Capitolo 37 "Ultimo Capitolo"

168 22 2
                                    

Helya schiaccia l'ultimo pulsante in basso presente nell'ascensore. È diretto circa venti piani sotto terra, praticamente nei sotterranei. È un luogo persino più in basso dei rifugi di emergenza.
Quando le porte si aprono, le mie narici vengono riempite dalla puzza di chiuso e muffa. Si respira un'aria viziata, talmente sgradevole da pizzicarmi il naso. In più, la sensazione dovuta alla consapevolezza di trovarsi così in profondità, genera un acuto senso di claustrofobia.
Helya comincia a farsi strada: davanti a noi, un lungo corridoio stretto e buio, sporco e fatiscente. Vi sono spessi strati di polvere sulle pareti, sul pavimento, praticamente ovunque. Delle inquietanti crepe sul soffitto, accompagnate da ragnatele, fanno di questo luogo uno dei più raccapriccianti che abbia mai visto fino ad ora. Ma tuttavia, non è un ambiente a me nuovo; ho come la sensazione di esservi già passato una volta.
"Ti ricorda niente questo postaccio, Deanuccio?" Sogghigna Helya, davanti a me.
Ma certo, ora ricordo...È il posto in cui rimasi chiuso per quelle terribili tre settimane. Prima del mio viaggio, prima di innamorarmi di Helya, quando nemmeno potevo immaginare cosa mi sarebbe successo.
Questo è il corridoio che percorsi quando mi reggevo a malapena in piedi, allo stremo delle forze, aggrappato al braccio saldo di Helya, quasi in procinto di perdere i sensi. Ricordo ancora il dolore della ferita aperta, e la sensazione sgradevole del sangue che non si ferma. Ricordo ancora quanto odio e disprezzo provavo verso Helya, quando credevo che fosse solamente un folle, sadico criminale. Ricordo ancora il senso di confusione totale che mi opprimeva, offuscando i miei pensieri.
Ritornare qui adesso, pensare a come tutto ebbe inizio, rivivere quelle emozioni dopo tutto questo tempo, mette i brividi, e fa pensare tanto.
Helya si arresta di colpo, davanti a una cella. Intravedo una sedia, dietro le sbarre, e qualcuno incatenatovi sopra. Il suo intero corpo è ricoperto di catene a volontà: ha sia le mani che i piedi legati, tiene la testa abbassata, e non mi è possibile riconoscere il suo volto, anche a causa dell'illuminazione molto debole. Difatti, soltanto un faretto a neon reca luce alla piccola stanza.
L'individuo, avvertendo la nostra presenza, solleva la testa.
Rabbrividisco;
ci metto un po' nel riconoscerla, poiché è completamente diversa dall'ultima volta in cui l'ho vista: i suoi lunghi capelli biondi sono stati tagliati, e adesso sono rappresentati da un cortissimo taglio maschile. Il suo viso, un tempo fresco e privo di imperfezioni, adesso è rinsecchito, come una prugna marcia. È dimagrita moltissimo, e i suoi zigomi spiccano fin troppo. Gli occhi gonfi, vuoti, stanchi, un tempo così penetranti e seducenti. E le labbra, che la rendevano così sensuale, sono ormai ridotte a due lembi di pelle secca e screpolata.
Christina Way è tenuta a marcire in questa prigione da chissà quanto tempo;
Helya ha uno sguardo impassibile e freddo, di ghiaccio. La guarda con occhi inespressivi, squadrandola severo dall'alto.
"Ti stavo aspettando, Helya. Mi domandavo perché ci mettessi così tanto, ma sapevo che alla fine saresti venuto. Avanti, adesso vendicati pure. Hai vinto tu." Sibila, debole.
Helya, però, non muove un muscolo. Rimane perfettamente immobile, a fissarla. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, però, non vi è odio nel suo sguardo; solo pura freddezza, e qualche squarcio di pena. Mi chiedo cosa abbia in mente di fare.
"Quindi? Non vieni a prenderti la tua vendetta? Cosa stai aspettando, allora? Che cosa sei venuto a fare?" Riprende lei.
"Non sono venuto per quello che pensi tu." La sua voce contiene la stessa quantità di freddezza del suo sguardo.
Christina non sembra aspettarsi una risposta simile: solleva un sopracciglio, confusa.
In quel preciso istante, il formicolìo comincia ad estendersi lungo la mia gamba, facendomi perdere l'equilibrio. Devo per forza aggrapparmi alle sbarre della cella, per non cadere. Ed ecco che anche la seconda gamba è andata. Fatico tremendamente a reggermi in piedi, è come se il mio corpo non mi rispondesse più, non sento più il suo peso sulle gambe. Con uno spasmo, mi abbarbico completamente alle sbarre, cercando di rimanere in piedi.
"Helya, non c'è più tempo." Mormoro.
Lui deglutisce, quasi sudando freddo.
"Ma che diavolo sta succedendo ai vostri corpi?" Christina sembra ancora più confusa di prima.
"Christina... volevo solo farti sapere che... ti ho perdonata."
A quella frase, anche lui sembra perdere l'equilibrio, poiché si appoggia istintivamente alle sbarre.
"Che cosa...?" Un'aria sconvolta e incredula si dipinge sul suo viso, mentre Helya, con una smorfia, cerca di rimettersi in piedi.
"Alla fine, ho incontrato Dean grazie a te. Probabilmente, se non fosse stato per te, io e Michael non ci saremmo lasciati. Se non fosse stato per te, quel giorno non sarei salito su quel treno, e non avrei incontrato Dean. Se non fosse stato per te, non avrei conosciuto l'amore vero. Perciò, in qualche modo ti sono debitore. Devo ringraziarti, Christina. Ho bisogno di togliermi questo fardello dalle spalle, per poter essere davvero sereno. Per poter raggiungere l'Aldilà."
"Ma di che cosa stai parlando...? Non vuoi... uccidermi?"
All'improvviso, quando ormai tutto il mio corpo è indolenzito e privo di sensibilità, un dolore, che ritenere lancinante è riduttivo, mi assale. Parte dall'addome, esattamente da dove è presente la ferita, espandendosi poi ovunque. È il dolore più acuto, intenso e lancinante che abbia mai provato. Impossibile da sopportare. Urla strazianti escono dalla mia bocca senza che io possa trattenerle, mentre tutto il mio corpo si contrae per il dolore.
"HELYA, HELYA TI PREGO, AIUTAMI!"
Urlo con tutte le mie forze, imprecando come mai in vita mia ho fatto. Cerco disperatamente la sua mano, e la trovo. Con mia grande sorpresa, mi accorgo che la sento, stranamente: senza nemmeno chiedermi il motivo, ne approfitto per stringerla fortissimo, e lo sento fare altrettanto. Passa un braccio attorno alle mie spalle; il suo abbraccio mi fa sentire più al sicuro, mentre il dolore non ha intenzione di cessare.
"Presto sarà tutto finito, Dean, resisti." Mi sussurra, stringendomi più forte.
"Spiegatemi cosa diamine sta succedendo!" Eslcama Christina, dimenandosi tra le catene.
Helya si tampona il cuore, cominciando ad ansimare, e a contrarre i suoi muscoli per il dolore.
"Non lasciare la mia mano, qualsiasi cosa succeda!" Mi ordina.
"Manca pochissimo... veramente pochissimo..." Non so come riesca a trovare la forza di continuare a parlare. Il dolore si fa sempre più intenso ogni secondo che passa.
"Christina, ho un ultimo compito da affidarti." Dice, tra una smorfia di dolore e l'altra, ansimando. Tira fuori dalla tasca interna alla giacca il diario di Buffy, e glielo porge da dietro le sbarre. Lei esita, non lo afferra subito.
"Sono le Reclute Speciali che ti riforniscono di cellule, non è vero?" Le chiede.
"Sì, passano ogni settimana."
"Bene. Devi consegnargli questo diario..." Helya non riesce a finire la frase, perché essa viene smorzata da un verso di dolore. Stringe gli occhi, e si morde un labbro, trattenendosi.
"Perché mai dovrei farlo?"
"Ascoltami... Alla fine di quelle pagine, c'è un messaggio, da parte mia. Devono leggerlo. Devono sapere che non li ho abbandonati... E inoltre, ho anche scritto che li autorizzo personalmente a liberarti. Se lo leggono, ti lasceranno andare." E giù un altro verso. Intravedo delle gocce di sudore scendergli dalla fronte, mentre stringe i pugni nel tentativo di resistere al dolore.
Christina gli strappa velocemente di mano il diario, subito convinta da quella condizione.
"Bene. Ti ringrazio, Christina..."

Le labbra di Helya continuano a muoversi per dire qualcosa, ma non riesco a udire cosa. Comincio a non sentire più niente, nessuna sensazione. Il dolore svanisce come di botto, e insieme ad esso qualsiasi altra cosa. Sento la mia mente svuotarsi, il mio animo alleggerirsi. Una sensazione di vera pace, calma, come una sorta di estasi che mi porta a sollevarmi per aria, a lievitare. Anche la mia vista si offusca, vengo completamente investito da quella calma interiore improvvisa, che mi rilassa.
Non penso più a nulla, mi abbandono a quell'ebrezza di serenità estrema, chiudendo gli occhi.
Quando li riapro, mi rendo conto che tutto intorno a me è scomparso. Tutto ciò che mi circonda è solo bianco.

Non c'è nessuno, oltre me?
Sono solo, qui?
Dove mi trovo?

Mi guardo intorno, continuando a volteggiare per aria. Sono immerso nel nulla più assoluto; persino la gravità manca.
Comincio a sentire una sensazione sgradevole, all'altezza dello stomaco.
Credo sia... solitudine?

Sono solo?
Nel nulla?
Destinato a stare qui per l'eternità?

Il solo pensiero mi manda in panico:
Che cosa faccio, adesso?

Ma all'improvviso, sento qualcosa; un calore.
Delle braccia forti mi stringono da dietro, tranquillizzandomi, come farebbe un calmante. Qualcuno mi sta abbracciando dolcemente, sciogliendo piano piano quel senso di orribile solitudine. Il suo mento si posa sulle mie spalle, il suo fiato solletica dolcemente il mio collo, sul quale sento poco dopo la pressione delle sue labbra. Il calore che emana il suo corpo si trasferisce direttamente dentro il mio petto, alimentando il battito del mio cuore.
Mi volto, e incontro le sue labbra; presenti, vive, così piene d'amore.
Sussurrano:

"Sono qui, per sempre."

UndeadWhere stories live. Discover now