Capitolo 25

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Il freddo pungeva la pelle, il naso era rosso e i capelli arruffati dal vento. Sembrava una scena già vissuta ma il finale sarebbe cambiato?
Era questo quello che si chiedevano i tre ragazzi nascosti dietro una macchina nera con i fari spenti. Aspettavano lì ormai da quindici minuti circa ma neanche un'anima viva. Si chiesero, per un momento, se D. e il mittente li avessero messi nel sacco.

Rischiavano tanto, ma ormai che c'era da perdere? L'unica cosa che ancora avevano era la vita. La morte non sembrava così paurosa adesso perché sapevano che se fossero morti sarebbero morti assieme. Loro non ne avrebbero lasciato traccia. Non potevano permetterselo. Forse fu un errore quello di lasciare lì, nei freddi pavimenti del bagno dell'università, il corpo senza vita di Kate. I ragazzi non lo avrebbero mai saputo.

"Era ora, credevo ti fossi perso!" Una voce forte, uguale a quella sentita nel cellulare, parlò. Sembrava spazientito.

Serena si strinse nel suo cappotto pensando che in quel silenzio assoluto anche un piccolo scricchiolio si sarebbe udito. E non poteva permetterselo. Non adesso che era così vicino all'identità del suo aguzzino. Suo e di Jack.
Luke si mise l'indice sulle labbra facendo loro segno di stare zitte. Sapeva cosa succedeva in quegli incontri: una volta, anche lui, ne era stato protagonista. Significava che nella villa non si poteva parlare perché era un fatto troppo importante. Sapeva anche che gli uomini erano coperti in viso con un passamontagna.
Non c'era bisogno di una laurea per capire che D. e il capo stavano per iniziare una lunga e accesa discussione su traffici illeciti o addirittura su omicidi e sparatorie. Luke non se ne sarebbe meravigliato, forse erano lì anche per parlare del suo caso. Era normale, in quella banda mafiosa, discutere sulle cose solo quando erano giunte al termine per non dare troppo nell'occhio.
Il rosso prevedeva una mossa del genere. Capì subito, infatti, che quella pallottola non era accidentalmente finita dentro di lui, ma era stato fatto di proposito come per pulirlo e ucciderlo seduta stante.
Rosaline era quella più elettrizzata, non stava più nella pelle. No perché amava quelle cose, ma perché voleva vendicarsi di quello che era stato fatto al fidanzato. Sapeva che la vendetta non era un sentimento da provare; soprattutto in quei casi dove la mafia aveva un territori vasto e libero. Perché la vendetta era per loro. Per i codardi.

"Hey, calmati per favore ho fatto solo qualche minuto di ritardo..." Rispose un'altra voce. Questa però era alterata come se la persona si sforzasse a parlare con tono più grave per non far capire la sua vera identità.

"Senti mocciosetto parlagliamoci chiaro: voglio solo sapere cosa è successo di tanto grave per farmi arrivare fin quì." Rispose lui rude.

"Capo" disse D. "non faccia il finto tonto che con me non funziona minimamente. Volevo solo dirle che quei tre non sospettano chi sia, chi siamo volevo dire" su corresse velocemente "quindi pensavo che potremmo andare avanti col piano..."
Da dietro la macchina Serena vide un ragazzo con un passamontagna e vestito tutto di nero. Invece quello che si faceva chiamare 'capo' era vestito elegantemente. Anch'esso con il passamontagna era posato su una macchina dai vetri oscurati.

"Fai come vuoi D., basta che non ti fai prendere perché non ti tirerò fuori dalla gatta buia. Stanne certo" rispose quello elegante. Fece per andarsene poi però si girò e parlò. "Ah ragazzo, puoi prenderti la tua vendetta ma portameli vivi tutti e tre. Voglio vedere come li ucciderai...spero in una morte lenta e agoniosa." disse mentre un sorriso inquietante cresceva sul volto coperto dal passamontagna.

Anche D. sorrise.

"Sarà fatto capo... quanto tempo mi manca?" Chiese.

L'uomo si avvicinò all'orecchio di D. e sussurrò qualcosa per poi entrare in macchina e andarsene.
Dopo qualche minuto anche D. se ne andò e solo allora Serena si permise di respirare. Il colloquio era stato abbastanza corto ma anche abbastanza inquietante soprattutto nell'ultima parte.

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