13.

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Ermal quella sera si sentiva inquieto. Era felice del fatto che Fabrizio avesse rischiato così tanto per lui, ma al tempo stesso questa cosa lo faceva soffrire. Era preoccupato per lui. Temeva che potesse cacciarsi in qualche guaio più grande di lui. E questa era l'ultima cosa che il riccio volesse.

A cena con il padre, il giovane era distratto. Non riusciva seguire i suoi discorsi, il suo cervello macinava un altro genere di pensieri. Pensava al musicista, a cosa stesse facendo in quel momento, se gli mancasse quanto mancava a lui. Ripensò alla canzone scritta poco prima, tamburellandone il ritmo con le dita.

Si ridestò solo quando il genitore batté il pugno sul tavolo, sussultando visibilmente per lo spavento.

"Mi stai ascoltando?"

"Io... scusa, ero distratto"

"E sentiamo, a cosa stavi pensando?"

"Cose di scuola". Il giovane evitava di guardare il padre negli occhi. Non avrebbe sostenuto il suo sguardo.

"E guardami quando ti parlo". L'uomo allungò una mano verso il viso del giovane, sollevandoglielo e costringendolo a fissarlo. "Così va meglio".

Il ghigno del genitore gli faceva ribollire il sangue. Provava disprezzo, odio. Era come guardare il diavolo dritto negli occhi.

"Non mi toccare". Ermal allontanò bruscamente la mano del padre dal suo mento. Sentiva la pelle scottare nel punto in cui il genitore aveva appoggiato i propri polpastrelli.

"Tu non hai ancora capito una cosa", disse l'uomo alzandosi. "Sono io che decido qua". Dicendo questo, afferrò il giovane per i capelli, costringendolo ad alzare lo sguardo.

Tutto quello che il ragazzo provava in quel momento era rabbia. E un grande senso di nausea. Odiava quella situazione, ma al contempo si sentiva incapace di reagire. Avrebbe voluto scappare, correre via lontano e non voltarsi più. Ma c'era qualcosa che lo teneva ancorato lì.

"Vuoi uccidermi come hai fatto con mio fratello?"

"Non dire stronzate. Tuo fratello non è morto per mano mia. È stato un incidente."

"Sì, invece. L'hai portato all'esasperazione"

"SI è schiantato contro un platano perché era ubriaco"

"Cazzate!". Ermal si era alzato di scatto, facendo rovesciare la sedia. "Tu l'hai ucciso ancor prima dell'incidente, come hai fatto con mamma"

Un ceffone lo centrò il pieno viso. Ma il giovane sapeva di aver fatto centro. Aveva colpito suo padre nella sua parte vulnerabile.

"Vattene di là, non voglio più vederti prima di domani"

Il giovane si chiuse nella sua stanza ed iniziò a piangere. Gli mancava la sua famiglia. Era rimasto solo lui ora e poteva contare solo su sé stesso. Doveva cavarsela da solo, lo doveva a sua madre. Non si sarebbe arreso. Avrebbe ingoiato ogni boccone amaro aspettando di raggiungere la tanto agognata libertà. O per lo meno, era quello di cui si illudeva. 


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La mattinata era passata lentamente. Il pomeriggio altrettanto. Il tempo sembrava complottare contro di lui: scorreva lento nei momenti di solitudine, volava durante i brevi incontri con Fabrizio.

Ermal aveva guardato l'ora per la terza volta in dieci minuti, contando con precisione maniacale il tempo che lo separava dal musicista. Parlarsi attraverso quella porta di legno dava al giovane la stessa forza di una boccata d'aria. Era diventato indispensabile.

Quando sentì bussare, corse verso l'uscio con la velocità di un uragano.

"Ermal"

"Fabrizio"

Da una parte stava seduto un ragazzo pieno di aspettative, dall'altra un ragazzo divorato dai sensi di colpa. Fabrizio aveva riflettuto a lungo sul suo tradimento. Non avrebbe voluto dirglielo, avrebbe dovuto far finta di niente. Ermal non l'avrebbe mai saputo, se non da lui. Eppure, aveva deciso di dirglielo.

"Brì, tutto okay?". Alla domanda del giovane il musicista sorrise. Aveva già notato le sue incertezze, nonostante non lo stesse guardando negli occhi. Lo conosceva meglio di quanto lui conoscesse sé stesso.

"No, Ermal. Non è tutto okay". Fabrizio inspirò, cercando di trovare la forza di confessare. "Ti devo parlare".

Sentendo quella semplice frase, ad Ermal si mozzò il fiato, sbiancando di colpo. Non sapeva cosa l'altro volesse dirgli, ma il suo tono non era per niente rassicurante. "Co... cosa c'è?"

"Ermal io...". Dio, era così difficile. "Ieri sono stato al pub". Parlando, prese a torturarsi alcune ciocche di capelli che gli cadevano disordinate sulle spalle. "Ho incontrato una ragazza..."

"Ti prego, dimmi che non l'hai fatto sul serio. Dimmi che non mi hai tradito"

"Io... mi dispiace. Non ero lucido, non l'avrei mai fatto altrimen..."

"Mi fai schifo. Mi avevi promesso che mi avresti aspettato!". Ermal era scattato in piedi, iniziando ad urlare.

"Calmati, ti prego"

"Vaffanculo Fabrizio. Non me lo meritavo". A quell'affermazione, Fabrizio iniziò a piangere. Si era ripromesso di aiutarlo, di stargli vicino. Invece era solo uno stupido drogato incapace di ragionare.

Ermal si riaccasciò a terra, con le spalle alla porta. "Sai perché non sto reagendo?"

"Ermal..."

"Perché spero che un giorno mi ammazzi". Dirlo a voce alta faceva paura, non l'aveva mai confessato, nemmeno a sé stesso. "Come ha fatto con mio fratello"


Cerco solo il modo di trovare la pace che non ho [MetaMoro]Where stories live. Discover now