Capitolo 24

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POV CHRISTIAN
Anastasia ed io siamo nel nostro studio alla Big House, io immerso tra le scartoffie di bilanci e preventivi, e lei intenta a revisionare capitoli di libri. Nonostante ci siamo presi qualche giorno di ferie, non vogliamo trascurare troppo il lavoro. A dirla tutta ho insistito affinchè lei riposasse un po' o guardasse un po' di televisione tranquilla, ma come al solito non ha voluto sentire ragioni, dice che leggere la rilassa. E in effetti, fermandomi ad osservarla, noto i suoi occhi completamente attratti dai fogli, e le sue dita che giocherellano tra i capelli. tipico gesto di quando è concentrata in quello che sta facendo.
"Sai una cosa?" dice ad un tratto Anastasia.
"Cosa?" chiedo, incuriosito.
"Stavo pensando che ho intenzione di comprare un enorme tappeto per la cameretta di Puntino.."
Scuoto la testa e sorrido. Da quando stamattina siamo andati a scegliere i mobili per la cameretta, Anastasia non riesce a pensare ad altro, è emozionata ed euforica come una bambina. E il mio cuore rinasce ogni volta in cui la vedo così felice.
"Tutto quello che vuoi, piccola" le dico facendole gli occhi dolci.
Ana mi soffia un bacio e mi sorride. Dopodiché torna a concentrarsi sul suo lavoro.
All'improvviso sentiamo il campanello del cancello suonare, mi alzo e vado alla finestra: vedo un'auto nera che sta percorrendo il vialetto, ma non riesco a capire chi ci sia alla guida. Decido così di scendere a vedere, e mentre imbocco le scale sento la porta che si apre e Gail che dialoga con un uomo.
Arrivato al piano inferiore, Gail mi viene incontro annunciandomi che è arrivato il detective Clark.
"Buon pomeriggio Mr Grey"
"Salve, detective" rispondo stringendogli la mano.
Lo faccio accomodare in salone e gli offro un bicchiere di vino rosso. "A cosa devo la sua visita?"
"Ho bisogno di parlare sia con lei che con sua moglie di ciò che è accaduto ieri mattina.. sarei dovuto venire già ieri pomeriggio, ma ho immaginato che foste molto scossi e ho preferito lasciar perdere.. ora però non posso rimandare oltre.."
Oh, no. Parlare ancora di quello che è successo ieri? Non so se ce la faccio, e soprattutto non voglio che Ana ripercorra ancora quelle ore orribili.
"Detective.. non vorrei sembrarle scortese, ma non.. non credo sia il caso.. soprattutto per mia moglie, come ben sa è incinta di cinque mesi e già ieri ha avuto un mancamento, non vorrei turbarla ulteriormente.."
"No Christian.." la voce dolce di Ana mi fa voltare di scatto. La trovo appoggiata allo stipite della porta. "Ce la faccio, non ti preoccupare"
Stringe la mano al detective prima di sedersi accanto a me sul divano.
"Mrs Grey, so quanto possa costarle quello che le chiedo, ma per noi è fondamentale sapere con precisione cosa sia accaduto.."
"La capisco, detective, è il suo lavoro.." mormora mia moglie.
Comincio io a raccontare ogni minuto di quelle ore terribili, ripetendo tutti i gesti e tutte le parole. È più difficile di quanto pensassi, soprattutto quando mi torna alla mente il momento in cui ha menzionato mia madre, Anastasia se ne rende conto e mi posa una mano sul ginocchio, come per infondermi forza. Bevo un sorso di vino e proseguo il racconto fino alla fine.
Dopo di me comincia a parlare Anastasia, le prendo subito la mano e gliela stringo, per farle capire che io sono qui, e che non deve più temere nulla. Colgo nella sua voce ancora il panico e la paura che in quelle ore le hanno gelato il sangue. E sento dentro un ruggito di rabbia, un istinto omicida verso quei due bastardi che hanno provato a rovinarci la vita. Ana di tanto in tanto si ferma per bere un bicchiere d'acqua, e poi prosegue, sempre con la voce ferma e precisa.
Prima di andare via, Clark ci comunica che Jack è stato trasferito in un carcere in Nevada ed esiliato dallo stato di Washington, e molto probabilmente, non appena sarà uscito dall'ospedale dopo il colpo inflittogli da Jason, anche Linc avrà la stessa sorte.
Non appena il detective va via, tiro un sospiro di sollievo, anche se quell'alone di malumore non si decide a lasciarmi.
"Come ti senti?" domando avvicinandomi ad Ana e prendendole le mani.
Sospira. "Va tutto bene, Christian.." dice a voce bassa.
"No, non va tutto bene! Non avresti dovuto rivivere tutto così.. non è..."
"Sssshh" sussurra posandomi un dito sulle labbra. "Basta! Neanche io avrei voluto, però era importante e andava fatto, quindi non pensiamoci più ora.." mi dà un bacio sulle labbra e si dirige in cucina ad aiutare Gail con la cena.
Io resto nell'atrio, imbambolato come un deficiente, mentre le parole di quel bastardo di Lincoln ancora mi risuonano nella mente "le puttane come tua madre". Perché mi fanno male queste parole? In fondo è la verità: mia madre era una puttana drogata, una che preferiva il crack a suo figlio, e ora che sto per diventare padre mi chiedo come sia possibile, come si possa accettare di vedere un bambino piccolo torturato in quel modo, e non alzare un dito.
Sono in un bellissimo parco, pieno di alberi in fiore, di bambini che giocano, di ragazzi che fanno jogging, pieno di risate e spensieratezza. Cammino pestando delicatamente l'erba sotto i miei piedi, e respiro quell'aria così pura, del tutto diversa da quella della città. All'improvviso sento qualcuno chiamare il mio nome, mi volto e una ragazza dai capelli bruni avanza verso di me.
Ha un qualcosa di familiare, come se la conoscessi già. E gli occhi, gli occhi sono due calamite, mi attraggono e non riesco a guardare altrove.
No. Non può essere.
"Cosa c'è Christian? Non mi riconosci più? O forse hai paura di me?"
Non credevo che dopo tutti questi anni l'avrei riconosciuta ancora, ma in fondo certe cose come puoi dimenticarle?
Deglutisco più volte prima di riuscire a balbettare un'unica parola. "M-mamma.."
Lei sorride e annuisce. È così diversa da come la ricordavo: non ha buchi sulle braccia, non ha lividi, non ha gli occhi lucidi. Sorride, i suoi capelli, che ho sempre adorato spazzolare, sono puliti e sistemati, il suo viso è luminoso, e indossa un delizioso vestitino bianco che le dona tanta luce.
"Ma c-com'è possibile? Avrai la mia età.."
Lei ride. "Veramente sono più giovane di te, ho venticinque anni.. è questa l'età in cui me ne sono andata.."
"Cosa vuoi da me?" tuono, forse un po' troppo duro.
Il suo viso si incupisce, notando forse il distacco nella mia voce. "Voglio farti vedere una cosa.."
Mi passa davanti e comincia a camminare, mentre io, incredulo, la seguo. Ad un tratto si ferma, indicandomi, a pochi metri da noi, un bambino con la sua mamma. La mamma è lei, e il bambino ha i capelli ramati e le guance paffute, sorride mostrando i piccoli dentini e gioca con tre macchinine. Avrà all'incirca tre anni.
Sono io.
"Siamo io e te Christian.. o meglio.. siamo quelli che io avrei voluto che fossimo.." si siede su una panchina che, stranamente, è bianca, mentre tutte le altre del parco sono marroni e verdi "Vedi, Christian, avrei voluto tanto che la tua vita fosse diversa, almeno nei primi quattro anni, avrei voluto portarti al parco e vederti ridere come quel bimbo lì, avrei voluto che non soffrissi mai la fame, e che avessi il viso sempre paffuto e felice.. ma purtroppo non è stato così.. ed è stata solo colpa mia.." la sua voce è colma di tristezza e rimpianto.
"Perché mi stai dicendo tutto questo?"
"Perché voglio che tu sappia che ti ho amato tanto, e ti amo ancora, che sei stato la cosa più bella che mi sia capitata nella vita, l'unico raggio di sole in un'esistenza totalmente buia.. e magari adesso non ci crederai, perché non sono mai stata in grado di dimostrartelo, di difenderti quando venivi usato e maltrattato, e so che questo ha influenzato tutta la tua vita, e continua a farlo.. ma credimi quando ti dico che ogni volta in cui vedevo quel mostro alzare le mani su di te, il mio cuore si spaccava letteralmente in due.."
"E allora perché lasciavi che lo facesse??" chiedo, sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi.
"Perché ero una persona di merda, perché quando cadi in qualche dipendenza ci vuole la mano di Dio per uscirne, ed io non sono stata in grado di guarire.. quando mi facevo il mio corpo si abbandonava a sé stesso, non rispondeva ai miei comandi, dandomi una sensazione di eutanasia.. e non ero neanche capace di prepararti da mangiare.." la sua voce si spezza, e sento che trattiene i singhiozzi.
Guardo verso il basso, come ho fatto per tutta la conversazione, non ce la faccio a guardarla negli occhi. Quegli occhi così uguali ai miei.
"Però, ora che vedo chi sei diventato, penso che forse il mio destino era già scritto, forse è stato giusto che morissi, in modo tale da affidarti a qualcuno che ha saputo amarti, proteggerti e curarti, Grace prima, e Anastasia dopo.." alzo immediatamente gli occhi non appena nomina mia moglie "Sono loro che ti hanno fatto diventare l'uomo che sei adesso: forte, sicuro, determinato, dolce, protettivo, amorevole. Io mi prendo solo il merito di quanto sei bello"
La sua mano si alza e si intrufola nei miei capelli, vorrei ritrarmi, alzarmi e scappare via, ma non ne ho il coraggio, anche perché le sue dita lentamente si muovono tra i miei riccioli ramati, e mi sento quasi... amato.
La guardo negli occhi, e vedo le lacrime rigarle le guance. "Perdonami bambino mio per averti fatto soffrire così tanto, non meritavo un figlio come te.." singhiozza e tira su con il naso, poi lentamente si calma "Però, sono sicura che per tuo figlio sarai un padre meraviglioso, saprai dargli tutto l'amore e la cura che non ho saputo darti io.."
Quelle parole hanno il potere di farmi battere forte il cuore. Poi Ella si alza e mi prende il viso tra le mani, baciandomi sulla fronte. "Addio bambino mio, ti voglio tanto bene, ricordalo sempre.." dice prima di allontanarsi. E quel distacco provoca in me un vuoto nel petto, vorrei raggiungerla, chiederle tante cose, ma il mio corpo sembra attaccato a questa maledetta panchina.
Mia madre si volta e mi sorride, prima di dissolversi lentamente, fino a scomparire.
"Aspetta mamma, aspetta.. ti prego, torna indietro.." urlo, ma nessuno mi sente, come se non esistessi.
"Aspetta mamma.. mamma..."
"Christian.." è una voce dolce a chiamarmi. "Christian, ti prego svegliati.. Christian.."
Apro gli occhi di scatto, e Anastasia è accovacciata accanto a me, e mi strattona leggermente la maglietta, ormai madida di sudore.
"Oh, Ana.." sussurro.
Lei mi stringe forte a sé, ed io mi aggrappo letteralmente al suo petto. "Amore mio, stavi solo sognando, tranquillo.." mi rassicura accarezzandomi i capelli.
Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dalla mia dolce Anastasia, mentre il mio respiro si regolarizza.
"Stai meglio ora?" chiede prendendomi il viso tra le mani e guardandomi negli occhi.
Annuisco e le sorrido, ancora con la mente a quel sogno e a quelle parole.
"Parlavi nel sonno, dicevi.. dicevi 'mamma'.. cos'hai sognato? Ti va di dirmelo??"
È così dolce il modo in cui me lo chiede che non me la sento di dirle di no, così le racconto tutto il sogno nei dettagli, mentre lei ascolta attentamente e mi fissa incredula.
"Ha voluto farti capire quanto ti amava Christian, e quanto sia orgogliosa di quello che sei diventato.."
"Se mi amava perché non faceva mai nulla per difendermi?" chiedo, più a me stesso che a lei.
"Te l'ha detto, perché non era padrona del suo corpo, del suo ragionare.."
"E allora perché mi ha messo al mondo, se la sua vita era già rovinata a ventun'anni??" chiedo, quasi urlando.
Ana mi accarezza il viso per calmarmi, e sospira più volte, prima di rispondermi. "Forse non è semplice capire quello che sto dicendo, però, vedi Christian, una donna quando scopre di essere incinta, automaticamente prova amore, indipendentemente dalla situazione in cui vive.. che la gravidanza sia stata cercata o meno, all'improvviso scopri che dentro di te cresce un'altra vita, e la ami, senza neanche rendertene conto. E anche per tua madre forse sarà stato così, sapeva che non sarebbe stato semplice crescere un bambino, però ti amava già quando eri dentro di lei, ti ha amato per il breve tempo che ha vissuto con te, e ti ama ancora adesso, che non c'è più.. e.. per quanto tu non voglia ammetterlo, anche tu le volevi bene.."
"No!" scatto, staccandomi dal suo abbraccio. "No, come potrei..?"
"Sì, Christian, potresti.. tutti i bambini amano incondizionatamente i loro genitori, e anche tu volevi bene a tua madre.."
"No Ana, come potevo voler bene ad una persona che accettava che mi venisse fatto tutto quello..?"
"Semplicemente perché era tua madre, ma credi che non abbia notato quanto hai faticato a dire a Clark che Linc l'aveva definita 'puttana drogata'? Eppure tu non ti fai problemi a chiamarla così, però detto da lui ti ha fatto male, e questo perché è come se solo tu ti sentissi in diritto di chiamarla così, perché in qualche modo dimostri il tuo odio verso di lei.. ma è solo apparente quest'odio, Christian, perché non appena qualcun altro ha pronunciato quelle parole ti sei sentito ferito, e in dovere di proteggerla.. come avresti voluto proteggerla allora, ma in fondo avevi solo quattro anni.." mormora con la voce tremante e gli occhi lucidi.
Le sue parole mi annientano, privandomi della facoltà di parola. Fisso un punto impreciso nel vuoto, e all'improvviso mi passano davanti agli occhi diversi flashback della mia infanzia, quelli che per anni e anni ho continuato a rivivere nei miei incubi, fin quando non è arrivata Anastasia.
Mi tornano in mente tutte quelle volte in cui la mamma era seduta per terra con la schiena appoggiata al divano, mentre io, seduto sopra al divano, le spazzolavo i lunghi capelli bruni, mi piacevano quei momenti, erano momenti di tranquillità, in cui sembravamo quasi una famiglia normale.
Ma poi in pochi secondi crollava tutto.
Sentivamo l'auto del magnaccia che frenava di colpo e prima che lui potesse entrare correvo a nascondermi nell'armadio, tra tutti quei vestiti in cui era impregnato il profumo della mamma.
Ma poi.. poi le porte dell'armadio si spalancavano e la bestia mi prendeva per i capelli, mi buttava sul letto e cominciava a picchiarmi, frustarmi con la cintura, ed io rimanevo zitto, senza emettere un fiato, senza piangere. Poi mi chiudeva nello sgabuzzino e per un po' non sentivo niente, e me ne stavo accucciato inalando il cattivo odore di muffa, fino a quando la mamma non si ricordava di me e veniva a liberarmi. Mi guardava piangendo e si accucciava insieme a me.
Solo ora capisco che anche lei è stata una vittima, che avrebbe voluto proteggermi, come io avrei voluto proteggere lei, ma non ne siamo stati capaci, io perché ero troppo piccolo, e lei perché era dipendente di qualcosa più grande di lei, che le rubava giorno dopo giorno la capacità di connettere con il mondo che la circondava.
Sento la mano di Ana che cerca la mia, gliela stringo e scoppio a piangere, come credo di non aver mai fatto in ventotto anni di vita. Anastasia mi stringe forte al suo petto, e piange silenziosamente.
"Piangi amore mio, piangi.. butta fuori tutto.." mormora.
Ed io singhiozzo, piango e mi stringo a lei. Piango per il male che ho ricevuto, per tutte quelle volte in cui non sono stato sfamato, lavato e coccolato; piango per tutte le volte in cui ho visto mia madre piena di lividi e con gli occhi gonfi; verso tutte le lacrime che non ho versato quando il mio corpo veniva martoriato e segnato per sempre. Piango perché se non avessi incontrato Grace, il mio angelo, probabilmente ora chissà dove sarei; piango perché la vita mi ha dato la possibilità di crescere in una famiglia che mi ha sempre sostenuto e amato, nonostante tutto; e piango perché mi rendo conto che, alla fine, ne è valsa la pena, perché nella vita ho subìto tanto, ma alla fine ho avuto la ricompensa più grande: Anastasia. La mia ancora di salvezza, il mio sole, la mia linfa vitale. Piango perché questa donna meravigliosa ha imparato ad amarmi nonostante la mia oscurità, e mi ha insegnato ad amare e a lottare contro i miei demoni, piango perché grazie a lei ho cominciato a vivere, piango perché ho rischiato di morire e di perdere tutto, e invece ancora una volta qualcuno da lassù mi ha tenuto per mano, e mi ha dato la possibilità di provare a diventare un uomo migliore. Piango per quella piccola vita che cresce nella pancia di mia moglie, per tutte le emozioni che già adesso mi regala, piango perché voglio amarlo, coccolarlo, educarlo, voglio che abbia una vita felice, che non gli manchi nulla, che sia fiero di me e di sua madre.
E infine, piango perché in qualche piccola parte del mio cuore sento che, nonostante tutto, volevo bene a quella ragazza dai capelli bruni. L'ho capito da quel vuoto che ho avvertito quando si è allontanata, nel sogno. E questa nuova consapevolezza mi fa sentire un po' meglio, quasi in pace con me stesso.
Anastasia mi accarezza ritmicamente i capelli e la schiena, e lentamente mi calmo.
"Scusami.." mormoro.
"Sssshh.." sussurra continuando a cullarmi "Piangi pure tutta la notte, ne hai bisogno, amore mio.."
Dio, quanto può essere immenso l'amore che provo verso questa ragazza? Sollevo il viso e la guardo negli occhi. Grigio nell'azzurro e azzurro nel grigio. Anche nella penombra scorgo i suoi occhi lucidi e le guance bagnate dalle lacrime, così come le mie.
Le sfioro il viso con il pollice e poi la bacio castamente sulle labbra.
"Grazie.." sussurro.
"No, no amore mio, non mi ringraziare.. tutto quello che faccio è solo per amore.."
Amore. Quanto è bella questa parola. E quanto mi era sconosciuta, prima che arrivasse lei.
Tiro su col naso, appoggiando la testa sul suo seno e con una mano le accarezzo la pancia.
E ad un tratto, non so se è per il sogno, per le parole di dopo, per il pianto, o per come mi sento ora, ma comincio a tremare leggermente, e pesanti brividi mi attraversano la spina dorsale.
"Ho freddo.." dico piano.
Anastasia sistema bene le coperte addosso a noi, e mi stringe più forte.
"Non ti preoccupare, ci siamo noi adesso, va tutto bene amore.."
E cullato dalle sue braccia, lentamente mi riaddormento.
