Cap. 28

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Il respiro pesante di Luca, è il solo suono che resta dopo grida di odio e pianti di disperazione.
Inginocchiato al centro della stanza, nello stesso posto in cui ha perso il controllo pochi secondi fa.
Sembra che il tempo si sia fermato in questo posto, mentre io resto dove non ho avuto il coraggio di fare un passo, con i pugni chiusi e le unghie conficcate nella carne.

E mamma che è rimasta in quell'angolo con lo sguardo perso nel vuoto, senza fare un minimo movimento, solo lacrime a rigarle il viso, ad animare i suoi occhi privi di vita.
E poi l'urlo straziante di un ragazzo che si è riconosciuto più uomo di quello che lo ha generato.
Un verso animale nasce dal suo corpo ancora accovacciato a terra.

Il muro di fronte a lui, subisce la sua rabbia con ripetuti pugni, è il dolore che ha dentro a non fargli sentire quello che si sta procurando da solo sull'intonaco bianco, adesso riempito da tante chiazze rosse, del sangue che gli cola dal dorso della mano.
I singhiozzi di nostra madre che sembra essersi ridestata dal suo stato di trance, accompagnano l'eco dei colpi inferti da Luca.

"Zitta, stai zitta", la preghiera di un figlio che si tappa le orecchie per non sentire i lamenti di sua madre.
La paura di lei a quell'ordine avuto da chi non ha mai alzato la voce nei suoi confronti.
E ancora io, che lascio vagare gli occhi in circolo tra il pianto in un angolo, la supplica dall'altro, e i miei piedi che ancorati al suolo non mi permettono di andare in aiuto di nessuno dei due.
L'indecisione del mio corpo mi trasforma in spettatrice di un film antico quanto gli anni sommati di chi risiede in questa stanza.

Il bianco e nero della pellicola muta, rivista troppe volte, ormai.
Il suo resistere, il suo non consumarsi, al contrario di chi lo guarda, di chi si ritrova protagonista suo malgrado in questo scenario orrido.
Antico sì, in bianco e nero, perché non può esserci colore nel buio più totale.
E poi accenno ad avanzare, la scelta che ricade su chi non avrei mai creduto, per toccare con mano la disperazione di Luca mentre cerco di farmi guardare negli occhi.
Ricopro le sue mani con le mie, nel tentativo di farmi ascoltare.
Mi lascia fare, guardandomi senza guardarmi veramente, ed è un attimo infinito, l'intimità di due anime che non si sono mai scoperte a nudo come in questo istante. E cercare di comunicare cose mai dette, dove nessuno dei due ha avuto il coraggio di fare un primo passo.
Dove non abbiamo mai azzardato un "sto soffrendo come te", in questa gara che ci vede perdenti entrambi.

Ed ho scoperto qualcosa di più freddo del vento gelido di questa notte: le pareti di questa casa, e mani più grandi a tremare tra le mie a darmi conferma.
"Mi dispiace", il perdono richiesto, arriva da chi come unico peccato ha quello di amare più la sua distruzione che se stessa. E la rabbia che rimonta sul volto di Luca, a quella pronuncia.
Si capovolge il tutto in un secondo, e resto a terra io stavolta, mentre Luca avanza come una furia all'altro capo della stanza. Trascina nostra madre con forza per posizionarla di fronte allo specchio in corridoio, un braccio a circondarle la vita e una mano a tenerle ferma la testa per costringerla a guardarsi.

"Ti dispiace? Cosa ti dispiace? Per tuo marito che è stato capace di ridurti così, oppure per te stessa che glielo hai permesso?", ancora lacrime in risposta.
"Rispondimi cazzo! Devi dirlo guardandoti negli occhi, dillo che sei diventata il fantasma di mia madre.
Dillo che non conosci altro modo d'amare se non lasciandoti morire
Dillo che non hai bisogno di nessun altro se non di chi ami anche se in cambio non ricevi nulla
Devi dirlo!", ma null'altro che singhiozzi arrivano per Luca.
"Vedi? Non ci credi nemmeno tu a te stessa Ascoltati mentre non hai una sola cazzo di risposta se non lacrime.
E questo per te è amare? È sentirsi amata? Beh, se questo è amare, mi ammazzo stanotte stessa, perché è meglio morire subito che consumarsi lentamente come stai facendo tu.
Mi fai schifo, mi fate schifo tutti."

La lascia andare così Luca, ha sciolto quell'abbraccio di rabbia solo per vederla scivolare ai piedi del riflesso a cui non ha saputo dare risposte, mentre un colpo alla porta ci ricorda che purtroppo, non siamo poi i soli a vivere qui.

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