Capitolo 6

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Mi svegliai all'improvviso, Koshka stava miagolando in maniera ossessa.
Sbadigliai, mi sfregai gli occhi e poi mi alzai a fatica. Andai vicino alla finestra e cominciai a calmarla.
- Hey piccola, va tutto bene.
Durante la notte era salito un vento gelido; gocce di pioggia cadevano incessantemente sul terreno. Nel cielo nero si avvistavano a intermittenza lampi di luce, seguiti dal rombante fragore del tuono.
Strinsi tra le braccia la mia gatta e tentai di rassicurarla, ma lei continuava a dimenarsi e a soffiare verso la finestra.
Andai vicino ad essa e guardai il bosco, era silenzioso e immobile.
- Koshka, è solo il tempor...-, notai i fari di una pontiac nera, non lontano da dove mi trovavo.
Sapevo benissimo di chi fosse quell'auto, l'avevo vista poche ore prima nel mio vialetto.
I fari si spensero qualche istante dopo e dalla macchina uscì il dottor Miller.
C'erano troppe cose che non quadravano su di lui, dovevo indagare. La curiositá era così forte che quasi mi consumava dentro. M'infilai velocemente il parka e un paio di scarpe trekking, presi il cellulare e un coltello da cucina per difendermi se ce ne fosse stato bisogno. Non appena aprii la porta la pioggia mi investì, sentivo ogni goccia colpirmi il corpo. Ero fradicia dopo neanche qualche secondo.
Andai nella direzione dove avevo visto parcheggiare l'auto.
Guardai all'interno e le chiavi erano ancora attaccate al cruscotto. Andai a guardare nel bagagliaio: la valigetta del pronto soccorso era ancora sporca del sangue di mio padre. Ricordai la scena raccapricciante a cui avevo assistito e un brivido si propagò in tutto il corpo. All'interno c'erano anche dei vestiti di ricambio che prima, quando quel pomeriggio mi aveva fatto aprire il bagagliaio, non c'erano. Chiusi tutto e lo seguii nel bosco.
Accesi l'applicazione torcia del mio cellulare, l'abbassai al minimo e la puntai verso i miei piedi, così non ne avrebbe visto il bagliore.
Notai delle impronte di scarpe nel terreno fangoso; era appena passato da lì.
Con cautela mettevo un piede dietro l'altro, facendo attenzione al rumore che emettevano. Finalmente scorsi il dottore, stava camminando sempre dritto, non aveva fatto deviazioni, perciò sapeva esattamente dove stesse andando.
Era bagnato fradicio, indossava una tunica verde che gli aderiva al corpo snello, le scarpe nere lucide erano infangate e opacizzate dal fango.
Per sbaglio calpestai un rametto che si spezzò e il rumore riecheggió per tutto il bosco. Speravo che a causa dello scrosciare della pioggia non lo avesse sentito. Decisi di nascondermi dietro un grosso tronco spezzato che era ricoperto di edera e muschio.
Il cuore batteva forte, trattenni il respiro e attesi che da un momento all'altro mi si sarebbe parato davanti, ma nulla di questo accadde; l'unica presenza che si percepiva era il silenzio. Quando ebbi il coraggio di guardare dove fosse il dottore, notai che lui non c'era più, era come scomparso. Infatti le impronte si fermavano lì: non andavano né avanti né indietro. Mi voltai e una figura apparve davanti a me all'improvviso.
- Non dovresti stare qua-, sembrava davvero arrabbiato.
Fece un passo avanti e d'istinto gli puntai il coltello.
- Non faccia un altro passo o mi difenderó.
Sembró vagliare ogni possibilità, infine decise di fare un passo indietro.
- Torna nel tuo letto, Roxanne-, parlava con voce pacata e accondiscendente, come si farebbe con chi era mentalmente instabile.
- Perché si trova qui?
- Roxanne, dammi il coltello...
- Risponda!-, urlai.
Lui si avventó su di me, prese il mio braccio e lo strinse così forte che dovetti far cadere il coltello a terra e poi mi tappó la bocca con una mano.
Mi agitavo nell'intento di liberarmi ma sembrava stessi lottando contro una montagna; era fermo e irremovibile, nulla poteva scalfirlo.
Tentavo di urlare ma più lo facevo, più lui premeva la mano sulla mia bocca.
Ad un certo punto si fermó e si mise in ascolto.
- Roxanne, ti lasceró andare, ma promettimi di correre via da qui.
- Io...
- Promettimelo!
Feci un cenno col capo.
Lui mi lasciò andare e mi diede il coltello tra le mani.
- Scappa!
Cominciai a correre, ma il ricordo di mio padre mentre stava tentando di mutilarsi era troppo acceso, perciò tornai indietro decisa a capire la situazione, per lui.
Vidi il dottore che si stava unendo in un cerchio di gente incappucciata. Avevano tutti una toga verde smeraldo con un ampio cappuccio che li riparava dalla pioggia.
Si presero tutti per mano e guardarono in alto verso la mezzaluna.
