Cap.18

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Le batterie del walkman, sono le traditrici di un tardo pomeriggio.
Scarpe rimesse a guidarmi mentre volto le spalle al Sole.
Il tramonto che bacia la linea dello specchio d'acqua, è l'ultimo spettacolo a cui assisto prima del rientro; il rientro che tarderei volentieri a fare.

I vagoni più deserti a cullare la mia malinconia: perché il ritorno è sempre più breve dell'andata?
Forse perché la fretta di arrivare, ritarda la destinazione.
Forse perché la voglia di restare, accorcia le distanze al rientro.

Quattro fermate che non ho contato.
Quattro fermate dopo, che per me sono durate l'aprirsi e il richiudersi delle porte del metrò.
Quattro secondi, non quattro fermate, per me.

Il punto di partenza è l'accoglienza che non voglio.
Il cammino lento la sconfitta ad un mattino perfetto, perfetto per me.
Per la mia voglia di evasione, per il bisogno di respirare, per il sentirmi in comunione con il mare di gente comune che incrocio, che sfioro.

La piazza affollata di poche ore fa, resta l'eco lontano di chi è stato fermo qui in attesa dei suoi miracoli personali.
La basilica svetta al centro con il suo campanile muto, stavolta.
La strada di casa si illumina man mano che avanzo.
La moto di Luca attende il suo padrone.
Il portone chiuso del civico settantadue, è la sua unica divisione all'attesa.

Cinque minuti appoggiata al suo freddo corpo. Cinque minuti per posticipare l'ormai dovuto rientro.
L'uscio socchiuso mi permetterà di non annunciare il mio arrivo.

La casa al secondo piano mi attende.
La casa e Luca, che di sicuro sarà sotto la doccia intento a prepararsi. E poi la musica, e non una musica qualsiasi, proprio quella a cui sono più legata; la stessa musica che non è abituato ad ascoltare Luca.
Il brano di un disco, ma non un disco qualsiasi: il solo e unico che riconoscerei tra tutti.

Ogni singola traccia è impressa nei miei timpani; questo soltanto perché sono state la mia sveglia personale fino a poche settimane fa.
Il mio buongiorno del sabato mattina, per ogni sabato, un risveglio diverso.
Un risveglio che però proveniva sempre dallo stesso disco: sabato nuovo, canzone nuova, e così via a ripetizione. Alla fine l'ho imparato a memoria tutto.

Ed è questo che ora sta risuonando attorno a me: lo stesso identico disco di ogni sabato.
L'unico, come unico è il suo proprietario. Musica e parole a fondersi sono il solo indizio.
È lui! Può essere solo Davide.

Il cambiamento d'umore mi sbatte contro, in fondo a queste scale.
Il retrocedere di poco fa, viene rimpiazzato dalla smania di avanzare, in questo momento.
Correre incontro a lui, alla sua musica, alla nostra musica.

Il richiamo prepotente mi guida fin sopra. L'uscio socchiuso è la conferma della sua presenza.
La distrazione che lo contraddistingue è lì ad accogliermi; ad accogliere l'unica parte di me che non è stata contaminata, ancora.

Il sentimento che provo verso chi si trova al di là di questa porta, è il solo motivo di sorriso per me, adesso.
E poi l'attesa, l'attesa di ieri mattina mista alla delusione che non provo più, in questo momento; al pensiero del suo letto vuoto.

E inizio a correre incontro al calore, a un sorriso: il suo sorriso. Ai suoi occhi, gli occhi che non m'hanno mai ferita.
Azzardo un entrata in punta di piedi,  per tentare di sorprenderlo.
Il corridoio è il solo ostacolo da superare.
Luci accese in camera e musica ad alto volume, sono il suo segno particolare.
E ancora le note, e la canzone di quel disco, il suo preferito, a spingermi ad avanzare.
La bambina che è in me pronta a sbirciare quel poco che basta per poter sorprendere come voglio.

Una presenza che non conosco, condivide con lui la sua compagnia.
La mia curiosità a farsi strada lentamente in cerca del suo sorriso; lo stesso che ha sempre avuto per me, non rivolto al mio volto, stavolta.
E ancora i suoi occhi, a guardare col bene altri occhi che hanno guardato solo me, fino a poco tempo fa.

Le sue iridi a perdersi in altre a me sconosciute; è una donna, il centro delle sue attenzioni, ora. Proprio ora, dove non sento più la ricerca del suo calore.
Dove sono per l'ennesima volta, oggi, spettatrice di un amore a me lontano.

Le mani di Davide giocano coi capelli di chi mi da le spalle.
La risata di un'estranea a fondersi con la musica, con la nostra musica.
E le loro labbra si sfiorano sulla canzone che mi ha guidato qui, ora.
La canzone che non mi appartiene più, il disco che stento a riconoscere, è  solo un rumore di sottofondo, adesso.

La sorpresa nella sorpresa a prendere quel poco che restava di un giorno che sembrava perfetto.
La porta socchiusa a mostrarmi che la perfezione, in fondo, non esiste  veramente.
Il retrocedere sui miei passi, gli stessi passi mossi incontro a chi credevo lì per me, a chi ha saputo guardare con lo stesso calore solo mio fino a poco tempo fa, un'altra persona.

Occhi che non appartengono a me, ma a chi ha saputo rubarmi l'unica fonte di calore; l'unico giorno di colore tra tutto il grigio che mi circonda.


JosephineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora