Capitolo 37

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«Ho la sensazione che sappiano», disse una voce maschile.
«Quanto?», chiese un'altra voce.
«Hanno solo il sospetto.»
«Finché non ti farai scoprire, andrà tutto bene. Ora torna alle tue mansioni da bravo lupetto, presto non dovrai più fingere.»
«Stanotte finirà tutto», concluse lui con una nota di sollievo.

Mi svegliai a causa di June, che picchiettava con le dita sul mio orecchio.
«Ahia!», protestai.
«Ti stavi dimenando, pensavo stessi facendo un incubo». Mi morsi il labbro, non sapevo se dirle oppure tacere su quello che avevo sognato, in fondo non avevo sentito nulla di particolare che facesse capire chi fosse la persona con cui parlava Roman.
«Che c'è?», chiese lei vedendomi turbata.
«Ho avuto un'altra visione». Feci un grande sforzo per dirglielo ma volevo essere sincera con lei, dato che era stata così disponibile con me.
«Che cosa hai visto?», domandò curiosa.
«Non ho visto nulla... ho solo sentito le loro voci.»
«Ti ricordi di chi fossero?».
«Una era sicuramente quella di Roman, non potrei mai dimenticarmela, mentre l'altra è così familiare eppure non riesco a ricordare a chi appartiene; è così... frustrante.»
«Non ti devi abbattere! Cosa dicevano?».
«Niente di importante...». Lei mi guardò poco convinta.
«Sul serio han solo detto che stanotte finirà tutto». Sembrò vergognarsi di aver dubitato di me, perciò l'abbracciai e lei ricambiò affettuosamente

Ci vestimmo frettolosamente e ci facemmo accompagnare a scuola da mio padre. June scese dall'auto, ma io dovevo ancora parlare con lui.
«Non hai ancora accennato al fatto che stanotte...». Non mi lasciò finire la frase.
«Non morirai, perché ci sarò io a proteggerti.»
«Ma se...». Mio padre mi interruppe nuovamente.
«No, Roxanne.»
«Scusa se hai dovuto saperlo così.»
«Mi è dispiaciuto che ti sei sentita più a tuo agio a dirlo a Miller, ma capisco perché tu lo abbia fatto». Quelle parole furono come una pugnalata al cuore, ma sicuramente dovevo averlo ferito allo stesso modo.
«Scusami...». Fu l'unica parola che riuscii a dire.
«Non ti preoccupare, io e tuo madre ti proteggeremo», disse chiudendo il discorso.
Chiusi la portiera e lo guardai andarsene.

Stavamo per entrare a scuola, quando June mi prese per un braccio.
«Non ho potuto fare a meno di sentire la vostra conversazione... così tu pensi che morirai sul serio stanotte.»
«Ne sono sicura.»
«Nonostante il piano che abbiamo escogitato?».
«Sento che in qualche modo il mio destino sia già scritto.»
«E tu vorresti passare il tuo ultimo giorno dentro questa topaia di ragazzini eccitati con l'acne?», domandò lei con il naso arricciato dal disgusto. Mi aspettavo mi dicesse che tutto si sarebbe risolto o le solite cose che si dicono in questi casi, perciò quella domanda mi destabilizzò.
«Andiamocene da qui», disse infine.
Nel parcheggio c'era ancora la sua auto da ieri. La seguii con riluttanza e salimmo di nascosto sul maggiolone giallo che lei aveva soprannominato Francisco, non chiedetemi perché, e volammo sulla strada verso il centro cittadino.
«Cosa facciamo?», chiesi ancora destabilizzata dalla situazione.
«Una lista.»
«Per cosa?», chiesi scherzosa.
«Tutto quello che non hai mai fatto e che vorresti fare prima di morire...», disse guardando la strada in modo serioso. Potei notare una lacrima scivolarle sulla guancia.
«Prendi carta e penna e comincia a buttare giù qualcosa.
«Avrei voluto vedere il gran canyon.»
«Roxanne... cose fattibili in una giornata!».
«Avrei sempre voluto partecipare ad una gara di mangiatori di hot dogs». Lei distolse per un secondo gli occhi dalla strana e mi guardò stranita.
«Perché?!», domandò lei divertita.
«Non lo so... fa niente. Hai ragione è una cosa stupida. Ora penso a qualcos'altro». Lei fece inversione improvvisamente e proseguì nel senso opposto. Una donna suonò il clacson con rabbia.
«Ma che ti è preso?». Mi guardò risoluta e sorrise come se avesse un piano in mente.
«Dove stiamo andando?», dissi.
«Al supermercato». Sembrava che sapesse quello che stesse facendo.

Arrivate al supermercato, cercò un parcheggio e poi spense la macchina. All'entrata cominciai a rifare domande.
«Che ci facciamo qui?».
«Avevi detto che volevi fare una gara di hot dogs, giusto?».
«Si...».
«Qui compreremo il necessario per farla.»
«Solo noi due?».
«Che c'è di male?».
«Niente, niente», dissi rimanendo sul vago.
Entrammo nel reparto dove si trovava il pane e poi andammo a prendere gli hot dogs. Eravamo quasi alla cassa, quando mi venne in mente un'altra cosa che avrei sempre voluto fare quando ero una bambina. Scappai di corsa e andai al reparto dolci a prendere tre torte gelato, dopodiché tornai da June.
«Ma dov'eri... torte?», domandò confusa.
«Già.»
«Per cosa?».
«Lo vedrai», dissi non lasciando trapelare niente.
Andammo a casa mia perché non ci sarebbe stato nessuno. Ci sedemmo sul divano e le consegnai la mia lista di "cose da fare prima che uno zio psicopatico mannaro mi uccida".
«L'autoironia è sempre una buona cosa. Allora leggiamo:

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