La mattina seguente, quando apro gli occhi, noto che sono ancora appoggiato con la testa sul petto di Ana. È una posizione così rara, di solito è lei che si accoccola a me. Ma è stato anche bello dormire tra le sue braccia, mi sono sentito incredibilmente al sicuro. Muovendomi molto lentamente, appoggio la testa sul mio cuscino e la guardo dormire.
È così bella e pura.
Ella nel sogno aveva ragione, devo tutto a questa ragazza. Mi ha reso un uomo migliore, ha distrutto il muro di pietra che avevo creato attorno al mio cuore, ha tirato fuori il Christian dolce e divertente, mi rende felice giorno dopo giorno, con le piccole cose. E tra qualche mese mi renderà padre. È così incredibile pensare che dentro di lei ci sia un bambino, un piccolo esserino che è il frutto del nostro amore, una parte di me e di lei, che ci unirà per sempre. Quasi mi sento male se ripenso a come ho reagito quando ho saputo della sua esistenza, e invece ora la mia di esistenza sarebbe inutile senza di lui, senza i suoi calcetti e i progetti che già facciamo per quando nascerà.
Tuttavia c'è anche un'altra donna a cui devo tutto: Grace Trevelyan Grey, la mia mamma.
Questa notte, il sogno su Ella e tutto ciò che ne è conseguito dopo, mi ha fatto capire fino in fondo quanto io voglia bene a questa donna. Io sono quello che sono grazie a lei, che spinta chissà da cosa, ha avvertito subito un legame, un affetto verso di me, al punto da correre in piena notte in ospedale per cantarmi la ninna nanna e farmi addormentare. Ricordo che quella notte, dopo tante notti, dormii sereno, sentendo la sua presenza accanto a me. Ricordo la prima volta in cui incontrai Carrick: cominciai a tremare, mi faceva paura, ma lei, sempre lei, con la sua dolcezza, seppe calmarmi e convincermi che quell'uomo mi voleva bene, e mai mi avrebbe fatto del male.
Mi volto a guardare la sveglia: le sette. È davvero presto, considerando che non devo andare a lavoro, però ormai non riesco ad addormentarmi di nuovo. Così mi balza alla mente un'idea, afferro il cellulare e controllo il promemoria che ho in agenda.
Oggi è 13 gennaio. Venerdì. Il venerdì mia madre ha il turno di mattina, quindi attaccherà tra mezz'ora circa.
Facendo meno rumore possibile mi alzo e mi dirigo in bagno, mi lavo, mi vesto e poi scrivo un biglietto ad Anastasia.
"Buongiorno amore mio.
Sono uscito per fare una cosa, quando torno ti spiego. Stai tranquilla, giuro che non è nulla di brutto.
A dopo piccola. Ti amo da impazzire.

Tuo Christian."
Dieci minuti dopo sono già in macchina, diretto verso il mio bar preferito. Entro, compro due cornetti al volo e mi rimetto alla guida. Quando intravedo da lontano l'insegna bianca e rossa del Seattle Hospital, mi rilasso e sorrido. Parcheggio nello spazio adiacente l'ospedale ed entro, prendo l'ascensore e salgo al reparto di pediatria. Sono le 7:45, mia madre dovrebbe già essere qui.
E infatti eccola, che corre da una stanza all'altra, già di prima mattina. Un bambino con i capelli biondi la tira per il camice, e lei, nella sua infinita dolcezza, si abbassa alla sua altezza.
"Cosa c'è, Brian?"
"Posso mangiare la cioccolata?" chiede innocentemente il piccolo.
"No, tesoro mio.." risponde mia madre carezzandogli il viso "Vedi, quando ti fa male il pancino, non si può mangiare la cioccolata, e neanche le patatine e i biscotti, altrimenti non riusciamo a sconfiggere i mostriciattoli che ti fanno sentire tanto dolore.."
Sorrido. Sono le stesse identiche parole che rivolgeva a me, Elliot e Mia quando avevamo il mal di pancia.
