Capitolo 32

1.1K 68 2
                                    

Derek ed io stavamo tornando a casa, quando vidi le mura alte che circondavano il cimitero. Chiesi a Derek di accostare ed entrammo insieme in quel posto tetro. La luce solare arrivava a malapena sulle esili tombe che erano state disposte in modo millimetricamente ordinato; alcune erano spoglie e dimenticate, altre, invece, piene di ghirlande e ricordi passati. Derek mi prese a braccetto e mi condusse al sepolcro di Declan. Alla base della sua lapide erano stati posti dei fiori, ormai marci. Presi i gambi spogli e li gettai via, poi mi tolsi la sciarpa e la avvolsi intorno alla lapide. Quell'accessorio mi era stato proprio regalato da Declan circa due anni prima, mi era sembrato un gesto semplice per dirgli addio. Mi inginocchiai in modo scomposto a terra e toccai con il palmo della mano la lastra fredda su cui erano incisi le date più importanti della vita del mio amico. Mi lasciai andare e cominciai a piangere. Derek si inginocchiò accanto a me e mi strinse tra le sue braccia, lasciandomi piangere finché le lacrime non fossero finite.
«Mi spiace Declan», dissi tra una lacrima e un singhiozzo.
«È solo colpa mia», commentai a voce alta.
«Non è assolutamente colpa tua, Roxanne!», protestò deciso Derek.
«Sì, invece». Mi asciugai gli occhi, prima che un'altra goccia potesse liberare tutte le altre in attesa.
«Miller ha detto che io sono un'arma dormiente e potrei risvegliarmi in qualsiasi momento e l'alfa a tentato di smuovermi commettendo questi delitti. Derek sembrava non capire cosa stessi affermando.
«Io sono un ibrido, sono l'unica della mia specie. Mia madre era una cacciatrice e mio padre è un licantropo. Il mio Dna è riuscito a combinare entrambi i geni dei miei genitori, perciò sono diventata una predatrice di entrambe le due razze di provenienza.»
Sembrava che lo avessi spaventato con tutte queste nuove informazioni.
«Quindi basta dire che non è colpa mia se i miei amici sono morti o sono diventati dei lupi mannari, ok?». Non volevo sfogarmi contro di lui, ma mi sentivo meglio parlandone.
«Roxanne, tu sei una delle persone più dolci e generose che conosca. Se sei così, non è dovuto a qualche tuo comportamento o scelta, è perché sei nata in questo modo ed è colpa dell'alfa se i tuoi amici sono morti; sono stati uccisi per vendetta, perché anche a lui è morta una persona cara a causa di un ideale malato di un pazzo. Tutto questo discorso per dirti che io continuerò a dire che non è colpa tua. È vero, tu sei al centro di questa storia, ma non per tua scelta.»
Lo guardai con gratitudine.
«Ora ti porto dalla tua famiglia.»
Mi prese in braccio e mi fece dondolare a un metro da terra. Mi aggrappai al suo collo per sentirmi più al sicuro. Mentre ci allontanavamo, rivolsi un ultimo sguardo alla tomba che custodiva gelosamente il corpo di Declan, poi affondai il viso nel giubbotto del mio ragazzo e mi lasciai trasportare alla macchina.
«Dovresti farlo più spesso», annunciai, mentre mi allacciavo la cintura sul sedile del passeggero.
«Cosa?», domandò Derek confuso.
«Portarmi in braccio», risposi ammiccante. Lui mi scompigliò i capelli in risposta alla mia affermazione.
Il buio stava calando rapidamente sul piccolo paesino di Oldwood. I ragazzini che giocavano per le strade venivano richiamati in casa dalle loro madri amorevoli. Quando arrivammo davanti al vialetto di casa mia, ci eravamo lasciati alle spalle ogni ricordo del tramonto. Scesi dall'auto e guardai Derek. Era veramente bello. I suoi occhi cobalto raccontavano storie mai narrate e ogni volta che increspava involontariamente le labbra, desideravo sentirle sulle mie.
«Vieni anche tu». Lo invitai a restare.
«È giusto che per oggi rimaniate in famiglia. So che dovrete parlare di tante cose». Lo baciai delicatamente e mi affrettai ad entrare in casa. Non appena aprii la porta, il dolce profumo di lavanda mi accolse come un vecchio amico. Appoggiai le mie borse su una delle sedie del piccolo tavolo che si trovava in salotto. Mi diressi verso il piccolo studio di mio padre, ma prima di entrare, origliai dietro la porta il famigliare suono della macchina da scrivere. Ricordando i momenti passati, mi scappò un sorriso. Girai lievemente la maniglia e la porta si aprì dolcemente senza emettere alcun mormorio. Mio padre stava lavorando ad un libro documentario sulla guerra di Secessione da parecchi anni. Lui scriveva a computer solo per lavoro, altrimenti adorava pigiare freneticamente sui tasti di quella vecchia macchina. Non appena vide qualcuno entrare nel suo ufficio, alzò automaticamente la testa dal suo lavoro. Sembrò piacevolmente sorpreso nel vedermi, ma poi si rabbuiò in un istante.
«Ciao papà». Non sapevo come gestire la situazione: il cuore mi diceva di abbracciarlo e chiedergli scusa, ma l'orgoglio me lo impediva. Così, mi poggiai in modo impacciato sulla sua scrivania e osservai le ultime parole scritte sulla carta ancora avvolta nella macchina.
«Come sta procedendo il libro?», speravo capisse che era un modo per riavvicinarmi a lui, ma sembrava che lui facesse volutamente finta di nulla; forse anche il suo fierezza gli impediva di venirmi incontro.
«Papà, ho sbagliato a dirti quelle cose. Se potessi me le rimangerei tutte quante, ma non posso». Lui continuò ad osservare le piccole lettere sulla macchina da scrivere, sembrava che con gli occhi cercasse di comporre delle frasi da potermi dire, ma pareva che mancasse l'inchiostro perché non uscì niente dalle sue labbra.
«Voi siete i miei genitori. So quanti sacrifici avete fatto per me e solo chi davvero ti ama lo farebbe». Teneva ancora gli occhi bassi.
«Perdonami per ciò che ho detto». Alzò lo sguardo e fissò i suoi occhi nei miei, poi si alzò stancamente dalla sua sedia ed emisi un lamento tipico di chi sta invecchiando. Mio padre aprì le braccia in segno di resa e io mi ci tuffai dentro automaticamente.
«Ti voglio bene, papà», affermai sincera.
«Anche io te ne voglio, tesoro mio». Il nostro momento padre-figlia venne interrotto da mia madre.
«James, ci sono in salotto le borse di...». Si interruppe non appena mi vide.
«Sei in punizione, signorinella, e non accetto lamentele». Mi fiondai da lei e la strinsi forte, sentii che tutto l'astio defluiva da lei e lasciava un senso di serenità, poi mio padre si unì a noi due.
«Ho parlato con Miller poco fa...». Mio padre si accigliò non appena sentì pronunciare il suo nome. Lo guardai negli occhi e capii che era arrivata l'ora di essere sinceri.
«Papà credo sia arrivato il momento di dirle tutto», aggiunsi, riferendomi a mia madre. Lui sembrò restio e sapevo benissimo il motivo: non voleva che corresse dei pericoli sapendo il nostro segreto, ma era la cosa giusta da fare.
Andammo tutti quanti in salotto. Mia madre sembrava alquanto confusa dalle nostre parole e leggermente preoccupata. Loro due si sedettero sul divano, mentre io decisi di sedermi sulla poltrona. Era difficile raccontare una storia vera, ma con elementi assurdi all'inverosimile. Come potevo far credere a mia madre che lupi mannari, streghe e cacciatori fossero reali?
«Desideri che cominci io?». Forse era meglio lasciar parlare lui, infondo era un giornalista e uno scrittore, sicuramente avrebbe sortito un migliore effetto lasciarlo parlare; avremmo anche potuto fare marcia indietro, dato che ancora nulla era stato detto. Ci pensai su a lungo.
«No, ce la faccio». Mi massaggiai le mani nervosamente e poi scrocchiai le dita per allentare la tensione.
«A volte diamo delle spiegazioni assurde a ciò che vediamo, perché non vogliamo credere alla realtà», dissi, mentre guardavo mia madre.
«In questi mesi alla nostra famiglia ne sono successe di ogni...». Il mio sguardo saltò da quello di mia mamma a quello di mio padre. Cominciai a raccontare dal principio la storia. Ricordare la mia vita precedente a quella fatidica notte di luna piena mi sembrò strana. Mentre raccontavo tutto ciò che era accaduto mi aveva fatto capire quante cose che avevo dovuto passare e nonostante tutto, ero ancora in piedi a lottare. In quel momento mi sentii forte e inarrestabile. Sul volto di mia madre passarono tanti pensieri che le corrugarono la fronte, mettendole in evidenza i piccoli segni dell'età. Non aprì mai bocca per interrompere me o mio padre nella spiegazione, neanche quando introducemmo lupi mannari, licantropi assetati di vendetta e succube isteriche; lei rimaneva seduta in ascolto, emettendo sporadicamente qualche suono a labbra strette.
«E ora viene la parte più difficile», aggiunsi.
«Perché tutto questo era molto facile!», scherzò ironicamente mio padre, cercando di allentare la tensione, ma mia madre sembrava essere caduta in stato catatonico.
Cominciai a raccontare la storia che mi aveva narrato il dottor Miller: di come la sua famiglia aveva costruito una cittadina per restare al sicuro dagli umani e di come fu distrutta dai cacciatori, di come i miei genitori naturali si amassero, nonostante l'odio delle due specie.
«Sono una predatrice». Mio padre sembrava sorpreso e scettico delle mie parole, mentre mia madre annuiva, come se concordasse con la teoria di Miller.
«Mamma, dì qualcosa... ti scongiuro», pregai.
«Appena ti vedemmo davanti alla nostra porta, così bella e con gli occhi sognanti, capii immediatamente che eri destinata a fare grandi cose». Gli occhi le diventarono lucidi.
«So che quello che mi avete appena raccontato è tutto vero, ma vorrei che non lo fosse, perché coì vi saprei al sicuro in una realtà a me nota». Mia madre si avvicinò a me e mi accarezzò il viso.
«La tua vera madre doveva amarti moltissimo, sacrificandosi per la sua famiglia e dovremmo ringraziare Miller per averci dato in dono una bambina tanto speciale». La vista cominciò a tremare, sentivo che le lacrime stavano per scappare lungo il viso.
«Posso solo dire che sono felice che siate ancora qui con me». Mio padre si alzò dal divano e raggiunse mia madre. Prese il suo viso tra le mani, come se stesse raccogliendo un delicatissimo petalo di rosa, e la baciò con passione.
«Ti amo», disse mio padre.
«Ti amo anche io», rispose mia madre. Decisi che dovevo lasciarli soli, sicuramente avevano tanto di cui parlare. Salii stancamente le scale e sentii dietro di me Koška che scalava rapidamente gli scalini per raggiungermi. Appena mi vide si strusciò tra le mie gambe, poi mi guardò ed emise il suo miagolio di bentornato. La presi in braccio e la portai in camera mia, dove la lanciai sul letto proprio sul piumone ancora disfatto; le era sempre piaciuto. Le grattai la soffice testolina grigia e poi andai in bagno. Accesi il doccino e immediatamente sullo specchio si creò uno strato di condensazione. Mi tolsi rapidamente i vestiti ed entrai in doccia. Il contatto dell'acqua calda sulla mia pelle gelida mi fece drizzare i peli delle braccia. Le gocce scorrevano come un fiume seguendo le mie forme morbide. I vapori che risalivano dal basso verso l'alto, crearono un'atmosfera seducente, i profumi sprigionati dagli unguenti erano talmente forti da farmi venire un capogiro. L'acqua ad un tratto divenne fredda e sporca e avvertii un potente odore di muffa ed umidità.
Aprii gli occhi e mi ritrovai nuda in una cantina lercia. Dall'oscurità emerse l'alfa, era nella sua forma animale. Nessuno del branco di Derek era altrettanto grande quanto lui. La folta pelliccia nera lo mimetizzava alla perfezione con l'oscurità della notte, solo il suo occhio rosso vivo permetteva di individuarlo nel buio. Una voce femminile mi fece rizzare i peli fino alla nuca.
«È qui», disse all'orecchio vellutato del lupo. A quelle parole la fiera scosse le spalle ed emise un grugnito. Non seppi come, ma capii che desiderava vedere smaniosamente la persona che stava al di là della vecchia porta consunta.
«Entra», disse lei. Una figura ignota entrò nello scantinato puzzolente.
La penombra non mi permetteva di vedere niente, se non i logori stivali in pelle nera dell'uomo. Nel vederlo l'alfa doveva essere molto contrariato, perché scoprì le zanne in segno di disprezzo.
«È da molto tempo che non vieni a fare rapporto», tradusse la succuba per il suo capo.
«Ho mancato ai miei doveri, è vero». La voce dell'uomo mi era alquanto familiare. Tentai di avvicinarmi, ma sembrava fossi inchiodata accanto a Roman.
«Posso, ucciderlo?», piagnucolò la succuba, come se stesse chiedendo a suo padre di comprargli un giocattolo. Il grande lupo sbuffò e lei mise il broncio.
«Porto con me delle notizie». Roman sembrò apprezzarlo.
«Parla, cane».
«Io non sto ai tuoi ordini, lurida sgualdrina». La donna cominciò a ridere: la sua risata divenne acuta e tagliente da far male a chi ascoltava. Nel momento stesso in cui mi tappai le orecchie, il licantropo emise un ringhio profondo e la donna smise subito, ma senza togliere sulle sue labbra bordeaux una smorfia di soddisfazione.
«Suo fratello ha informato il branco», comunicò. Il lupo sembrò agitarsi non appena lo sconosciuto nominò il fratello.
«Non era ciò che volevamo?»
«Non ti tirerai indietro dopo tutto questo, vero?», disse allarmata Eris. Roman ringhiò e ristabilì immediatamente le gerarchie.
«Manca poco alla luna di sangue e tutto sta filando liscio come avevi calcolato». Roman congedò con uno sguardo l'uomo in penombra. Rimasti soli, la succuba girò intorno al suo capo e cominciò a toccargli la pelliccia in modo provocante.
«Il sacrificio dell'ibrida è imminente e dopo aver ucciso tutti i cacciatori, finalmente potremo conquistare insieme il mondo umano». Sobbalzai per quelle orrende parole, ma sembrò che lei mi avesse sentita. Cominciai ad agitarmi, vedendo che mi stava venendo incontro, ma, improvvisamente, sentii nuovamente il getto caldo dell'acqua e il dolce profumo di vaniglia riempire i polmoni. In un battito di ciglia mi ritrovai di nuovo sotto la doccia. Mia madre stava bussando alla porta, così spensi il doccino.
«Roxanne, mi rispondi?», domandò irritata mia madre.
«Scusa, non sentivo a causa del rumore dell'acqua. Cosa dicevi?»
«La cena è pronta, perciò sbrigati!». Era possibile che fosse tutto vero? Io sarei stata sacrificata in modo tale che altre persone potessero morire. Dovevo farlo sapere a Miller.

Scusatemi se vi ho fatto attendere un'eternità! Noterete dei cambiamenti nell'apertura dei discorsi diretti; sto cercando piano piano di risistemare il romanzo. Se vi è piaciuto, lasciate un commento e una stellina. Giuro che per il prossimo capitolo non vi farò aspettare così tanto.

The Wolf's Hour Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora