Capitolo 33

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Sto brancolando nella nebbia da un tempo infinito, senza sapere dove mi trovi né dove sia diretta.

Vorrei fermarmi per qualche secondo, guardarmi intorno per cercare una via d'uscita, ma qualcosa – non so bene cosa - me lo impedisce, obbligandomi a proseguire dritto, senza sosta.

Ho la sensazione raccapricciante di aver perso il controllo delle mie gambe: in effetti, da ore continuano a muoversi instancabilmente, secondo la loro esplicita volontà, nonostante più volte il mio cervello abbia cercato di inviare impulsi nervosi per fermarle.

Questa consapevolezza mi stritola lo stomaco in una morsa di panico così forte, che per un attimo sento le forze venir meno e un mal di testa lancinante pungermi le tempie.

Poi, d'improvviso, scorgo una figura all'orizzonte.

Sebbene i contorni non siano definiti e sfumino nella fitta foschia, ha tutta l'aria di trattarsi di un essere umano.

Senza che neppure me ne accorga, i miei arti inferiori accelerano il passo in maniera fulminea e si bloccano bruscamente solo quando il mio corpo si trova a pochi metri dal suo; mi lasciano di fronte a quello sconosciuto, impalata e terrorizzata.

La sua esile ma slanciata figura si staglia nella bruma come un arbusto dai lunghi rami spogli e orridamente spettrali, facendomi rabbrividire.

Involontariamente mi ritrovo ad osservarlo da capo a piedi, soffermandomi su ogni dettaglio: i corti capelli corvini che sovrastano un paio di occhi verdi dalle ciglia lunghissime; le labbra carnose, mosse in un sorriso che dovrebbe infondere sicurezza, ma che in realtà finisce col farmi accapponare la pelle; le spalle strette e il busto sottile, che gli conferiscono un'aria quasi fragile - ma che una bizzarra sensazione primordiale sembra smentire, avvolti in una leggera giacca di pelle nera.

Il suo aspetto mi appare incredibilmente familiare, ma per quanto mi sforzi non riesco proprio a ricordare dove potrei averlo già visto.

L'istinto mi suggerisce immediatamente di non lasciarmi ingannare dall'espressione bonaria impressa sul suo viso.

Apparentemente sembra essere un innocuo ragazzino, non tanto più grande di me, eppure un segnale d'allarme incomincia subito a strillare nella mia testa.
Percepisco chiaramente il pericolo provenire da ogni parte di lui e, ancor più, il terrore iniziare a scorrere incessantemente nelle vene.

<<Ciao, Tessa. Ne è passato di tempo>> mormora lui all'improvviso.

La sua voce lugubre, livida, mi fa venire la pelle d'oca e mi riporta alla mente ricordi a dir poco spiacevoli, che preferirei aver dimenticato ma che sono purtroppo rimasti incastonati nella mia mente; sepolti vivi in un angolo del cervello, da mesi ormai testardamente abbandonati a se stessi e in via di estinzione.
Fino ad oggi.

D'improvviso ne riconosco i tratti, il portamento, persino il sorriso, e non riesco a capacitarmi di non aver subito realizzato di chi si trattasse.

Lo sconosciuto, in realtà, non è un estraneo.

È Michael Kane.

<<Michael?>> dico in sussurro e il suo sorriso si allarga in maniera esageratamente spropositata. Poi, allunga lentamente un braccio e mi porge un bicchiere di plastica.

<<Bevi, Tessa. Ne hai bisogno>> mi suggerisce amorevole, ma ancora una volta la mia spina dorsale è scossa da potenti brividi.

Se sapessi di essere imprigionata nel film di "Alice nel Paese delle Meraviglie", tutto questo avrebbe un non so che di ironico. Mi ritroverei quasi a ridere del fatto che Michael, lo stronzo con cui ho tradito il ragazzo che amo, mi scorga a brancolare nella nebbia e, anziché aiutarmi a trovare la via di casa, decida di offrirmi da bere.

Un imperdonabile erroreWhere stories live. Discover now