"Bisogna mangiare la pastina con il formaggino, il riso e il pesce per qualche giorno.. capito? Perché.."
"..perchè solo loro possono combattere i mostriciattoli della pancia e fanno passare tutto.." completo la frase al posto suo, avvicinandomi cautamente.
Grace alza il viso di scatto e i suoi occhi si illuminano. "Christian!!! Che ci fai qui?" prima che possa rispondergli, si rivolge nuovamente al bambino "Ti va di aspettarmi in camera?"
"Ma tu arrivi presto?"
"Certo! Sarai il primo bambino che visiterò oggi" lo rassicura scompigliandogli i capelli.
Il piccolo sorride felice e poi corre verso la sua camera.
"Le tecniche di convincimento non sono cambiate con gli anni, eh?" osservo divertito.
Mia madre ride, si tira su e mi si avvicina. "Allora? Come mai qui?"
Le do un bacio sulla guancia prima di risponderle. "Mi sono svegliato presto, e così volevo chiederti se ti andava di fare colazione con me.." spiego mostrandole il sacchetto con i cornetti.
Mia madre mi fissa con gli occhi sgranati, probabilmente non si sarebbe mai aspettata un gesto del genere, da parte mia.
"Dimmi la verità Christian, è successo qualcosa? Anastasia non sta bene?"
"No! Anastasia sta benissimo, l'ho lasciata che dormiva. Dev'essere successo per forza qualcosa per voler vedere mia madre?" replico, un po' offeso.
Lei sorride e scuote la testa, divertita forse dal mio torno risentito. Inevitabilmente sorrido anche io.
"Però, mi dispiace disturbarti a lavoro, se non puoi fermarti, non fa nulla.."
"Nono, non ti preoccupare, il giro di visite inizia alle otto.." dice prendendomi per il braccio e conducendomi sul balcone del piano.
Ci sediamo su un muretto, estraggo il cornetto dalla bustina e glielo porgo. "Cioccolato bianco, giusto?" chiedo, per sicurezza.
"Certo!" esclama.
"Come sta Anastasia?" chiede, prima di dare il primo morso al cornetto.
"Ora sta meglio. Quello che è successo inevitabilmente l'ha sconvolta, però piano piano sta cercando di superarla, concentrandosi su qualcosa di più bello.."
"Papà ed io volevamo passare a trovarvi, però poi ci siamo detti che era meglio non strapazzarla ulteriormente.."
"Sì, in effetti la dottoressa le ha consigliato di riposarsi e di non stressarsi. Non sta andando a lavoro in questi giorni, anche se credo che lunedì vorrà riprendere la sua routine, lo sai quanto è testarda.."
Mia madre ridacchia, poi però diventa subito seria. Mi accarezza delicatamente i capelli e poi il viso. "E tu? Come stai tu?"
"Io.. io sto bene se vedo mia moglie felice.. mi sono sentito morire in quei minuti in cui non sapevo quel bastardo cosa le stesse facendo, al punto che per un attimo ho temuto..." la mia voce si spezza a quel pensiero, prendo un respiro profondo prima di proseguire "Però adesso va tutto bene, la cosa fondamentale ora è che Ana e il bambino stiano bene, tutto il resto non conta.."
Grace sorride, e in questo momento non posso fare a meno di notare che quel sorriso è esattamente lo stesso da ventiquattro anni, dal primo giorno in cui l'ho vista.
"Mamma.. posso dirti una cosa?"
"Certo caro!"
"Io.." mi rendo conto di non sapere di preciso cosa dirle, poi me ne esco con la frase più semplice e più complicata del mondo "..ti voglio bene! Te ne ho sempre voluto e.. mi dispiace se non te l'ho detto quasi mai.. però, giuro che non c'è un solo giorno in cui io non pensi che devo a te quello che sono adesso.."
Gli occhi di mia madre si illuminano all'istante e si riempiono di lacrime. "Oh, piccolo.." sussurra prima di alzarmi e stringermi forte a sé. Ormai l'abbraccio di qualcuno non mi fa più paura, anzi, mi sento davvero bene adesso. "Anche io ti voglio tanto bene, sei un pezzo del mio cuore, lo sai.."
Mi dà un bacio in testa e poi, anche se non vorrebbe, è costretta a lasciarmi per tornare a lavoro.
Finisco il mio cornetto e poi mi metto in macchina per tornare a casa. Prima, però, faccio una breve sosta dal fioraio, e alle 8:40 sono a casa.
Mi dirigo in cucina e trovo Mrs Jones alle prese con la colazione.
"Buongiorno Mr Grey!"
"Buongiorno Mrs Jones, mia moglie si è già alzata?"
"Sì, è in giardino.."
"In giardino?? Con questo freddo??"
"Mi creda ho provato a dissuaderla, ma sa com'è sua moglie quando si mette in testa una cosa.."
Mi ritrovo a sorridere. Ebbene sì, la mia Ana è incredibilmente testarda, ma in fondo anche questo amo di lei, anche se spesso la sua testardaggine mi si ritorce contro.
Apro la portafinestra della cucina e vedo Ana seduta su una poltroncina di vimini, con il fedele plaid di Winnie The Pooh sulle spalle, e, mi sembra di capire, una tazza di tè in mano. Mi sta di spalle, quindi cammino molto lentamente per non farmi sentire, appena arrivato a pochi passi da lei, restando alle sue spalle, le metto davanti il piccolo bouquet di fiori di campo che io fioraio ha realizzato e abbellito con un fiocco rosso.
"Buongiorno principessa.."
Ana sobbalza. "Oh, Christian.." si alza di scatto, prende i fiori e li osserva con un sorriso "Sono bellissimi..". Mi bacia sulle labbra. "Buongiorno amore! Ho trovato il biglietto, dove sei stato??"
"In ospedale.."
"Oddio come in ospedale?" urla.
"Amore calmati, cercavo solo mia madre.." la tranquillizzo.
Tira un sospiro di sollievo. "Ah.. menomale.."
"Le ho portato i cornetti e li abbiamo mangiati insieme.. non chiedermi perché l'ho fatto, solo che mi sono svegliato, ho ripensato a questa notte e.. non so, volevo vederla.."
Anastasia sorride radiosa e mi abbraccia forte. "Sono sicura che l'hai resa felicissima!"
"Tu cos'hai fatto nel frattempo?" chiedo baciandola in testa.
"Ho bevuto una tazza di tè, e il nostro piccolino mi ha fatto compagnia scalciando.. ora però si è fermato.." dice sfiorandosi la pancia.
Mi chino e le bacio dolcemente il ventre, coperto dalla spessa maglia del pigiama. "Buongiorno Puntino.."
Mi rialzo e noto Anastasia che mi guarda esterrefatta e si tasta la pancia.
"Amore cosa c'è??"
"No senti, non è possibile.. appena ha sentito la tua voce ha ricominciato a muoversi.."
Scoppio a ridere, divertito per l'espressione di Anastasia e orgoglioso del fatto che il mio piccolino mi abbia riconosciuto.
Anastasia cerca di trattenersi, ma poi ride insieme a me. La stringo forte e le do un bacio in testa. "Ma tu cosa fai qui fuori con questo freddo??"
"Mi piace stare qui, e poi tra il tè e la coperta non ho freddo.."
"Io sì però.." ammetto.
Anastasia si sfila la coperta dalle spalle e la mette sulle mie, in modo tale che avvolga sia me che lei.
"Se vuoi ti scaldo io.." mormora baciandomi e strofinando il naso sul mio. Noto nel suo sguardo quel luccichio tipico di quando allude ad una sola cosa. Senza indugiare oltre, la prendo in braccio e la riporto in casa.
"Aspetta, hai fatto colazione?" domando.
"La faremo dopo.." risponde, mordendosi il labbro.
La bacio prima di salire al piano di sopra e portarla in camera.
La nostra bolla ci attende.  

La forza dell'AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora