Cap. 22

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Stretta nel giubbotto di Luca, un po' troppo grande, per me.
Il suo tessuto a proteggermi dal vento, il suo gesto a riscaldarmi sotto la pelle: dove non può entrare nulla più di quello che vi viene inserito a forza, dove il gelo, stasera, si è attenuato un po'.

Mi stringo tra la stoffa di jeans che mi copre, e la shirt nera di Luca, mentre percorriamo la strada del ritorno.
Occhi aperti, stavolta; non ho bisogno di non sapere, ora so, adesso conosco quale sarà l'arrivo.

Non corre come all'andata, la moto; non accelera come prima, Luca; come prima, quando ha capito il mio bisogno di scappare.
Non mi sta aiutando a scappare, in questo momento. Mi sta semplicemente accompagnando verso casa. Mi sta lasciando godere del mio, del nostro ritorno.

Ci facciamo compagnia a vicenda, mentre parcheggia nel garage che si trova nella via parallela a dove abitiamo.
Camminiamo piano, quasi a voler tardare entrambi il rientro.

La strada deserta ad indicarci l'ora tarda, una persona che cammina solitaria verso di noi ci sorprende sulla destra, da una delle poche arterie che si incrociano in piazza: Giulia.
Senza parlare si aggiunge a noi, senza parole, proseguiamo così verso casa.
L'ombra di un uomo ci viene incontro da lontano, un uomo che forse uomo ancora non è: Davide, anche lui di ritorno, adesso.

L'incontro al civico settantadue, è la stessa meta per tutti.
Otto occhi si guardano. Quattro corpi si sfiorano, con un solo sangue per tutti.
Nessuna chiave stretta tra le mani per aprire, nessun citofono che risuona in lontananza, nessuno che vuol porre fine a questo giorno.

Una sigaretta sfilata dal pacchetto; Luca la accende tra le labbra, donandoci la liberazione di altri pochi minuti a disposizione.
La scusa di non lasciarlo da solo, ci trattiene ancora qui.
L'alibi che volevamo, ci è stato concesso da una boccata di tabacco e fumo soffiato via.

Qualche goccia tocca i nostri volti, naso all'insù a guardare la pioggia che ha tardato il suo arrivo. Cade giù, adesso; ora può, le è permesso.
Può dare sfogo al suo pianto senza il mio amore per lei a trasformarsi in odio. La ammiro scendere tra la luce del grande lampione al centro della strada; sembrano tante scintille di ferro incandescenti.

Un portone di fronte, è il nostro riparo. Noi, stranamente allineati in ordine di nascita: Davide, Luca, Giulia e... io. E non so se stasera sono più Josephine o Nina.
So soltanto essere l'ultima di questa fila di derelitti quali siamo.
Esperimenti non riusciti nel laboratorio al civico settantadue.
Siamo cavie, tutte cavie ignare.
Nessuna scelta, nessuno scampo alcuno.
Solo quattro ragazzi, quattro figli nati qui, quattro speranze marcite nello stesso posto.
Quattro vite in una, un unico dolore diviso per quattro.

La pioggia inizia a battere forte. Il suo cadere è il solo rumore per strada, in questo momento, e qualche tuono a parlare al posto nostro.
Luca, che appoggiato al muro, ha lo sguardo perso a rincorrere la nuvola di fumo che abbandona le sue labbra per poi perdersi nell'umidità.
Davide, che dritto a bordo marciapiede, ha mani in tasca e pensieri rivolti chissà dove e chissà a chi; già, chissà.
Giulia, che sembra essere sempre la nota stonata, si amalgama perfettamente a noi tre, stasera. Nessun segno di distinzione, nessuna grazia, nessuna agevolazione di vita per lei. È solo figlia, adesso.
È solo sorella: sorella di sangue, di destino, di vita, e forse anche di dolore. Chi può dirlo, in fondo.
Magari in un modo o nell'altro c'è anche lei a soffrire come noi.

E poi...
E poi niente, poi ci sono io tra di loro, e io con loro; con la mia voglia di buttarmi sotto la pioggia da reprimere.
E fisso la sigaretta di Luca che muore nella pozzanghera ai suoi piedi. Guardandoli sorridere tra di loro e a me.
Solo sorrisi senza parole, sorrisi che vogliono esprimere la stranezza e la coincidenza del momento.
Il nostro non incontrarci mai, è divenuta la condivisione di un attimo che non condividiamo mai.

L'allontanamento voluto da tutti, è diventato l'incontro casuale in questa via, in una domenica sera qualunque.
La pioggia improvvisa e una sigaretta, sono stati il collante per venti minuti condivisi.
Le chiavi che tintinnano tra le mani di Davide, sono il nostro richiamo.

"Andiamo?", la domanda che aspetta la risposta di tutti. Ci guardiamo, aspettando che ognuno sia pronto a suo modo.
Il mio "andiamo" sospirato, un cenno di assenso da Luca e Giulia, e la loro corsa nell'attraversare per cercare di non bagnarsi.
A passo lento li seguo, non cercando scampo dalla pioggia.
La cerco, la sento, mi sento; e non posso proprio farne a meno.

Il portone trattenuto ad aspettare il mio arrivo, e la certezza che se domani continueremo ad ignorarci, su quel marciapiede resteremo per sempre, anche tra vent'anni.
Forse sarà un ricordo, ma un ricordo condiviso insieme.

JosephineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora