Cap. 27

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Un verbale da pagare per la mancanza di protezioni e per eccesso di velocità;
l'abbiamo scampata così, questa volta.
Anche se so per certa che l'unica preoccupazione di Luca, in questo momento, non è nè la multa nè la minaccia del sequestro alla moto.
E lo vedo da come strappa il verbale dalla mano dell'agente, quasi a voler affrettarne i movimenti.
E so anche a cosa sta pensando, mentre guarda l'orologio intento a masticarsi i denti.

Quando con il corpo è ancora bloccato qui, ad aspettare la consegna dei documenti, la sua mente è già volata per le strade al doppio della velocità che ha usato poco fa su due ruote.
Le 22:30: fuori tempo massimo; fuori di casa, fuori dal suo raggio di protezione, fuori di sé.
E lui? Lui sarà già uscito fuori dal suo mondo fatto di carte, di vizio, fumo passivo e soldi guadagnati in un mese e bruciati in poche ore? Sarà a casa, di già?

E lo stesso pensiero fisso che ho io, lo rivedo negli occhi di Luca mentre si affretta ad accendere la moto.
Ha finto di guidare da cittadino modello solo fino all'angolo, quando l'auto della polizia non era più visibile ai suoi occhi, e quando le nostre sagome non erano più visibili ai loro, poi, un'ultima accellerata furiosa fino al civico settantadue.
Nessun avviso per chi si trova in casa,  nessun indizio sul nostro rientro, le chiavi del portone vengono usate con troppa forza. L'attrito tra il ferro nelle mani, la serratura troppo stretta e la forza che imprime in ogni suo gesto; è lo stridio metallico che rompe il silenzio, in questa strada ormai deserta.

La puzza di muffa che colpisce ogni volta che si entra in questo posto, ad attenderci come sempre.
L'umido che erode i muri, dà la giusta accoglienza, il benvenuto al marcio che è solo l'inizio, l'indizio di ciò che si vive non vivendo veramente.
È un particolare che non noto, a far aumentare il passo a mio fratello. Un impercettibile dettaglio che non ho colto a dovere, lo spinge ad affrettarsi, mentre sale tre scalini alla volta aiutato da forti spinte al corrimano.
E la mia rincorsa a seguire lui e ciò che lo ha allarmato.
E finalmente ascolto anch'io, è un alternanza di voci che gridano mentre cercano di sovrastarsi a vicenda.
Rumori di cose che urtano contro altre, qualcosa che va in pezzi, qualcosa di estremamente delicato come del vetro, o ancor più di esso, l'animo e la psiche di nostra madre oltre le pareti, in quella casa.

E arranco per le scale per cercare di tenere il passo di Luca ripetondomi come un mantra: "non può entrare da solo."
Chiunque ci sia, qualsiasi cosa stia accadendo, non può essere il singolo spettatore.
Anche perché so che Luca, a fare da spettatore non è mai stato capace. Non si sforza nemmeno di stare a guardare impassibile, si lancia e basta. Si butta nella mischia senza riconoscere dove inizia il bene e dove finisce il rispetto, dove inizia il senso di protezione e dove finisce l'odio.

Ed io? Come potrei io, adesso, mettere fine a tutto questo?
E la corsa di stasera termina definitivamente al secondo piano di questo palazzo.
Finisce non appena si spalanca la porta, e ascoltiamo rabbia e disprezzo arrampicarsi sui muri come tante crepe invisibili: "Dove cazzo sta quello stronzetto di tuo figlio?", urla come un pazzo, mentre mamma piange in un angolo della stanza.

"Si è permesso di venirmi a minacciare davanti a tutti i miei amici", ed un bicchiere vola da quel che resta di una tavola apparecchiata per la cena che nessuno consumerà, stasera. Si schianta sul muro ai lati della testa di mamma, e centinaia di pezzi di vetro si infrangono dappertutto.
Si avvicina ancora di più a lei, mentre Luca assiste immobile caricando il suo rancore al punto giusto.
Lo fissa come se sapesse quand'è il momento di reagire, mentre io resto inebetita a fissare i tre in attesa di quale sarà la prossima mossa.

E di fronte a lei, stavolta, tenta ciò che gli ho visto fare troppe volte, ormai.
Alza la mano in aria pronto a colpire,"Ti ho detto dove cazzo è tuo figlio?", ed io a coprire gli occhi nel tentativo di non vedere quando colpirà; e immagini del passato si rendono nitide nella mia mente, nonostante provi a non guardare, a mancare sono solo i suoni, provocati da quelle azioni.

"Sono qui, pezzo di merda.", e mi riscopro spettatrice di cose già viste in passato, azioni che ho voluto nascondere in posti lontani da me stessa, e la speranza di non dovervi più assistere diventa il biglietto d'ingresso nel circo degli orrori.
La presa salda di Luca sulle sue spalle, scaraventando il corpo di nostro padre a terra, mentre con le ginocchia al petto gli grida "basta, basta, basta."
Mamma continua a piangere in quell'angolo, ed io che al contrario suo non emetto suoni. Cerco di urlare e mi ritrovo pietrificata del tutto: dal panico, dallo schifo, dall'odio, da noi che non siamo altro che vittime dello stesso carnefice.

E la bile che risale a sostituire le corde vocali, mentre il pugno di Luca si scontra con il viso di chi non si penserebbe mai di dover colpire, un giorno.
Non erano mai arrivati a tanto, e mamma che riesce a gridare le parole che a me mancano: "Ti prego Luca, basta." Parole che si alternano a singhiozzi, mentre il sangue, lo stesso sangue di padre e figlio, si mescola nel peggior modo possibile sul pavimento ai miei piedi.
E il suono della voce di mamma è l'unico che riesce a ridestare Luca dalla sua rabbia.
La distrazione che riesce a  concedere all'individuo che ama, mentre si consuma nel non essere ricambiata.

Striscia sotto i miei occhi, come un verme, scrollandosi di dosso suo figlio, arrancando verso la porta d'ingresso, sotto lo sguardo di una moglie distrutta, di un figlio che per poco non lo ammazza, e di me, che cerco il maledetto amore che mia madre si ostenta a perseguire, anche adesso, che di amore non vi è ombra alcuna.

JosephineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora