Come una trave nel vuoto - parte 1

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18 agosto 2018

LORENZO'S POV
"Giorno 29,
Le medicine stanno producendo il loro effetto, ma anche delle conseguenze letali.
Ogni giorno mi sento sempre più debole, instabile mentalmente e fisicamente. Attacco chiunque entra in contatto con me.
La mia mente non riesce a elaborare in maniera perfetta le immagini e a volte, mi sembra di cadere. Di cadere nel baratro assoluto.
Tuttavia, se questo significa rischiare, penso di star facendo la cosa giusta.
Il dottore mi ha consigliato di smettere, poiché potrebbe degenerare, ma non gli ho dato ascolto.
Non lo faccio per me, è per tutti voi. Tutti voi che mi ascoltate e che guardate i miei video.
Tutti voi iscritti al mio canale.
Tutti voi.

Pietro è sempre più sospettoso. Sa che nascondo qualcosa, ma non ho intenzione di dirglielo.
Avevamo detto basta bugie, ma devo proteggerlo da me stesso, devo proteggerlo da un pazzo.
Che cosa mi stai facendo? Che cosa sto diventando? Cosa mi sta succedendo?"

Ogni giorno scrivo su un piccolo quaderno i miei progressi. Sto migliorando e peggiorando allo stesso tempo. I livelli di quella sostanza continuano a crescere nel mio corpo e a duplicarsi.
I globuli bianchi non riescono a contrattaccare, poiché sono in minore quantità. Ben presto di me non rimarrà altro che un corpo vuoto, spento, privo di vita. Non posso smettere adesso, non posso.
Ho finalmente trovato una soluzione ai miei problemi.
Pietro:"A che stai pensando, Lore?"
Sussulto, risvegliandomi dal mio mondo interiore.
Lorenzo:"Niente."
Continua a fissarmi negli occhi, cercando di fiutare delle tracce.
Pietro:"Perché sei così pallido?"
Lorenzo:"Saranno cazzi miei, no?"
Le pillole mi inducono a dire cose che non avrei mai il coraggio di pronunciare, poiché non è davvero ciò che penso.
Pietro:"Lore, non ti capisco più. Sei così distante da me.
Ho paura di perderti per sempre. Per favore!"
Lorenzo:"Ti ho già detto un milione di volte che sto bene, ma tu non mi ascolti."
Pietro:"Sì, ma sei sempre nervoso ultimamente."
Lorenzo:"È il lavoro, lo sai."
Pietro:"Sì, ma.."
Lorenzo:"Ma un cazzo!"
Gli rispondo, alzandomi e lanciando le cuffie a terra che si spezzano in due parti.  Quelle che mi aveva regalato lui tempo fa.
Respiro affannosamente. Si è creato un silenzio inquietante.
Io continuo a guardare le cuffie ormai rovinate, ma percepisco lo sguardo di Pietro fisso su di me.
Serra i pugni, ma continua a tremare nervosamente. D'improvviso, noto alcune gocce cadere sul pavimento.
Alzo gli occhi verso di lui e osservo il suo volto pallido e le sue guance arrossate, bagnate dalle lacrime.
Pietro:"Perché? Perché l'hai fatto?"
Lorenzo:"I-Io non v-volevo. I-Io.."
Distolgo lo sguardo, mordendomi le labbra.
Pietro:"Lore.."
Allunga una mano verso di me, ma io indietreggio. Mi ritrovo con le spalle al muro, mentre lui continua ad avanzare verso di me. L'unica cosa che mi resta da fare è proprio andare via. Corro verso la porta d'ingresso non girandomi mai per nessuna ragione e esco dall'appartamento, lasciando il mio ragazzo in lacrime.
Sto rovinando tutto, sto permettendo a una stupida bugia di rovinare il nostro rapporto. Che cazzo di persona sono? Sto scappando come un codardo per non ammettere la verità.
Sto fuggendo dalle mie emozioni e dai miei sentimenti.
Mi blocco, mentre sto scendendo le scale lentamente come se un peso mi stesse schiacciando e io diventando sempre più minuto e insignificante. Il gioco degli scacchi in cui però non sono solo io l'unico che si sta muovendo in direzione sbagliata, ma inevitabilmente anche le altre pedine.
Io..

2 giorni dopo
Lorenzo:"Lasciatemelo vedere."
Mi dimeno con le ultime forze che mi rimangono, ma ogni tentativo rivolto a lui sembra cessare nel vuoto più grande di me.
Lorenzo:"Lasciatemi.
Lasciatemi entrare."
Urlo, grido, strillo.
Dottore:"Non può vederlo se non è un familiare."
Lorenzo:"Sono il suo ragazzo."
Dottore:"La situazione non cambia. Non gli è permesso vederlo. Ha esplicitamente detto che non vuole vederla."
Lorenzo:"Dovete lasciarmi passare. Devo spiegargli tutto.
Non voglio perderlo."
Dottore:"Ritorni a casa, ragazzo. Non è orario di visita adesso."
Mi agito, camminando avanti e indietro insistentemente. L'odore nauseante dell'ospedale non mi aiuta a pensare, così esco per prendere una boccata d'aria e rimuginare sulle azioni che ho compiuto.
Appena mi siedo sulla gradinata che collega la strada all'edificio, i miei occhi incontrano quelli di un'altra persona, Sabrina. Sta salendo lentamente i gradini, passo per passo, continuando a fissarmi con tono serio e imperterrito.
Infine, si stanzia davanti a me e con tutta la forza che ha mi lascia uno sberla abbastanza forte sul viso, in modo che che l'impronta della sua mano sia ben visibile. E In fondo, me lo merito.
Sabrina:"Perché non eri con lui? Perché l'hai lasciato da solo in quel momento?"
Inizia a singhiozzare rumorosamente, aspettando una mia risposta.
Sascha compare alle sue spalle, abbracciandola e toccando con una mano il pancione di Sabrina che è già molto più evidente. E io sorrido a quella scena così perfetta e che mi rende ancora più sconcertato da me. Avrei voluto anche io essere un bravo ragazzo come Sascha lo è per Sabrina, invece ho preferito mantenere un distacco ben indifferente con lui, e adesso questo.
Dopo un contatto visivo veloce con i miei occhi, Sascha la accompagna all'entrata dell'ospedale, dove i genitori di Pietro stanno parlando con i medici. È tutto un disastro. È tutto un completo disastro.
Mi alzo e percorro velocemente il vialetto adiacente all'edificio.
Attraverso il portone di ferro, chiuso ermeticamente da alcuni rampicanti. Il boschetto è irradiato dalla luce del sole.
Il rumore provocato dalle cicale e il profumo inebriante di questo posto mi rilassano e ristabiliscono quell'ordine che stavo perdendo lentamente.
Osservo il mio braccio destro, notando un pallore alquanto insolito. Evidenti sono le mie vene che sembrano pulsare e voler fuoriuscire dal mio esile corpo. Mi siedo sulla prima panchina che trovo.
Sposto alcuni ramoscelli e degli assi, in modo che possa stendermi. E così inizio a osservare il cielo.
Questa posizione mi ricorda il giorno in cui io e Pietro decidemmo di andare a osservare le stelle. Inizio ad indicare il cielo, come se riuscissi in qualche modo a intravederle e a poterle toccare.
Infine, focalizzo la mia attenzione sulla mia mano, e la stringo. Chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dalla brezza mattutina.

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