21.

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Ermal quella notte l'aveva passata in bianco. Non che fosse una novità, ma questa volta era diverso. Non c'era Fabrizio dall'altra parte del letto a consolarlo. Se ne stava solo, con un gran senso di colpa. 

Aveva preso la decisione giusta? Assolutamente sì. Avrebbe dovuto farlo prima? Probabilmente sì. Era felice di averlo fatto? No. 

Era questo che faceva la differenza: lui non voleva farlo. In qualche strano modo, era convinto che la colpa fosse solo sua. Non di suo padre, non delle circostanze, non del caso: solo ed esclusivamente sua. Ed era lì l'errore. 

Inoltre, non riusciva a capire perchè diavolo dovesse rimanere rinchiuso in quel centro. Se la cavava benissimo da solo, come d'altronde aveva sempre fatto. Pensava di scappare, di ritrattare, di andare lontano e non tornare mai più. Si sarebbe addossato tutte le colpe, pur di avere la libertà di scegliere per se stesso. 

Da quando era stato accompagnato lì, non aveva avuto contatti con nessuno. Si era limitato a chiudersi in stanza, lamentando un forte mal di testa, per poi rannicchiarsi sul letto a piangere. Si sentiva così stupido. Un piccolo giovane uomo costretto a diventare adulto, ma che poi, al minimo avvenimento, lasciava crollare le difese e tornava il diciassettenne che in realtà era. 

Era solo, era fragile, ma soprattutto era stanco. Stanco del fardello che si portava dietro, stanco di ingoiare bocconi amari, stanco di crescere. Una stanchezza anomala, pesante e soffocante. 

Quando la mattina era arrivata e aveva portato con sé un vociare fastidiosamente allegro, Ermal si era premuto il cuscino sulle orecchie. Le ore di sonno mancate stavano influendo negativamente sul suo umore e un fastidioso pulsare alle tempie non lo lasciava in pace. Decise quindi di alzarsi, benché controvoglia, e andare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. 

Raggiunta la piccola mensa al piano di sotto, si servì la colazione ed iniziò a mangiare controvoglia. 

"Ehi, è libero qua?". Un ragazzo con degli spessi occhiali stava indicando la sedia vicino alla sua. 

"Uhm, sì". C'è tutta la sala vuota e tu vuoi sederti proprio qui?, avrebbe voluto rispondergli. Ma non lo fece. Era il suo primo giorno e risultare antipatico fin da subito non rientrava nei suoi piani. 

"Comunque ciao, mi chiamo Guglielmo. Primo giorno?"

"Si vede così tanto?" 

"Effettivamente sì. Anche io l'ho passata in bianco la prima notte. Tu sei?"

"Ermal" 

"Ciao Ermal, piacere di conoscerti" 

"Da quanto tempo sei qui?"

"Sei mesi, giorno più giorno meno. Lo vuoi un consiglio?"

"Spara"

"Smetti di pensare di voler scappare e prendi questa permanenza come un'opportunità" 

"E questo consiglio spassionato?" 

"Solamente quello che avrei voluto sentirmi dire anche io. Se ti disturbo me ne vado eh" 

"No no, resta. Scusami, mi sono alzato con il piede sbagliato" 

"Scuse accettate" 

E rimasero così, a parlare del più e del meno, fino a quando Ermal non fu chiamato da un'inserviente con una divisa alquanto discutibile. "Ragazzo, vieni con me. Ti accompagno dalla direttrice" 

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"Buongiorno"

"Ciao Ermal, siediti pure" 

"Mi ha fatto chiamare?" 

"Sì, ti volevo parlare. Come stai?"

"Bene, credo" 

"Con quelle occhiaie lì?"

"Io non..."

"Ti ho fatto chiamare perché avevo bisogno di parlarti. Lo sai che nessuno vuole la tua infelicità, vero?"

"Sinceramente, stavo meglio a casa mia"

"Credi di stare meglio a casa tua, ma non è così. Hai subito un trauma, hai bisogno di sostegno psicologico che, per quanto tu possa essere autosufficiente, fuori da qui non cercheresti mai. O sbaglio?" 

"No, non lo cercherei, perché non ne ho bisogno"

"Quando smetterai di fare l'eroe e accetterai di avere bisogno di aiuto? Ermal, non è e non sarà mai colpa tua. Sei un bravo ragazzo a cui sono successe cose riprovevoli, ma questo non deve condizionare il tuo futuro. Hai tanto amore da offrire, non fermarti solo perché hai paura di quello che c'è fuori"

"Io non ho paura di quello che c'è fuori" 

"E le notti insonni? E gli incubi?" 

"Lei com..."

"Gli attacchi di panico, l'ansia... devo continuare?"

"Chi gliel'ha detto?"

"Nessuno me l'ha detto Ermal, sono i classici sintomi da stress post-traumatico. E puoi uscirne fuori vincitore, se solo mi permetti di aiutarti. Non devi fare tutto da solo, non sei Dio"

Il ragazzo aveva smesso di controbattere. Si sentiva con le spalle al muro: quella donna in pochi minuti era riuscita a mettere a nudo tutte le sue debolezze. 

"Lascia andare ragazzo, lascia andare"

Ed Ermal lasciò andare. Una volta rotta la diga, le parole uscirono da sole, una dopo l'altra. Inconsapevolmente, era quello che il giovane stava aspettando. Raccontò di qualsiasi cosa, delle violenze subite dal genitore, l'inadeguatezza che si portava addosso ormai da sempre, del senso di colpa che gli appesantiva il cuore. E, forse per la prima volta, si sentì leggero

"Per oggi basta così, sei stato bravissimo. Era un primo passo importante ed ero sicura che l'avresti affrontato a testa alta". Dicendo questo, gli allungò un bicchiere d'acqua. "Nei prossimi giorni verrai inserito nel nostro gruppo di supporto"

"Nel cosa?"

"Gruppo di supporto. Non penserai davvero di essere l'unico ragazzo presente in struttura. Vedi Ermal, quella della violenza domestica è una realtà più diffusa di quel che credi. Ciò di cui le vittime hanno bisogno è calore umano e supporto, e chi meglio di una vittima stessa può fornirlo? Avete bisogno gli uni degli altri" 

Il riccio ripensò al suo incontro di poco prima. Anche quel ragazzo era una vittima, come lui? Istintivamente si sentì in colpa: l'aveva giudicato troppo in fretta. Non era invadente, era soltanto solo. Si ripromise che più tardi l'avrebbe raggiunto. 

"Posso andare ora?"

"Certo. A proposito, c'è una visita per te. Sai raggiungerlo il cortile interno?"

"Credo di sì"

Le sue gambe si mossero da sole. Corse, corse come se ne andasse della sua stessa vita. Fece le scale a tre gradini per volta, rischiando di rompersi l'osso del collo. Raggiunta la vetrata, lo vide. Era di spalle, con i capelli più scompigliati del solito e l'ennesima sigaretta della giornata tra le dita. 

"Quand'è che smetterai di fumare?"

"Penso quando tu smetterai di rompere i coglioni" 

Il più piccolo si tuffò tra le braccia dell'altro, reggendosi alla sua maglietta. Gli ripeteva mi sei mancato, come un mantra. Fabrizio, per tutta risposta, gli sollevò il viso lasciandogli un leggero bacio sulla punta del naso. "Mi sei mancato anche tu" 

Cerco solo il modo di trovare la pace che non ho [MetaMoro]Where stories live. Discover now