2.

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Ermal se ne stava rannicchiato in un angolo aspettando che tutto finisse.

La figura di suo padre si stagliava violenta davanti a lui. Sembrava una montagna, per tanto era enorme. Lui si sentiva così piccolo invece. Praticamente invisibile. Un granello di polvere mosso dal turbinio del vento.

Sentiva i colpi arrivargli addosso come pietre. Un calcio nello stomaco. Un pugno sulla nuca. Le sue mani così dure tirargli i capelli. Sperava che finisse in fretta.

Erano anni che suo padre lo picchiava. Praticamente da quando aveva ricordi. Era un bambino allora e non capiva. Credeva che fosse colpa sua, che il suo essere così distratto e con la testa sulle nuvole fosse un buon motivo per scaturire l'ira del genitore. Ma oggi di anni ne aveva sedici e la situazione era, per quanto possibile, peggiorata. Ogni pretesto era buono per ricevere botte. Un brutto voto a scuola, un ritardo, un oggetto fuori posto. Spesso, però, non se lo spiegava. Spesso succedeva e basta.

E lui rimaneva lì, senza reagire. Non muoveva un muscolo. Prendeva quello che gli spettava e poi se ne andava a respirare un po' d'aria fresca.

Era sempre ansioso, aveva sempre paura di far qualcosa di sbagliato. Aveva un demone che gli lacerava l'anima. Lui, che aveva così tanto amore da dare. Lui, che aveva un cuore così puro da far impallidire il sole.

Spesso si chiedeva per quale motivo si alzasse la mattina, se tutto quello che riceveva era merda. La sua vita sociale era un disastro. Aveva smesso di fidarsi delle persone: era convinto che l'avrebbero colpito alle spalle. Inoltre, il suo essere omosessuale non giovava alla sua popolarità. Sfigato e frocio, chi avrebbe mai voluto un amico come lui?

Però c'era qualcosa che carburava il suo cervello: la musica. Scriveva molti testi, ma era effettivamente troppo insicuro per cantarli davanti ad un pubblico. Quindi si limitava ad infilare i suoi lavori in un cassetto e a frequentare squallidi pub romani. Invidiava la sfrontatezza degli artisti, la loro faccia da sono qui, adoratemi. Anche lui voleva essere così, sperava davvero di diventarlo.

Non appena suo padre si fu allontanato, poté respirare nuovamente. Stava per sprofondare in un nuovo attacco di panico. Decise quindi di chiudersi in bagno, per aspettare che l'ansia finisse di scuoterlo. Era rannicchiato dietro la porta e tremava visibilmente. Non riusciva a controllare gli spasmi, era in preda al panico. Sembrava che la stanza fosse priva di ossigeno, quando in realtà era lui a non star respirando nel modo corretto. Era in iperventilazione. Chiuse gli occhi e semplicemente aspettò.

Dopo una lunghissima mezz'ora, riprese possesso dei suoi sensi. Era stravolto, ma non voleva rimanere chiuso in casa. Casa, chi potrebbe mai definire quell'inferno casa.

Afferrò il suo cappotto ed uscì. 

Cerco solo il modo di trovare la pace che non ho [MetaMoro]Where stories live. Discover now