Spensi la torcia così da non farmi notare e mi arrampicai sui rami di un robusto pino. I raggi di luna penetrarono nelle fitte fronde degli alberi e illuminarono i volti di quelle persone.
Erano tutti abitanti di un certo calibro ad Oldwood: lo sceriffo e la sua famiglia, alcuni dei suoi vice, molti atleti della mia scuola con le loro rispettive famiglie e la famiglia Oldwood.
Alec a sinistra di suo padre, entrambi con aria severa e imbronciata. Alla sua destra c'era la sua futura sposa, la madre di Derek che si trovava affianco al figlio, entrambi con il viso corrucciato.
In tutto dovevano essere una quarantina.
Stavo congelando, il parka cercava di riscaldarmi ma il vento gelido sferzava su tutta la città, sembrava come se ululasse alla luna e la pioggia diventò più fitta e rumorosa che quasi non riuscivo a vedere oltre il mio naso.
Non capivo cosa stesse succedendo, perché erano tutti lì?
La teoria della setta sembrava sempre più plausibile.
- Ci siamo riuniti per discutere le condizioni di Richard Ford-, la voce profonda del signor Oldwood riecheggió forte nella notte, sovrastó ogni rumore.
Il nome di mio padre mi colpì forte al cuore.
Perché a tutti interessavano le condizioni di mio padre?
Gli occhi di tutti cominciarono a brillare come stelle nella notte.
Occhi gialli...
Derek, Alec, il dottor Miller, tutti avevano gli occhi ambrati, solo al padre di Alec non si illuminarono gli occhi.
- Sappiamo tutti che se si stabilizzerá la trasformazione, sarà un pericolo per la nostra amata cittadina-, erano parole dure, taglienti. Mio padre non era pericoloso...
Ripensai all'accaduto di quella stessa sera e non ne ero più tanto sicura.
- Il signor Ford sta cominciando a mostrare i sintomi della trasformazione e per ora non posso ancora affermare che si trasformerà in quello che tutti noi sappiamo, ma se dovesse succedere me ne occuperó io-, tutti tacquero, persino la pioggia sembrò fermarsi.
L'unico rumore che percepivo era il leggero battito proveniente dal mio petto.
Non riuscivo a capire quel discorso. In cosa si stava trasformando mio padre da fare così paura? E come se ne sarebbero "occupati"?
- Sei sicuro di volerti prendere questo onere? Se dovesse capitare che lui attacchi qualcuno...-, disse un'anziana signora dal viso segnato dall'età, ma che un tempo doveva essere stato bellissimo.
- So cosa accadrà, a me e a lui, se dovesse fare del male a qualcuno.
Negli occhi del signor Oldwood apparve un luccicchio cupo, come se gli piacesse quella possibilità.
Mi sporsi per sentire meglio ma il ramo su cui ero appollaiata cominció a scricchiolare e si ruppe. La gravità mi tirò verso il terreno ma un ramo robusto fermó la mia caduta e mi mozzó il fiato, una lacrima di dolore mi scese sulla guancia.
Si girarono tutti in direzione del rumore.
- Trovatelo e uccidetelo-, sentenzió Oldwood.
Gli occhi di tutti divennero incandescente come lava fusa e cominciarono a fare versi gutturali, come se stessero ringhiando; infine fecero qualcosa che non mi aspettai: cominciarono a spogliarsi uno ad uno, ma non avevo il tempo di sentirmi a disagio, c'era in palio la mia vita.
I più anziani seguirono il sindaco oltre le conifere, mentre quelli più giovani e in forza si erano denudati.
Poi qualcosa di terribile accadde.
Cominciarono a contorcersi e da lì sembrava provenisse un rumore di rami che si spezzavano, ma poi capii che quell'inquietante scricchiolio era il suono di ossa che si frantumavano: facevano dei movimenti impossibili per un essere umano, mi sembrava di stare in un film dell'orrore.
Chiusi gli occhi e mi tappai le orecchie, volevo che tutto quello finisse in fretta.
I gemiti di dolore e ossa rotte cessarono e vennero sostituiti da ringhi di follia.
Quando riaprii gli occhi, non credetti alla scena che mi si presentó.
Dovevo essere in un incubo, perché tutto quello che stavo vedendo non poteva essere reale.
- Svegliati-, sussurrai, ma ogni tentativo fu vano.
Non lontano dall'albero su cui mi stavo nascondendo un branco di enormi lupi carichi d'odio stavano aspettando su una linea retta, come se dovessero gareggiare ad una corsa.
Una di quelle bestie spezzó le riga e ululó potentemente al cielo e tutte quante balzarono in direzione del loro pasto: io.
Trattenni un grido.
Avevo il cuore che pulsava all'impazzata, sembrava quasi che stesse cercando di fuggire dal mio petto. I polmoni si gonfiavano e sgonfiavano ad un ritmo insostenibile.
Forse avrei dovuto dare ascolto al dottore e fuggire prima che fosse stato troppo tardi.
Mi ordinai mentalmente di calmarmi, feci lunghi e profondi respiri e tentai di ragionare, anche se tutto quello che stava accadendo sfidava ogni tipo di logica.
I lupi si sparpagliarono per cercare qualche mia traccia, sotto di me un grosso lupo color sabbia stava annusando col suo super fiuto.
Presi la decisione peggiore: scendere da quell'albero.
Lanciai una ghianda lontano così da distrarre col rumore il lupo sottostante e attesi che abboccasse al tranello, poi appoggiai cautamente i piedi sui rami più bassi, ma le mani mi si stavano intorpidendo a causa del gelo. Persi la presa e caddi a terra sulla schiena. Un dolore lancinante si propagó nella schiena e il respiró si mozzò. Il tonfo attiró lo sguardo di quelle belve terrificanti. Tentai di rialzarmi da terra ma il dolore mi incatenava al terreno fangoso. Le fiere si acquattarono, si avvicinavano al rallentatore. Sapevo che non appena avessi fatto un movimento brusco mi avrebbero aggredito.
La mia fine era vicina, ma qualcosa di sopito si risveglió in me. Un calore incendió le mie vene, sentivo l'energia irradiarsi nel mio corpo e l'adrenalina scorreva dentro di me. Ogni ombra di paura svanì travolta da queste nuove sensazioni. Qualcosa nel mio cervello scattó e cominciai a correre il più velocemente possibile impugnando il coltello da cucina.
Correvo veloce senza affaticarmi. Gli alberi si aprivano al mio passaggio. Guardai dietro di me, mi stavano inseguendo ma riuscivo a tenermi ad debita distanza di sicurezza. Riuscivo finalmente a vedere casa, ma all'improvviso uno di quei lupi balzò fuori dal folto degli alberi e mi bloccó la via d'uscita. Cercai di fermarmi, ma caddi nel pantano e mi imbrattai completamente. Mi rialzai e impugnai forte l'unica arma in mio possesso, la ferocia dentro di me s'intensificò guardando quegli occhi gialli. Stavo per attaccare ma una voce familiare nella mia testa mi fermò.
Non ti farò del male, voglio salvarti!
All'inizio rimasi confusa, ma guardai quel lupo, non dava nessun segno di volermi attaccare, anzi voleva salvarmi. Si abbassó e salii sopra di lui. Mi aggrappai forte al suo collo possente e partimmo.
Inizialmente temevo mi riportasse dai suoi simili per banchettare ma poi saettó lontano dal suo branco.

Ormai era mattino e si poteva vedere l'aurora risvegliarsi dal suo profondo sonno. I primi raggi solari illuminavano debolmente il bosco. La pioggia si placò e gli animali si svegliavano dal loro sonno per cominciare le loro attività.
Quella bestia correva veloce sul terreno bagnato, il suo pelo color della sabbia era imperlato di gocce di rugiada che al sole sembrava che la sua pelliccia fosse arena lambita dal mare. Il vento sferzava così dolcemente il mio viso che quasi mi assopii. Quando riaprii gli occhi percepii che ci eravamo fermati.
Scesi cautamente dall'enorme lupo e poco dopo inginocchiato a terra trovai il dottore completamente nudo.
- Ti avevo detto di scappare! Perché non mi hai ascoltato?!-, mi urló contro.
Era sempre stato impassibile, perciò vedendolo inveirmi contro in quel modo, mi spaventò.
- Perché dovrei ascoltarti, non sei mio padre, anzi tu vuoi fargli del male!-, sembró che quelle parole lo ferirono.
- Sei una ragazzina stupida e ingenua! Tutto quello che faccio è per tenervi al sicuro. Non gli farò del male...-, mi strinse delicatamente le braccia, ma io mi divincolai e presi le distanze.
- Come non lo ha fatto al cadavere nel bosco? Ho riconosciuto le cicatrici che ha sulla schiena!-, ormai stavo urlando.
Si toccò con le dita le ferite cicatrizzate sulla pelle, ma sembrò che il dolore di quando erano state inferte era ancora nella sua testa.
- Sì, ero io nel bosco, ma non sono stato io ad ucciderlo. Ero lì perché ho percepito una forza primordiale chiamarmi.
Anche a me qualcosa mi aveva attirato nel bosco.
- Perché dovrei fidarmi? Perché dovrei fidarmi di un mostro?
- Non sono un mostro, te ne accorgerai...
- Perché ce l'avete con mio padre? In cosa si trasformerá?
- Tuo padre si trasformerà in qualcosa di aggressivo se non controllato...
- Non ti credo, mio padre non è malvagio.
- Io devo riunirmi al branco, se non ritornassi capirebbero tutto...
Continuava a lasciarmi in sospeso, sapevo che non mi diceva tutto.
- Resta qui!
Stavo per dibattere ma i suoi occhi comunicarono più delle parole e capii che non dovevo controbattere.
Corse nel bosco, in pochi secondi il corpo si coprì di pelliccia grigia, la schiena si incurvò fino a ridurlo a quattro zampe e poi sparì inghiottito dalla vegetazione.
Non aspettai un altro secondo e cominciai a correre dalla parte opposta.

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