Capitolo 6

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Jeremy tamponò la ferita di Lane con cotone e disinfettante. Quando cominciò, il castano emise un verso di dolore. Era più profonda di quello che pensava: sull'avambraccio destro si era scavato un solco e si era riempito di sassolini. Il terreno ciottolato non era l'ideale per giocare ai tuffi. Jeremy si stava decisamente prendendo cura di lui. Era stato talmente premuroso che Lane si ritrovò nuovamente a immaginare loro come coppia. Fortunatamente, però, il suo cuore non sobbalzò al pensiero. L'aveva superata, anche perché in quel momento era concentrato su qualcun altro.
«Ne vuoi parlare ora?» Chiese il biondo, mentre si lavava le mani dal disinfettante. Imprecò quando notò di essersi sporcato la felpa, così se la tolse, rimanendo in maglietta. I muscoli delle braccia fuoriuscivano dalle maniche corte della T-Shirt e Lane sorrise.
«Ti sei tenuto in ottima forma, Jerry,» commentò. Era più alto del castano, e decisamente più muscoloso. Dopotutto era un nuotatore, era lecito che fosse messo meglio di un ragazzo che passava le proprie giornate davanti al portatile a guardare serie tv, e solo talvolta andava a correre.
«Sai, mi piace curarmi. Poi il nuoto diventa più interessante. L'anno prossimo mi iscriverò alla Portland University, ha una delle squadre più competitive a livello federale. Mi hanno già offerto una borsa di studio, non vedo l'ora. Sogno la nazionale, anche se è difficile,» raccontò lui, voltandosi nuovamente a guardare l'amico. Questi annuì e si alzò, andando in camera sua. L'altro lo seguì, conoscendo perfettamente la strada, quindi si sedettero sul letto.
«Credo di esserci ricascato,» ammise infine il castano, sorridendo amaro. Jeremy si appoggiò al materasso con i gomiti e lo guardò stranito.
«Ricascato?»
«Come con te. I sentimenti hanno il sopravvento sulla mia razionalità. Provare cose per qualcuno che non potrà mai ricambiare. È... frustrante, straziante, terribile.»
«Raccontami tutto, Lanny,» lo esortò ancora il biondo. L'altro si fece forza e gli raccontò ogni singola cosa. Partendo dal funerale, per poi parlargli del primo passaggio, dell'acquisto del fumo, dell'imbarazzo in mensa – Jeremy disse di aver visto tutto, era lì anche lui, ma Dylan se l'era cavata bene e nessuno aveva preso Lane per stupido – e del pomeriggio insieme, dei giorni successivi, di come i passaggi, i saluti, i sorrisi fossero diventati una droga per lui, di come fosse entrato in un tunnel senza uscita.
«Non capisco una cosa, Lanny. Con me ti servirono anni per sviluppare sentimenti, qua mi stai dicendo che tu ami un ragazzo per delle cose successe in due settimane? Come è possibile?» Gli chiese il più grande. L'altro scrollò le spalle.
«Non lo so, Jeremy. Non so se lo amo, non so se è solo attrazione fisica o magari è solo un perverso gioco della mia mente. So che mi fa male quando mi da le spalle e mi rende felicissimo quando mi sorride. E no, non ho idea di come io abbia sviluppato tutto ciò.» Il biondo si avvicinò e lo cinse in un abbraccio. Mentre erano lì, seduti sul letto abbracciati, a Lane vennero in mente i vecchi tempi e un brivido gli corse lungo la schiena.
«Beh, è indubbio che devi uscirne, amico. Resta solo da capire come e quando. Cioè, mi dispiace, ma credo che Dylan sia più etero di me,» provò a dirgli con delicatezza. Il castano annuì, asciugandosi gli occhi umidi, e sorrise.
«Sentiamo uno dei preziosi consigli di Jeremy Holden,» fece Lane. L'altro si tirò su e si schiarì la gola.
«Biscotto della fortuna dice: sembra sempre impossibile, finché non viene fatto*,» disse poi, imitando un accento orientale. I due scoppiarono a ridere, era una sorta di gioco che facevano sempre da bambini. Poi, il più grande si fece serio. [* "Sembra sempre impossibile, finché non viene fatto" (Nelson Mandela)] «No, sul serio. Sembra sempre impossibile, ma si può fare. Sfogati, pensa ad altro, non accettare più i suoi passaggi, anche se fa male, anche se il suo sorriso ti rende di buonumore, anche se lo desideri con ogni cellula del tuo corpo, devi capire che fa male. Come si combatte una dipendenza, ugualmente devi fare così. Parlarne, vivere senza, contare i giorni che passi vincendo questa battaglia e ricordarti che sei più forte di qualsiasi droga.»
«Io non so se ne sono capace,» rispose il ragazzo. Jeremy scosse il capo, con un'espressione talmente seria da non sembrare quasi lui.
«Lo sei, e non sei solo in tutto ciò. Ci sono io, ci sono Miranda e Jack, c'è tua mamma. Non sei solo, Lanny.» Il castano annuì e lo cinse in un abbraccio, poi sorrise e indicò l'orologio.
«È mezzanotte. Senti perché... perché non rimani qui stanotte?» Domandò, timoroso. L'altro ricambiò il sorriso.
«Non avevo mai pensato di lasciarti solo stanotte,» rispose, alzandosi dal letto. Lane lo imitò, poi aprì l'armadio e gli lanciò un pantalone di tuta e una maglietta che poteva usare per la notte. «Non mi stuprerai nel sonno, vero?»
«Deficiente,» rispose il castano, afferrando il cuscino e cominciando a colpirlo. L'altro scoppiò a ridere e si accasciò sul letto alzando le mani in segno di resa. Lane si sentiva talmente bene da arrivare chiedersi perché tutto quello, due anni prima, fosse finito. Ma forse era meglio così, potevano ricominciare insieme ed essere uniti e sinceri, come ai vecchi tempi, ma con la consapevolezza di essere semplicemente amici. Così si addormentarono nello stesso letto quella notte.

«Lane Nelson Derrick Darnet, giuro che se non ti alzi ti prendo a ciabattate,» urlò Jennifer dal piano inferiore. Lane sbadigliò e imprecò, spegnendo la fastidiosissima sveglia che suonava da cinque minuti abbondanti. Jeremy non era più nel letto con lui, quindi si alzò e aprì la porta della stanza. Come sospettava, il bagno era occupato dal proprio amico. Scese le scale e raggiunse sua madre.
«Buongiorno mamma,» disse, stropicciandosi gli occhi. Lei lo guardò corrucciata e indicò il bagno al piano superiore.
«Lui cosa ci fa qui, amore?» Chiese la donna. Il ragazzo alzò le spalle e le sorrise. «No. Non farlo, Lane, non ricascarci. Jeremy è come un cancro, un rampicante che cresce dentro di te e ti consuma centimetro dopo centimetro. Non ritornare a quella situazione, ti prego.»
«Mamma, si è scusato. Ci siamo chiariti. Lui è pentito, io ho sbagliato a pensare che provasse lo stesso per me. Mi è mancato il mio migliore amico, e ieri quando l'ho visto è stato... qualcosa che mi serviva da molto tempo,» rispose. La donna scosse il capo.
«La vita è tua, Lane, io ci sarò sempre per te, sono tua madre, e in qualità di tale ti do questo consiglio: stai alla larga da lui. È come Dylan Carlyle, meno persone come loro ci sono, meglio è,» concluse, afferrando la giacca, poi gli diede un bacio sulla guancia e uscì di casa per andare al lavoro. Appena Jeremy uscì dalla doccia, toccò a Lane lavarsi. Successivamente, si vestirono e il castano prese zaino e pranzo, poi uscirono di casa. Jeremy suggerì intelligentemente di prendere l'autobus per non rischiare di incontrare Dylan, così evitarono la camminata. Appena arrivati a scuola, Jack e Miranda li videro e si sorpresero evidentemente del nuovo arrivato.
«Ciao, Jeremy,» disse freddamente Miranda. Jack non degnò di mezza parola l'amico, rivolgendosi solo a Lane.
«Perché lui è qui?» Gli chiese, con fare scocciato. La campanella salvò la situazione, così tutti si accinsero ad entrare velocemente. Lane mormorò un dopo ai due amici e salutò Jeremy, che aveva lezione di arte, mentre i tre si diressero all'aula di storia, senza passare dagli armadietti. Il professor Kendriks era ovviamente già lì, a controllare metodicamente il proprio orologio. I banchi erano singoli, così i tre si sedettero uno accanto all'altro al centro della classe, separati tra loro da piccoli spazi vuoti. Dopo qualche secondo, Dylan Carlyle entrò in aula. Sorrise al professore e salutò praticamente tutti. Lane si voltò dall'altro lato prima che potesse provarci con lui, facendo finta di star parlando con Miranda. Lei rimase interdetta, ma gli resse il gioco, così Dylan si andò ad accomodare in ultima fila al suo solito banco. Trenta secondi più tardi, Kendriks iniziò la lezione. Essa durò esattamente ventidue minuti, ovvero fin quando la porta non si spalancò ed entrò un uomo di mezz'età, in divisa e con scritto "Sceriffo Humphreys" su di una targhetta. Era accompagnato da due uomini, anch'essi in divisa, e dalla Preside Rasmus. Il silenzio calò in aula. Lo Sceriffo guardò gli alunni e si soffermò qualche secondo sul volto di sua figlia Miranda, che era estremamente preoccupata. Se suo padre era lì, poteva significare solo una cosa: era successo qualcosa a sua madre. Poi l'uomo parlò:
«Dylan Carlyle, ti dichiaro in arresto per l'omicidio di Janine Carlyle.»

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