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**attenzione, capitolo con scene di violenza**

Ermal si era alzato di malumore quella mattina di metà aprile. La sera prima aveva discusso con il musicista.

Dopo il suo rientro dal pub, aveva cercato un contatto fisico che l'altro gli aveva negato. Al rifiuto il giovane si era sentito morire dentro. Si era già stancato di lui? E le loro promesse?

Il maggiore aveva dato la colpa alla stanchezza, aveva dato un bacio al minore e si era messo a dormire.

Ermal era rimasto sveglio per ore al suo fianco, fissando il soffitto. Amava il suo compagno, ma spesso gli sembrava di non riconoscerlo. Passava da momenti di dolcezza limpida e spontanea a momenti di repulsione.

Ogni volta che toccava l'argomento, l'altro dava la colpa al suo carattere lunatico. Il giovane però aveva capito, aveva letto le sue preoccupazioni negli occhi. In realtà la sua freddezza era uno scudo protettivo, voleva mantenere il giovane a distanza nei momenti no. Non voleva ferirlo.

Ad Ermal questo faceva ancora più male. Lui si era aperto con l'altro, mettendolo a conoscenza di tutti i mostri che gli divoravano l'anima, con trasparenza. Fabrizio invece era spesso reticente ed Ermal lo interpretava come mancanza di fiducia. E questo lo faceva sentire poco importante.

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Una volta raggiunto l'istituto, si sedette al suo banco affrontando la mattinata passivamente. Non ascoltava, non prendeva appunti, non interveniva. Le uniche volte che le sue mani si muovevano era per scarabocchiare qualche strofa per un ipotetico nuovo brano.

Non riusciva a togliersi dalla mente l'idea di essere troppo diverso dal musicista. Troppo pallido, troppo magro, troppo piccolo. Addirittura credeva di essere troppo stupido. Sì, altrimenti l'altro si sarebbe fidato di lui. Tutte congetture mentali che lo portavano a denigrarsi e ad odiarsi.

Queste frustrazioni le rivolgeva sempre a se stesso, finendo per ferirsi. Si mordicchiava le labbra fino a farle sanguinare, si graffiava con violenza la pelle diafana di gambe e braccia, in casi estremi si apriva tagli poco profondi nell'epidermide. Quei segni rossi risaltavano notevolmente sulla pelle così chiara del giovane.

Una strana sensazione di ansia cominciò ad attanagliargli lo stomaco quando suonò la campanella che annunciava la fine delle lezioni.

L'idea di tornare a casa lo spaventava. Lo spaventava l'idea di tornare in un ambiente freddo. Lui, che il freddo ce l'aveva nell'anima, aveva bisogno di calore.  E aveva paura che Fabrizio non fosse in grado di darglielo.

Uscì dall'edificio con passo svelto, tenendo le mani nelle tasche e lo sguardo basso. Oh se solo avesse alzato gli occhi, se solo l'avesse fatto.

Avvenne tutto in una frazione di secondo, ma al ragazzo parve di vivere il momento a rallentatore.

Sentì qualcuno afferrargli un braccio e cominciare a trascinarlo.

Inizialmente si dimenò per liberarsi, ma quando si rese conto che si trattava di suo padre, i muscoli lo abbandonarono.

Era sempre stato il suo punto debole, la paura. Chi ha paura scappa, urla. Lui quando ha paura si paralizza. Ed obbedisce. Perché negli anni ha imparato come disobbedire porti a conseguenze ancor più gravi.

Il suo cervello gli urla di muoversi, di mettersi in salvo, ma le sue gambe, quelle maledette, si inchiodano. Diventando di marmo.

In poco tempo si ritrova nell'auto del genitore, che lo sta riportando all'inferno.

Nell'auto regna un silenzio irreale, interrotto solo dalla vibrazione del cellulare di Ermal. Cazzo, non vuole che suo padre gli tolga l'unico mezzo di comunicazione che gli rimane.

Trafficando nelle tasche, cercando di non farsi notare mette il cellulare in modalità silenziosa.

Sarà stato un messaggio di Fabrizio. Merda, Fabrizio. Un brivido gli percorse la schiena. Aveva paura che il ragazzo potesse fare qualcosa di avventato, non appena avesse saputo. Ermal conosceva suo padre, al contrario dell'altro. Sapeva di cos'era capace. Un'altra vittima non la voleva. Doveva proteggerlo.

Arrivati a casa, Ermal si sentì soffocare. Non percepiva l'ossigeno, gli sembrava di essere sott'acqua. Suo padre si avvicinò e lo prese per lo scollo della maglia, facendo piombare il giovane nel panico.

"Dobbiamo parlare". Il suo tono di voce era piatto, ma tradiva la rabbia che vi si celava dietro.

"Non so cosa cazzo pensavi di fare. Ti rendi conto della stronzata che hai fatto? Sì o no?". L'ultima domanda venne pronunciata urlando. Ermal stava tremando, non riusciva a controllare gli spasmi.

"Non sei nemmeno maggiorenne e fino allora tu sarai di mia proprietà. Hai idea della figura che mi hai fatto fare in questi mesi? Tutti a chiedermi di te e io ad inventare scuse!". Il suo tono era ancora più alterato. Il giovane era convinto che l'avrebbe ammazzato di lì a poco.

"E sentiamo, dove saresti stato fino ad ora? A casa del tuo fidanzato frocio come te?". Questo era un affronto bello e buono. Era stato messo lì perché il giovane reagisse.

"Sei muto per caso? Vuoi rispondermi si o no?". Dicendo questo gli sollevò il viso, tirandolo per i capelli, costringendolo a far incrociare i loro sguardi.

Ermal inspiró profondamente.
"Mi fai schifo". Fu l'unica cosa che il giovane riuscì a pronunciare prima della reazione del padre.

L'uomo si sfilò repentinamente la cintura, iniziando poi ad usarla contro il giovane. La brandiva con fierezza, come se fosse una spada, infliggendo colpi che raggiungevano la pelle del giovane con violenza.

Ermal, per tutto il tempo, tenne gli occhi chiusi, aspettando che finisse. Il dolore era insopportabile, ma non voleva dare all'uomo la soddisfazione di vederlo piangere o implorare che si fermasse.

In un movimento troppo brusco, il suo cellulare cadde a terra. Il genitore lo raccolse immediatamente, notando la chiamata in entrata. Antecedenti a questa ce n'erano diverse altre, tutte dallo stesso mittente.

"È con me, smettila di chiamare e dimenticati di lui"

Sentendo pronunciare queste parole il giovane si rese conto di come ora fosse solo. Pensava che avrebbe comunicato con il maggiore, che avrebbero potuto progettare una fuga. Ma adesso, non aveva più mezzi di comunicazione.

"A scuola ti ci accompagno io e ti rivengo a prendere. Di casa non ci esci, se non con me. Scordati di uscire mentre non ci sono, ho cambiato la serratura e non avrai mai il mazzo nuovo". Detto questo uscì, chiudendosi bruscamente la porta alle spalle.

Ermal, ridotto all'ombra di se stesso, se ne stava rannicchiato in un angolo, scosso dai singhiozzi e dal panico che gli inaridiva i polmoni.

Cerco solo il modo di trovare la pace che non ho [MetaMoro]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora