Capitolo 34

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Mi diressi verso l'entrata e, come una bambina, mi sistemai il vestitino, perché volevo apparire al meglio. Girai il chiavistello e mi trovai davanti a Miller; tra le sue braccia, come fosse un neonato, teneva una bottiglia che sembrava contenesse del vino pregiato.
Mia madre venne ad accogliere l'ospite e vedendo quella prestigiosa bottiglia si portò le mani alle guance per sentirne il calore.
«Ma non doveva!», esclamò mia madre, prendendosi cura del tesoro liquido. Miller mi fece un occhiolino d'intesa. Mio padre non aveva ancora scollato lo sguardo dal televisore.
«Tesoro, guarda cosa ci ha portato il dottor Miller?!». Lei andò da suo marito e senza che nessuno se ne accorgesse gli fece segno di alzarsi e spegnere il televisore.
«Ottima annata», confessò controvoglia mio padre. Si strinsero una gelida stretta di mano.
«Mancano ancora un paio di minuti al tacchino. Roxanne vieni di là ad aiutarmi!».
Io e mia madre notammo gli sguardi che ci lanciarono entrambi da lontano, sembrava che desiderassero essere in qualunque altro posto con una persona qualsiasi che alla cena del Ringraziamento insieme. L'ostilità era palpabile nell'aria.
«Non credo vogliano rimanere soli», dissi incerta.
«Dovranno mettere da parte l'astio per qualche minuto», disse mia madre chiudendo il discorso. Controllò il tacchino gigante nel forno e ne uscì un profumo prelibato. Fece un sorriso di orgoglio e lo richiuse.
«Mancano ancora pochi minuti, intanto passami il vino che lo stappiamo.»
Prese il cavatappi, lo infilò nel tappo e con un colpo di maestria tolse il sigillo. Dalla bottiglia fuoriuscì un odore amarognolo ma allo stesso tempo dolciastro.
«Bleah», dissi.
«Quando sarai più grande cambierai idea». Mi informò mia madre. Mi chiese di portare in tavola il vassoio degli stuzzichini e la salsa che avrebbe accompagnato il volatile.
Miller e papà erano seduti uno dalla parte opposta del tavolo in silenzio, quando mi videro, notai la speranza che io rimanessi nei loro occhi, ma mia madre mi richiamò in cucina.
«Porta il pane fatto in casa e poi siediti pure, io arriverò con lui», disse indicando il forno.
Portai il cesto in tavola e mi sedetti tra Miller e mio padre, così che tutti fossero contenti. Mia madre arrivò con un grosso vassoio e mio padre si alzò ad aiutarla, nonostante le proteste da donna orgogliosa di mia madre.
«Spettacolare», affermò cordialmente il dottore. Mio padre prese in mano l'arnese per tagliare il tacchino e dopo averlo affettato, mia madre avvicinò i piatti e vennero posizionate tre fette su ciascuno, infine spalmò su queste la sua famosa salsa con il cucchiaio, rendendo il piatto un capolavoro. Come sempre era delizioso. Lei riusciva a non farlo mai asciutto e ogni volta aggiungeva alla tradizione nuovi ingredienti esotici. Come accompagnamento c'erano le patate al forno aromatizzate all'alloro che mangiai quasi tutte io. A fine serata eravamo tutti con il respiro affannoso, la pancia che esplodeva e gli adulti un po' brilli.
Le candele inserite nel centrotavola si stavano piano piano sciogliendo, creando delle ombre spigolose sui volti dei convitati. Stavamo ridendo e scherzando tutti insieme, quando mio padre si rabbuiò.
«Perché non lo hai detto?», domandò dal nulla. La tensione si poteva tagliare con un coltello da burro.
«Non desideravo dirlo, in verità. Volevo solo riavvicinarmi a mia figlia, ma senza metterla in pericolo rivelandomi». Sembrava che per mio padre fosse una buona risposta.
«Forse è meglio se accompagno tuo padre a letto». Dopo qualche protesta, accettò di farsi portare in camera.
«Servi il dolce al dottor Miller», suggerì mia madre, mentre si dirigeva alle scale.
Mi alzai da tavola e andai in cucina, dove trovai in una teglia la torta alla zucca e carote di mia madre. Servii sui piccoli piatti decorati una fetta ciascuno e poi con la panna montata creai a fianco una piccola montagnetta, poi presi due forchettine e tornai al tavolo.
«Serata movimentata», esordii. Lui sorrise con le guance piene di torta.
«Sono contenta che tu sia venuto.»
«Mi ha fatto piacere il tuo invito», disse dopo aver inghiottito tutto il boccone.
«Che cos'è la luna di sangue?». Desideravo fargli quella domanda da quando aveva varcato la soglia di casa. Dalla sua espressione capii che lo avevo turbato.
«Dove hai sentito quel termine?», domandò evitando la mia domanda. Era arrivato il momento di confessargli dei miei sogni.
«È da quando mio padre...». Mi fermai all'improvviso. Non sapevo ancora come comportarmi per la questione "padri".
«È da quando siamo stati aggrediti che faccio dei sogni strani. Inizialmente riguardavano solo me, poi il mio subconscio ha cominciato a captare quello di Roman e mi ha mostrato alcune cose...».
«Quali cose?», chiese nervoso.
«Dapprima vedevo soprattutto la chiesa in fiamme da diversi punti di vista, poi quando ho unito la mia mente alla sua...», esitai. Una parte di me non voleva ammettere che forse avevo taciuto qualcosa di davvero importante.
«Roxanne, cosa?», domandò allarmato.
«È come se facessi parte di lui e percepissi ogni sua emozione e...». Feci un grande respiro e poi buttai fuori tutta l'aria raccolta nei polmoni.
«Ho visto e sentito delle cose che all'inizio non capivo perché erano frammentarie, ma ieri è cambiato tutto.
«Che cosa hai sentito?»
«Mi sacrificheranno durante la luna di sangue». Sembrò che gli avessi confermato le sue paure più recondite.
«Devi venire subito con me.»
«Dove?», domandai impaurita.
«Da Oldwood.»
Mia madre scese in quel momento.
«Tuo padre si è addormentato come un bambino». Ci scrutò in modo accurato.
«Che mi sono persa?». Miller si alzò da tavola, spingendo la sedia con le gambe e andò da mia madre e la prese per i polsi.
«Devo portare Roxanne dagli Oldwood.»
Mia madre mi osservò per un instante e fece un cenno d'intesa col capo.
Presi la giacca e, mentre stavamo uscendo dalla porta, lei afferrò il braccio di lui.
«Ti prego, proteggila». Lui non le rispose, ma le accarezzò il viso.
Poi mi prese per il gomito e mi fece entrare in macchina. Il motore cominciò a rombare e partimmo in tutta fretta. Tentai di fare domande, ma lui mi disse che ne avremmo parlato a breve. Intanto cominciai ad allarmarmi e agitarmi.
Che cosa stava succedendo?
Non lo avevo mai visto così...

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