Lo sciopero della fame

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-Ti aiuto.- dice qualcuno alla nostra sinistra. Ha il respiro corto, galoppa anche lui.
-No, vai avanti ad avvertire gli altri.- le voce di Daniel mi rimbomba nella testa all'infinito. Vai avanti ad avvertire gli altri. Vai avanti ad avvertire gli altri. Vai avanti ad avvertire gli altri. Il suo timbro grave, maschile, muta lentamente in quello di una bambina.
-Vai avanti ad avvertire gli altri, Emma!- Margherita stringe un oggetto in mano, ride, è felice. -Dai! Digli che l'ho trovato!- inizio a correre verso gli altri, le mie gambe da bambina si muovono il più velocemente possibile per l'euforia, tanto che rischio di inciampare più volte
-Guido!- grido, chiamando il mio migliore amico. -La Marghe l'ha trovato! Abbiamo vinto! Avvisa gli altri!
-Bambi! Bambi! Ascoltami. Mi stai ascoltando?- ancora quella voce roca. Adulta. Abbiamo vinto la caccia al tesoro. La Marghe l'ha trovato.
-Porca puttana! Sgomberate il tavolo!- È Daniel. La voce adulta è Daniel. Voglio tornare a tavola. Casa, non tavola. Perché ho detto tavola? La tavola è sparecchiata, se non apparecchio non mangio. Ho fame. Sono sdraiata su qualcosa di duro ora. Il tavolo. Non la tavola, ecco. Abbiamo vinto la caccia al tesoro. Credo di aver ispirato troppo tempo fa. E di non aver più espirato. Cerco di soffiare fuori dai polmoni l'aria, ma non ce ne è. Forse allora devo ispirare.
-Che cos'ha?! Emma!- qualcuno mi ha afferrato per il mento. Sa il mio nome. Emma. È il mio nome.
-Apri gli occhi, Bambi.- e io li apro, come se sapessi rispondere solo ai suoi comandi. Ai comandi di quella voce. Azzurro. Le sue iridi sono azzurre. Azzurro. Poi torna la confusione: tutti si muovono, tutti parlano, tutto torna scuro. E le voci si accavallano.
-Ci sente, è ancora cosciente.
-Cos'ha?! Chiamate un'ambulanza!
-Calmati, Drew. Che cazzo diciamo ai paramedici?
-Chiamate un'ambulanza e basta! Se muore è ancora peggio.
-Non morirà, Drew. Smettila, cazzo.
-Bambi, resta sveglia. Resta con me. Dimmi qualcosa, parlami.- è adulto. Io sono una bambina. Ho vinto la caccia al tesoro. Ha un tono calmo... Va tutto bene.
-Emma!- mi stanno muovendo il braccio, ora non è più sul tavolo freddo, ma non sento niente. Non sento più la mano sul mio mento. Non sento chi mi tiene il braccio. Ho paura. Ho tanta paura. Non riesco a respirare.
-Ragazzina, resta sveglia. Ti pareva, ci mancava solo questa.
-Chiudi quella cazzo di bocca, Jacopo. Bambi, ti prego, apri gli occhi.
-Posso guardare?- chiedo, ho gli occhi chiusi. Guido mi tiene per mano, mi guida per i corridoi di casa sua. In qualche modo, so che siamo in un angolo del salotto.
-Apri gli occhi!- esclama. Lo faccio. Davanti a me un micio bianco mi guarda, ha le iridi azzurre. Daniel. -È tuo! Buon compleanno, Emma.- Guido mi bacia la guancia e io non so se piangere dalla gioia, o dal dolore: i miei non lo vorranno mai. Ma io lo voglio così tanto...
-Che cosa cazzo ha!- è Jev. Lo riconosco. Volevo tenere quel micio, ma papà l'ha riportato indietro. L'ho odiato. L'ho odiato tanto. Ti odio. Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Qualcuno mi solleva ancora. Voci concitate. Non riesco a respirare.
Abbiamo vinto la caccia al tesoro.
-Dimmi qualcosa, Bambi. Qualsiasi cosa.- l'ha già detto, lo so che l'ha già detto. Vorrei rispondergli e raccontargli che ho vinto la caccia al tesoro e che volevo quel gatto, che l'azzurro e Catullo mi sono sempre piaciuti. E invece dico solo:
-Ho paura.

Daniel's POV
Tiro l'acqua del cesso e mi pulisco la bocca dai residui di vomito. Che schifo. Devo essermi sforzato troppo prima, anche le bende sono inzuppate di sangue e ho un colorito più pallido del solito. Mi sciacquo le mani e torno nella stanza. Mi siedo su quella poltrona di finta pelle accanto al letto e la guardo: è... leggera. Delicata. Jacopo è stato inamovibile sul portarla in ospedale, aveva troppa paura che qualcuno facesse domande. Paura... La stessa paura che aveva lei, quando ancora semicosciente era in grado di percepire l'idea di morte troppo vicina per una ragazzina? No, un'altra paura. La paura di essere beccati a fare qualcosa che non dovresti fare, la stessa paura che ti carica di adrenalina a sei anni, quando rubi di nascosto i biscotti alla mamma, o a tredici, quando fumi la prima canna. No, nemmeno. Per Jacopo è ancora peggio. Lui non ha paura di essere beccato in sé, lui ha paura di perdere. No, rettifico: lui ha già perso dentro di sé, e lo sa. La paura é che tutti lo sappiano, che tutti puntino il dito contro di lui e ridano, ammirando la sua disfatta. È caduto così in basso da sequestrare una persona, da abusare di lei, da barattarla come saldo debiti con uno pseudo mafioso. Ha paura che suo padre lo venga a sapere, e scopra che alla fine la massima "tale padre, tale figlio" è vera. La sua più grande sconfitta: un figlio uguale a lui. Un dannato, un drogato, un criminale, un reietto, uno scarto. Come me.
So cos'è successo a Bambi: l'ho vissuto più volte io stesso. Il suo corpo è praticamente andato in cortocircuito: troppa pressione, troppa stanchezza, troppa pauea e niente cibo per cinque giorni l'hanno portata a questo. Ricordo che io, in quel collegio, riuscivo a non mangiare fino a otto giorni, anche se ero un bambino. Adoravo fare gli scioperi della fame, in qualche modo mi facevano sentire importante perché io riuscivo a non dipendere dal cibo, e gli altri no. Io ero più forte, io ero più indipendente, io ero il vincitore. Poi mi abbuffavo comunque, quando la fame prendeva il sopravvento, mangiavo talmente tanto da vomitare tutta la notte. Ero preso da continui svenimenti, da vertigini, da attacchi di nausea, iperattività, ipertensione. Ricordo una volta in particolare: avevo undici anni, non buttavo giù niente da dieci giorni e sentivo il mio stomaco accartocciarsi su se stesso, quasi volesse digerire le proprie pareti. In cinque anni ero diventato così magro... Comunque, quel giorno era il giorno delle adozioni. Ero troppo grande per essere adottato, lo sapevo, ma speravo che mi prendessero lo stesso vedendomi così piccolino d'aspetto: secondo la bilancia e i tabelloni dell'infermieria, il mio peso era equivalente a quello medio di un bambino sano di sette anni. Ricordo la donna che mi salvò: minuta, i capelli corti tendenti all'arancione, lo sguardo sveglio. La prima volta che la incontrai, aveva una borsetta strana. Si inginocchiò davanti a me e mi porse una mela. Era bella rossa, enorme, appetitosa. Me la mise in mano, mi ordinò "Mangiala", poi si alzò e se ne andò, come se niente fosse. Era stato un incontro talmente Strano, un'apparizione talmente buffa che mi decisi a interrompere il digiuno e a sgranocchiare la mela. Andai sul retro della struttura per non essere disturbato, me lo ricordo bene. Ricordo bene anche i due ragazzi che mi afferrarono per le braccia, e quello che mi rubò la mela. La addentò davanti a me con un morso plateale, tanto che alcuni schizzi di succo mi arrivarono dritti in faccia. In quel momento avrei voluto ucciderlo (sì, proprio ammazzarlo, e il pensiero mi terrorizzò i mesi seguenti), ma i suoi amici mi tenevano fermo ed io, già di mio, a malapena mi reggevo in piedi. Diede solo un paio di morsi, poi la buttò per terra, anche se non era finita, e la calciò via, nel terriccio. Mi assestò un pugno nello stomaco talmente forte da farmi andare a sbattere contro il muro dietro di me, lontano più di tre metri, e caddi per terra, le ginocchia sbucciate, poco più in là della mia mela rossa. Di quella che era la mia mela rossa. Entrambi ricoperti di terriccio, entrambi feriti e poi gettati via.

BambiWhere stories live. Discover now