decisioni

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Angolo autrice:
La storia non è ancora completa ed è sempre in continua revisione. Si presenteranno tanti errori che sto cercando di eliminare, quindi perdonatemi per alcune incorrettezze.
Con questo vi auguro una buona lettura. Spero che vi piaccia e se è così fatemelo sapere😘😘
-Hajar

15:55

Sono nella cucina del ristorante dove lavoro e mi sono incantata da 15 minuti, a guardare le lancette di un orologio attaccato ad una semplice parete bianca, nella speranza che si facciano le quattro, così ché io possa ritornare a casa, dopo una giornata a dir poco pesante di lavoro.
<Miriam!> tuona una voce troppo famigliare, che riesce a farmi sobbalzare dallo spavento.
<Leo... dimmi> dico con una mano sul petto, voltandomi dalla parte dove si trova il mio capo.
<Come sempre ti vedo a non far niente... È per questo che ti pago?> chiede con il suo solito fare da altezzoso.
<Leo mi sono spaccata la schiena fino a 15 minuti fa, a forza di spostare i piatti e lavarli... E in più ho pul..> ribatto in mia difesa, ma non mi fa neanche finire la frase.
<Cerchi sempre di giustificati...> dice guardandomi con sufficienza. Quanto non lo sopporto lui e questa sua aria altezzosa. Le sue labbra e i suoi gesti, mi fanno capire che è ormai partito con la sua solita ramanzina, dove lui vuole fingersi il capo che non sa essere e la mia mente ovatta il suono emesso dalla sua voce, perché non mi va di ascoltare prediche da una persona che non lavora e se viene qua, è solo per opressarmi. Non guardandolo incastro le mie mani fra i miei capelli e inizio a pensare che devo abbandonare questo lavoro dove svolgo la bellezza di tre mansioni: cameriera, cuoca e lava piatti... Dipende dai turni che ho e da quanto personale c'è nelle ore di servizio; se siamo almeno in cinque, posso permettermi di fare semplicemente la cameriera, se invece siamo in numero minore, devo anche dare una mano in cucina, altrimenti dovrei rimanere a lavorare più ore del dovuto e direi che già sono stancanti quelle che devo fare per contratto; agli occhi di Leo, invece, io non faccio niente e il fatto che non mi viene riconosciuto il lavoro che svolgo, mi da ai nervi.
Leonardo è un ventottenne, che non dimostra l'età che ha e oltretutto gli è stato affidata la gestione di questo ristorante che è di proprietà del padre. Sono stufa di stare qui fisicamente e mentalmente... Sto realmente tenendo in considerazione di lasciare questo lavoro... Anzi dico proprio che non mi importa più! Sono veramente stanca di essere trattata in questo modo, ed è arrivata l'ora che io mi riprenda in mano la mia vita. Appoggio le mani nel tavolo metalicco tipico delle cucine e faccio un gran respiro.
<Basta Leonardo!> dico con una voce incredibilmente calma scuotendo la testa, ma dentro quelle parole ci racchiudo tutta la mia frustrazione e la mia stanchezza. Lui si blocca interdetto e mi guarda mentre mi slego e tolgo il grembiule di lavoro che ho addosso. <Sono stanca, te lo giuro.> ammetto <Sono due anni che lavoro in questo posto e quasi ogni volta che tu sei presente qua, devi farmi questa inutile predica, cosa che non avviene mai con tuo padre, perché è una persona intelligente e comprensiva; invece tu sei tutto il contrario!> sputo ormai abbastanza alterata <Perché non riesci a mandare giù che io non ti voglio? Perché non ti impegni ad essere un po' più professionale quando siamo al lavoro? Perché mi rendi la mia permanenza al lavoro un vero inferno...?> chiedo con un velo di disperazione e credo delusione nel mio volto e nella mia voce. Lui cerca di aprire bocca e so che non potrà mai dire qualcosa che mi possa far cambiare idea o qualcosa d'intelligente, così lo fermo alzando una mano. <Non mi interessa sentire le tue spiegazioni...> affermo e mi inizio ad appallottolare il grebiule fra le mani, come se fosse un foglio di carta dove ho scritto parole inutili e insignificanti, un po' come il lavoro che ho fatto all'interno di queste mura... Inutile, perché non ha portato a niente di buono, apparte il mio guadagno dovuto. <Non mi interessa perché io me ne vado... E me ne vado veramente.> dico guardandolo in quei suoi occhi scuri, profondi e penetranti, che oggi non mi fanno più alcun effetto... Non mi intimoriscono, non mi scalfiscono, perché finalmente, sento che me ne sto liberando definitivamente di lui, perché ho trovato il coraggio per andarmene.
<Che significa che te ne vai?> chiede corrugando la fronte perplesso.
<Significa che me ne lavo le mani, ciò che dovevo fare l'ho fatto e se non era abbastanza secondo il tuo punto di vista... perché non lo fai tu?!> dico lasciandogli il grembiule, che lui, anche se incredulo afferra. <Sarebbe anche ora che inizi a capire che significa lavorare, invece di impartire solo ordini.>
<Ma...> balbetta.
<Niente ma... Io mi licenzio> dico seria. Mi dirigo verso la porta e mi giro nuovamente verso la sua parte, incontrando di nuovo i suoi occhi, sperando che sia l'ultima volta che li vedrò. <Leonardo... Un'ultima cosa te la voglio dire prima di andare. Puoi avere tutti i soldi che vuoi, ma credimi che una vera donna non la conquisti con i tuoi averi materiali che le puoi offrire, ma con ciò che hai dentro, il carattere, i sentimenti... E tu ne sei tristemente privo> dico guardandolo finalmente con aria di sufficenza. Sapendo che l'ho lasciato a bocca aperta, me ne vado via con una soddisfazione immensa. È due anni che lo conosco e se ho detto quelle parole un motivo c'è; è insensibile ed egoista... Quindi direi che se le meritava. Vado ad aprire il mio armadietto per prendere la mia borsa, dopo di ché mi vado a specchiare in uno specchio appeso sopra un lavandino in bagno e la ragazza che mi ritrovo davanti ha un sorriso stampato in bocca, certo i capelli non sono di un gran bel aspetto, ma quel sorriso fa passare in secondo piano tutto il resto. Sono veramente contenta, mi sono liberata di un gran peso, però ripensandoci bene non è stato un bene abbandonare quel lavoro. Scuoto la testa perché non ci voglio pensare. Al diavolo. Devo trovare qualcosa di meglio, mi merito qualcosa di meglio. Devo iniziare a pensare a qualcosa che possa ribaltare le carte in tavola, perché non posso continuare a stare in un posto che non ha tanto da offrirmi; non ci vedo un futuro promettente qua. Mi passo una mano fra i capelli e decido di smettere di pensare così tanto, ed esco da questo posto senza incontrare lo sguardo di Leonardo. Mentre m'incammino verso casa, scaccio via i miei pensieri, ascoltando un po' di musica, che è la mia salvezza, la miglior medicina e la miglior droga in circolazione. Credo di non amare nessuno al mondo, nel modo col quale amo la musica, io vivo solo per la musica, dire che è la mia passione e una diminuzione. Mi metto le cuffiette e faccio partire happy di Pharrel William, che è molto azzeccata data la mia felicità.

The suitcase full of dreamsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora