Cap.15

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Fuori, sono andata fuori. Sul pianerottolo a fare la conta dei danni anche stavolta. Meglio qui fuori che dentro.

Di guardare il fantasma della donna che mi ha messa al mondo aggirarsi per le stanze, non mi va.
Di stare in compagnia di chi non riesce ad essere amica neppure di se stessa, non ne ho bisogno in questo momento.
Meglio sola, sola come sempre, sola come mi sento.
Sì, meglio così.

Di guardare sigarette susseguirsi una dopo l'altra, non mi serve.
Come non serve le dica che la sua fine sarà uguale a quel che fuma; si spegnerà lentamente, sola, con la sua cenere soltanto a tenerle compagnia.
No, non serve.

Su queste scale quante volte mi sono seduta...
Quante volte hanno raccolto i miei pensieri...
Loro, che possono essere la via di fuga o le accompagnatrici verso la mia prigione.
Loro, che stasera ho percorso con la leggerezza che non mi ero mai permessa di avere per me.
Sono loro che adesso devono sostenermi.

Il pensiero di Luca che ha tardato a rientrare stasera, mi incute sollievo.
Il pensiero di Davide che in questo periodo è più assente del solito, non mi lascia capire quale sia la causa, se noi, la casa o altro ancora.

La decisione di uscire a respirare aria fresca via da qui, mi tenta.
Mi alzo, le scale che in questo momento mi sono amiche mi conducono fuori di qui.
La porta aperta al piano di sotto, mi attende.
Il volto di chi appartiene a me, alla mia casa, a quella specie di famiglia di cui faccio parte, mi aspetta sulla soglia.

"Ma cosa è successo di sopra? Ho sentito urlare, ma quando sono uscita avevano smesso."
Dovrei crederle. Vorrei crederle, ma non ci riesco.
Non riesco a credere a chi si è guadagnata il biglietto di ritorno dall'inferno senza aver pagato nulla; senza averlo chiesto.
Non le credo, ma dovrei. Perché il sangue non può mentire, e il suo è lo stesso che scorre nelle mie vene.

"Le solite cose", mi appresto a dire. Liquido così la sua curiosità.
Non ho voglia di sentire pietà anche da lei.
Non la voglio la pietà di chi non conosce un cazzo di come mi sento.

Vorrei farle vivere una settimana in quella casa, nel mio corpo.
Vorrei sentisse sulla sua pelle ciò che si prova lì dentro.
Vorrei vederli dopo, i suoi occhi; chissà se sarebbero di pietà verso di me o verso se stessa.
Ma non posso, nessuno può.
Nessuno può prendersi il mio posto, il nostro posto.

"Dove te ne vai a quest'ora?", la richiesta autoritaria di chi ha la maggiore età tra le due.
La sua mano a stringersi attorno al mio braccio. I miei occhi che fissano prima le dita, poi la proprietaria dritto nei suoi.
Il non voler essere toccata, dipinto in volto come il più orribile dei ricordi.
Lei che capisce e lascia la presa.

"A respirare", le dico. "Vado solo a respirare."
"Stai attenta, Nina", mi raccomanda.
"Non preoccuparti Giulia, io coi mostri ci vivo, non li posso incontrare per strada."

Il mio sarcasmo colpisce proprio dove volevo.
Il volto contratto a darmi la giusta soddisfazione con la sua smorfia di dispiacere.
Il mio voltare le spalle alla casa che l'ha accolta e salvata dal mio stesso destino.

A lei, a quella sorella che avrei tanto voluto avere vicino, ma che mi è stata negata.
Il non trovare spiegazioni da parte mia, il nasconderlo - forse - da parte sua.

La lascio sola su quella soglia, sola come ha deciso di lasciarmi lei quando ha scelto un'altra casa dove vivere.
Sola come mi sento sempre, nonostante viva in un posto affollato.
Sola, dove forse per strada riuscirò a camuffarlo agli altri più che a me stessa.

"Un giorno di questi ti porto a conoscere la mia comitiva di amici in piazza." Cerca di essere presente, Giulia, ma solo ora.

"Sì, certo, un giorno di questi", le rispondo senza prendermi nemmeno il disturbo di guardarla, mentre volo sulle scale fino al portone.

Respiro profondo, schiena dritta, e apro il varco del mio mondo che mi separa da quello reale.
E assaggio l'aria che mi manca, l'ossigeno di cui ho bisogno per ritornare dopo, in quel posto dove l'aria non c'è.

Dove ad attendermi c'è solo fumo, silenzi che fanno più rumore di mille voci, e parole più affilate di coltelli.
Respiro, respiro più che posso; i polmoni trattengono più aria di quanto gli sia concesso, solo per non lasciarmi soffocare dopo.

JosephineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora