Il nome di Emma

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Jev's POV
Sono in uno stato di dormiveglia quando qualcuno bussa alla porta della mia stanza. Sono troppo addormentato per realizzare che nessuno dei miei amici è solito bussare per entrare, per cui biascico un "avanti" senza pormi problemi. Sento la porta aprirsi e chiudersi cigolando e dei passi leggeri che si avvicinano al letto. Di sicuro non appartengono ai ragazzi, saranno di sicuro del bambino, Elijah, anche se è raro che giri per la villa.
-Che vuoi, Elijah?- borbotto. Lui non risponde, per cui sono costretto ad aprire un occhio per vedere qual è il problema. Il problema è che non è Elijah, è la ragazzina di ieri sera, della quale mi ero dimenticato. -Ah, sei tu.- sbuffo. -Ciao.- chiudo gli occhi, per poi spalancarli di colpo: i vestiti che le avevo prestato sono schizzati di sangue. Mi alzo di scatto: che le hanno fatto? Solleva le mani come in segno di resa e scuote la testa, sussurrando:
-Non è mio, è di Daniel.
Daniel? E' tornato? Sarebbe dovuto arrivare stasera.
-Sta bene?- domando preoccupato. Lei annuisce. Perché è qui? -Comunque, che vuoi?
Arretra spaventata dal mio tono rude, e mi fa tenerezza: è così indifesa. -Cioè, ti serve qualcosa?- addolcisco il tono.
-Posso... posso... cioè, non è un problema se... vorrei...- tartaglia. Abbassa lo sguardo, -Una maglietta, puoi prestarmi un'altra maglietta?- domanda intimorita. -Per favore.
-Certo.- le sorrido. Mi dà fastidio che indossi i miei vestiti e che mi abbia svegliato, ma la sua vita sta diventando un inferno e non sono nessuno per negarle una maglietta. Ne prendo una dall'armadio disordinato, una che non metto mai, grigia, con sopra un'immagine di Spongebob, e già che ci sono le passo anche dei boxer blu che mi stanno piccoli, dato che ha macchiato di rosso anche quelli. Mi sorride timidamente e accetta i vestiti, guardandosi poi in torno in imbarazzo. E' così riservata e silenziosa che all'inizio non capisco quale sia il problema, ma poi intuisco che non si vuole cambiare davanti a me. Anche se muoio dalla voglia di vederla in biancheria intima, esco dalla stanza e rientro pochi minuti dopo. La maglia è lunga e copre del tutto i boxer corti, per cui sembra non li indossi e ha le gambe nude, ma non vedo come risolvere il problema.
-Ok...- le sorrido incoraggiante -Beh, puoi... andare.- la congedo.
Spalanca gli occhi, ma non osa contestare. Probabilmente non sa dove andare, ma la cosa mi interessa fino a un certo punto. La fisso finché non esce dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Io torno a letto e nel giro di poco mi riaddormento.
Mi risveglio verso mezzogiorno per colpa di voci maschili che parlano troppo ad alta voce per i miei gusti. Ma lasciarmi dormire in pace no, eh? Mi alzo, districando con difficoltà le gambe dal lenzuolo, e apro la porta: evidentemente la ragazzina c'era appoggiata, perché finisce contro il mio petto perdendo l'equilibrio e cadendo all'indietro. Davanti a lei Davide e Leonardo, il quale non sapevo fosse qui. Leo è una testa di cazzo, ha solo un anno meno di me, ma sembra che sia un fottuto bambino di sei mesi. Circondo la ragazza con un braccio e lei tenta di divincolarsi, terrificata. Devo scegliere subito se stare al gioco con i miei amici e divertirmi, o difenderla perché non se lo merita. Prendo la mia decisione nell'arco di qualche secondo, accenno un saluto col capo a Leo e rientro nella stanza tirandomi dietro la ragazzina e chiudendo a chiave la porta alle nostre spalle. Lei appena la lascio schizza via da me e si precipita contro la parete opposta della camera, fissandomi con gli occhi spalancati. Qual è il problema, ora?
-Che c'è?- domando rudemente, afferrando un paio di jeans a caso dal pavimento e mettendomeli. Lei non risponde e io la ignoro, finendo di vestirmi. Tolgo il cellulare dalla carica e calcio in un angolo gli abiti che considero 'sporchi' e che metterò in lavatrice appena trovo la voglia. I suoi occhi studiano ogni mio movimento e mi sento a disagio, ma faccio finta di niente, anche perché sembra che si stia calmando. Già che ci sono, tiro il lenzuolo sistemando il letto e sollevo i cuscini da terra, giusto per dare una parvenza d'ordine. La guardo: ha gli occhioni marroni lucidi e il viso arrossato dalla frustrazione, i capelli sono scompigliati, e anche se è alta per essere una ragazza, i vestiti che le ho prestato, seppur piccoli per me, le stanno enormi.
-Senti mi spiace che tu sia qui.- sbotto. Rimane immobile. -Cioè, non voglio proprio che tu sia qui, non ti voglio in camera mia perché vorrei dormire e non voglio mettermi contro i miei amici per difenderti.- provo a spiegarmi. Lei diventa ancora più paonazza, se possibile, e abbassa lo sguardo. Capisco di aver detto una cazzata e mi mordo la lingua, cercando di rimediare la situazione. -Volevo dire che non è giusto che tu sia qui perché non te lo meriti.- mi correggo. Annuisce e inizia a torturarsi un labbro con i denti. -Dovresti dirmi il tuo nome, io ti ho detto il mio.- ragiono, lasciandomi cadere sul letto. E sta zitta, mi sta innervosendo. -Sto provando a essere gentile, ma mi irriti e se non rispondi apro quella dannata porta e mentre i miei amici giocano con te io guardo e bevo birra.- la minaccio. E per la seconda volta in un minuto so di aver detto la cosa sbagliata: mentre Davide ieri sera la stava praticamente stuprando, io ho veramente guardato e bevuto birra.
-Sono uno stronzo. Scusami.- borbotto. Lei inclina la testa, guardandomi, prima di parlare.
-E' l'unica cosa che è ancora mia.
-Cosa?- le domando confuso.
-Il mio nome. Non ho più niente di mio, se non il nome.- spiega. Non nasconde rancore nei miei confronti, il suo tono. E' limpido, come se andasse tutto bene, come se stesse spiegando a un fratellino perché non può mangiare troppi biscotti. -Quindi, non te lo dirò.
-Va bene... allora dimmi uno pseudonimo. Non posso chiamarti mica "ragazzina" per tutta la vita!- scoppio a ridere, cercando di alleggerire la situazione. Lei mi sorride appena, ma ha un sorriso bellissimo. Per un secondo, mi incanto sull'increspatura delle sue labbra, dimenticando tutto... tutta la mia vita. Ma la sua voce mi risveglia dalla magia.
-Sceglimi tu un nome.
E io penso a mia sorella, a quanto fosse stupenda, alla promessa che le ho fatto prima che morisse. Le giurai di continuare a farla vivere con me, nel mio cuore, nei miei ricordi. E anche se aiuterò a dare in mano a un lupo questa ragazzina, per il momento voglio solo resuscitare mia sorella. Mi mordo il labbro, ha la stessa età di quando Emma è morta.
-Emma.- sussurro -ti chiamerò Emma.
Lei gira di scatto la testa verso di me, volta dalla sorpresa. Si riprende quasi subito, e annuisce.
-Ok.

BambiWhere stories live. Discover now