e sedendosi accanto.
"Ho visto Blake crescere, lo sai. E non ti nego che, quando il farmaco inizia a svanire, sento quasi di... di volere bene a quel ragazzo."
Poggiò un gomito sul davanzale, "Ma lui non è più la stessa persona."
Skyler ruotò il viso ancora umido verso l'uomo.
"Tu non hai idea di come abbia ridotto quel tizio..."
"Ti riferisci ad Alan?"
"E che diavolo posso saperne io di come si chiamasse, ragazza." esordì lui, "Ho cercato di parlargli ma aveva la faccia completamente tumefatta. Non riuscivo nemmeno a vedergli gli occhi per quanto sangue ci fosse. Sono stato due giorni a togliere le macchie dalla tappezzeria." sospirò, "Due interi giorni..."
Gli iridi della giovane riflessero un vibrante luccichio, "...Lo ha fatto per me."
"Vorrei crederlo anche io." replicò Connor, "Ma non è umano ridurre così un uomo."
Gli occhi di Skyler puntarono nuovamente il vecchio, una scossa elettrica le smosse l'anima.
"Stagli lontano, ragazza."

***

"Signore?"
Le nuvole iniziavano a coprire il cielo, come a offuscare ogni impercettibile colore dello spettro.
La struttura di vetro e lega della Red Tower diventava uno specchio grigio e riflettente quando il sole spariva tra la condensa. Ma a Blake non importava se da lì a poco avrebbe iniziato a piovere. Non gli interessava né dei raggi luminosi che durante la bella stagione gli pizzicavano il naso, né delle tempeste cariche d'odio che si abbattevano sulla città per intere settimane, senza tregua.
"...Signore?" ripeté il suo segretario.
Seduto sulla poltrona girevole, continuava a tenere lo sguardo fisso contro l'enorme vetrata. La città appariva così monocromatica.
L'uomo schiarì la voce, "Uhm... Signore?" ripropose, con tono più deciso.
Il ragazzo rinsavì da quei pensieri di carta e ruotò la sedia verso lui.
"Tutto bene, signore?"
Blake osservò il suo ufficio, una spaziosa sala con vista panoramica e fornita di ogni comodità da sembrare quasi un loft. Era tutto ciò che aveva sempre sognato.
"Gradirei un bicchiere d'acqua, Maxìme."
Il segretario, allora, svettò premurosamente verso la brocca.
"Mi preme riferirle, signore, che ultimamente ci sono dei disordini non indifferenti al campo EZ1."
Gli porse il bicchiere, con estremo garbo.
"Non credo che le cose siano mai filate lisce, lì dentro." rispose, prendendo un sorso d'acqua.
"Sì ma... i balancers ormai si rifiutano di occuparsi dei casi più estremi e delegano tutto ai corpi di sicurezza che, tuttavia, affermano di non essere pagati per questo. Disordine e cattiva amministrazione iniziano a dilagare. Si dice persino che siano molti gli whiners riusciti a scampare alla prima somministrazione. Capirà bene che tutto ciò non fa altro che danneggiare l'immagine di autorevolezza del nostro governo."
Blake rimase inizialmente in silenzio, osservando una penna ad inchiostro posata su uno degli innumerevoli fascicoli che giacevano in quella scrivania.
"Spetta ai balancers occuparsene. La sicurezza deve solo accertarsi che nessuno fugga e che gli impianti di controllo elettrico siano sempre efficienti. Fammi avere la lista di chi è stato assegnato al campo EZ1."
"La questione più gravosa riguarda proprio questo, signore. I balancers lamentano di essere troppo pochi rispetto all'orda di whiners che sbarca ogni sett..."
"CHE SI LAMENTINO QUANTO LI PARE, MAXÌME." sbottò lui, "So bene cosa significa ritrovarsi a dover gestire migliaia di persone nel totale panico..." riprese, "Ma mai un giorno mi sono permesso di fare i capricci come un moccioso viziato."
Svuotò il bicchiere, "Balancers si nasce, non si diventa."
A quel punto si alzò, avanzando verso la vetrata.
"Riferisci ai miei colleghi che qualora avessero ancora altro per cui lamentarsi, che vengano a dirmelo qui, di persona."
"Sì, signore. Sarà fatto." rispose sommessamente l'uomo.

"Come procedono, piuttosto, le indagini sull'attentato all'Accademia dei balcers?", sospirò "Sono riusciti a recuperare quei dati?"
"Ci stanno lavorando, signore. Inoltre abbiamo tratto nuove informazioni riguardo l'attentatore."
"Sì..." rispose, girando le spalle nuovamente verso il segretario "Ebbene?"
"Un testimone attendibile ha confermato che la donna si è allontanata insieme a uno dei cadetti. Ma i nomi che mancano all'appello sono ancora troppi per risalire a quello del ragazzino in questione."
"E cosa aspettate a rintracciarli?!"
"Sono... scappati, signore. Sono fuggiti in molti..."

Blake rimase in silenzio, solo pochi secondi che furono sufficienti alla sua mente per sorvolare sui ricordi dell'infanzia.
"Chissà cosa avrei fatto io." disse, a bassa voce e con lo sguardo perso.
"Mi scusi, signore, non ho sentito."
L'uomo tese leggermente il collo.
"Secondo te io sarei scappato?" ribadì lui.
Maxìme alzò un sopracciglio, sorpreso da una simile domanda, e sorrise nervosamente "Ma certo che no, signore..." rispose, in imbarazzo, "È chiaro che lei non sarebbe mai stato così vigliacco."
Il ragazzo poggiò un braccio contro la spalliera della sedia, "E perché."
"Come?"
Il consigliere diventò paonazzo in viso.
"Dimmi perché non sarei mai scappato. Dimmi perché non avrei approfittato di un evento più unico che raro, come l'essere finalmente libero." insistette Blake, mutando in un'espressione profondamente seriosa.
Maxìme lo fissò con gli occhi sbarrati, schiudendo le labbra a causa della bocca asciutta, "Perché un vero soldato non si lascia turbare dagli abbagli rovinosi che l'idea di libertà può mostrare. Un... un vero balancer sa bene che l'unico modo reale per essere liberi è quello di dedicare la propria vita alla difesa del nostro sistema. E lei l'ha sempre saputo, signore."
Allineò le suole delle scarpe lucide lungo la medesima altezza e sperò ardentemente, in cuor suo, di aver risposto in modo soddisfacente.
Blake rimase per qualche secondo immobile, osservandolo senza essere, in verità, del tutto presente. Il silenzio ondeggiò tra i respiri dei soldati che, impeccabili nelle loro uniformi, presenziavano all'ingresso del grande ufficio, per l'incolumità del balancer.
"Riferisci a Mr. Peace che mi assenterò per qualche ora." esordì, poi, rilassando improvvisamente gli arti e dirigendosi compostamente verso l'uscita.
Maxìme ruotò il busto, accompagnando con lo sguardo incredulo gli spostamenti del suo superiore.
"Ma, signore, alle 10.30 ha un appuntamento col generale Kirken del settore V-22."
"Disdici tutto." mozzò netto lui, infilando velocemente il lungo cappotto elegante e abbandonando la sala.
Il segretario restò attonito, ingessato nel suo ordinario vestito sartoriale dalle maniche forse un po' troppo corte.
Avanzò verso la scrivania e bevve il sorso d'acqua avanzato dal bicchiere di Blake, asciugandosi, con un fazzolettino di seta bianca, le tempie dalle goccioline di sudore prodotto.
I soldati che presenziavano all'ingresso lo scrutarono, muovendo gli iridi da un collega all'altro.
Maxìme poggiò nuovamente sul tavolo il bicchiere vuoto, "E voi che avete da guardare?!"

***

Era un appartamento gradevole. I primi giorni erano stati abbastanza traumatici per Skyler. Adattarsi a un nuovo ambiente, lontana dal caos del centro città, in una zona della metropoli in cui non era mai stata. Autogestirsi, organizzare la propria giornata con l'obiettivo di arrivare integra a sera, cercare di lottare contro la maledetta solitudine, di abituarsi a non veder gironzolare per le stanze né Peter né... Blake.
Non era stato difficile rispettare le somministrazioni del reset-41, anzi, era come se adesso quel farmaco fosse diventato per lei quasi un enorme lago freddo in cui annegare ogni paura, ogni titubanza sul futuro. Ciò che, invece, le era costato davvero fatica, era l'idea di doversi abituare a quella assenza. L'inesorabile sensazione di arrendersi a quel destino. Erano trascorse poco più di tre settimane dall'ultima volta che aveva visto Blake, ma alla giovane sembravano almeno tre mesi. Forse davvero i minuti si dilatavano su quel maledetto pianeta o, forse, l'assenza di quelle braccia forti che sempre si erano prese cura di lei, avevano portato via anche la regolare percezione delle giornate.
Chi poteva dirlo, pensò, mentre si portava davanti allo specchio del lavandino, impugnando il dispositivo del farmaco. Nell'ultimo periodo le piaceva osservare il suo viso mentre quel veleno amaro si insediava dentro le sue vene, ogni impercettibile tremolio delle palpebre, le narici che si allargavano quando l'ago penetrava l'epidermide. Era quasi un piacere sadico, pungente tanto quanto quella iniezione.
Portò il dispositivo in metallo all'altezza della giugulare, pronta a godere nuovamente dello spettacolo di quel riflesso. La prima luce si accese, i battiti del suo cuore si fecero più ritmici. Il secondo led, allora, prese a lampeggiare. Tre volte e l'ago sarebbe schizzato dritto dentro la vena.
Uno...
Skyler fissò i suoi occhi, quasi impazienti.
Due...
Allargò il petto, il dolore stava per annegare ancora una volta tra le acque gelide della sua mente.
Tr...
Qualcuno bussò improvvisamente contro il portellone dell'appartamento.
Istintivamente, la giovane scostò il braccio e il dispositivo ricadde dentro il lavabo schizzando il reset-41 sulla ceramica bianca.

OSMIUM - Il pianeta senza amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora