Pietro Ghezzi

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16 settembre 2017

PIETRO'S POV
Mamma P:"I medici hanno detto che finalmente puoi uscire, dato che hai insistito così tanto"
Pietro:"Era ora. Stavo aspettando questo giorno dal primo giorno in cui sono entrato in questa topaia di ospedale. Il cibo mi fa letteralmente schifo."
Scollego i vari tubi e fili che mi uniscono alle varie macchine, dopodiché mi alzo, noncurante di quello che potrebbe accadermi. Eppure, mi sento in perfetta forma, anche se non sono del tutto guarito, sia fisicamente, sia mentalmente.
Pietro:"Hai già chiamato il Denver?"
Mamma P:"Non ho intenzione di farlo. Tu non sei pazzo, Pietro."
Pietro:"Credi davvero che io non lo sia diventato?"
Mi avvicino repentinamente a lei, scrutandola ogni secondo, minuto, senza mai distogliere il mio nuovo sguardo. Lo sguardo di una persona diversa, di un ragazzo che ha sofferto e che non vuole più soffrire.
Mamma P:"Pietro, smettila, ti stai comportando come un bambino piccolo."
Pietro:"Cazzo, non capisci che lo sono? Sono un fottuto bambino e lo sarò sempre. Non potete impedirmi di essere quello che sono."
Urlo con tutta la voce che ho recuperato durante la terapia, ma subito mi pento, quando sento mancarmi il respiro. Mia madre subito capisce che ne ho bisogno adesso. Lo prende velocemente dalla borsa e me lo getta con cautela nelle mie nocche pallide. Inspiro più che posso, fino a recuperare tutto il respiro andato perduto nell'aria sgradevole e di carne marcia della stanza.
Pietro:"G-Grazie"
Mamma P:"Cerca di non sforzarti troppo."
Cerca di avvicinarsi, ma mi scanso subito. Non ho bisogno di nessuno, tanto meno dell'amore di mia madre.
Azzardo un sorriso quasi isterico e compiaciuto, e immediatamente esco dalla stanza, fischiettando tranquillamente.
Mio padre si alza, riconoscendo il rumore dei miei passi, ma rimane in silenzio, non appena incontra i miei occhi cupi e frammentati, come quelli di un ragno.
Cadrete tutti nella mia trappola, nella mia ragnatela.
Mia madre mi insegue un attimo dopo, ma è troppo tardi. Sono già uscito dall'ospedale, e nessuno si è permesso di fermarmi. Ho dimenticato di dire che in quella camera, in quella fottuta stanza, non ho lasciato solo la puzza di cadavere e cibo della mensa andato a male, ma anche me stesso, il tenero e docile Pietro.
Scendo lentamente le scalinate scivolose e ripide, saltellando anche tra un gradino all'altro. Se mi facessi male, proverei soltanto del piacere. Il dolore è il mio piacere.
Oltrepasso il cancello che divide la strada principale da quel cazzo di luogo infernale. Per un attimo, rivedo il mio prezioso tesoro, un po' arrugginito e sbiadito. La frase è ormai illegibile. Poco o male, non mi importa. Tolgo il prezioso accessorio, slegandolo attentamente, come se avessi paura di distruggerlo. Voglio avere io questo onore. Lo getto a terra, ma non mi basta. Con un movimento veloce, calpesto il bracciale una volta, due volte, più volte, finché non avverto uno 'scranch', e lì sogghigno. Adesso sono libero da un peso enorme.
Il clacson di un'auto mi richiama; chiudo la portiera e mi rispecchio nel retrovisore. Arriccio i capelli, e strofino i palmi per ricavarne calore. L'aria condizionata mi provoca un tremolio, dopodiché uno starnuto, al quale la persona accanto a me risponde con "salute". Lo ignoro completamente, continuando a rifocillarmi.
Pietro:"Cazzo, dovrei proprio darmi una sciacquata. Queste borse sotto agli occhi mi fanno sembrare più vecchio."
Alessandro:"Sei sempre bellissimo, amore."
Ridacchio tra me e me, e batto le mani al suo tentativo di rimorchio. Sei così patetico, caro mio.
Pietro:"Se proprio vuoi colpirmi, inventa una frase che mi faccia orgasmare e non vomitare."
I suoi occhi incontrano il riflesso dei miei, e per un attimo si incupiscono anche i suoi. Appena lo becco mentre mi scruta ancora, ammicco, provocando il suo rossore immediato. È la prima volta che si irrigidisce e arrossisce con me. Mi sembra quasi carino, ma sottolineo il quasi.
Alessandro:"Sei sicuro di quello che stai facendo?"
Pietro:"Voglio andare al Denver. Voglio incontrare persone con il mio stesso problema."
Lui sospira, ma io lo interrompo subito, emettendo un grugnito fastidioso. Ciò che ho detto, non verrà rimangiato.
Alessandro:"Tu non hai alcun problema. Sei solo...diverso."
Pietro:"Mi piace essere diverso. Almeno mi distinguo da delle persone del cazzo come te e come quello stronzo del mio ex-fidanzato."
Penso abbia afferrato bene il concetto. Ho già detto che nessuno deve preoccuparsi per me. Io sto bene, sto bene con me stesso.
Pietro:"Ricordi il patto? Tu mi allontani da tutto, tutti e mi porti in quel posto, e beh, forse ti darò quello che hai sempre voluto, me."
Sgrana improvvisamente gli occhi, reagendo alla mia ultima affermazione. Crede di potermi manipolare, ma io so che sta recitando. So che mi vuole e che non ha ripensamenti sul nostro patto. Lui vuole me e io voglio la solitudine. Povero illuso, alla fine rimarrà senza niente, senza nessuno.
Alessandro:"Non so di cosa tu stia parlando."
Pietro:"Ah sì? Io invece so esattamente cosa vuoi. Non fingere con me."

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