Capitolo 1 "Vittima"

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"Buongiorno. Sono le 6.00 del mattino di Lunedì 19 Novembre. La temperatura si aggira intorno ai 5º C, il tempo è molto nuvoloso. Intorno alle ore 10.00 è previsto un acquazzone, che colpirà principalmente tutta la zona di..."
Allungando la mano, cerco, tastando, la piccola radiosveglia che tutte le mattine rompe il silenzio con frasi del genere. Ammaccando il pulsantino apposito, la spengo. Mi metto a sedere e mi guardo intorno, stiracchiandomi e spostandomi i capelli lisci e castani da davanti la faccia.
"Buon risveglio, Mr. Wert. Ha passato una notte serena?" Chiede improvvisamente una voce metallica alla mia spalle: è il mio computer, che registra perfettamente ogni segnale che il mio cervello manda. Mi volto, e noto che il display si è illuminato, e continuerà a lampeggiare in attesa di una risposta.
"Ho dormito molto bene, grazie. Manda segnale a elettrodomestici: omelette." Ordino poi, scandendo bene le parole. Il computer emette un suono per dire "ricevuto".
Trascinando i piedi, raggiungo il bagno, dove mi guardo nello specchio: pochi secondi dopo, anche quello si accende, scansionandomi il volto.
"Sempre impeccabile, Mr. Wert. Anche oggi, nemmeno un'occhiaia, nemmeno una ruga." Afferma la voce robotica proveniente dallo specchio.
Dopo una doccia veloce (sì, anche lei fa commenti molto spesso, e molte volte sono davvero imbarazzanti), torno in cucina dove la omelette è cotta a puntino.
Anche oggi mi aspetta una lunga, estenuante giornata lavorativa. Corre l'anno 2195. Il mio nome è Dean Wert, e sono un avvocato ricercato. Di questi tempi il tasso di criminalità è alle stelle, e mi ritrovo ogni giorno a trattare casi diversi. Molto spesso, i miei clienti mi confessano di essere colpevoli. Così mi ritrovo tante volte ad essere il difensore di criminali, per soldi. È un fattore che detesto: io odio i criminali. Per me andrebbero tutti estirpati e condannati a morte. È un paradosso che uno come me faccia di tutto per evitare che uno di questi venga incarcerato, o che gli venga scontata una pena. Io odio il mio lavoro;
Sono stato costretto a sceglierlo per non deludere mio padre, avvocato anche lui, come suo padre, e come il padre di suo padre prima di lui.
Lavoro fuori città, e come ogni mattina, mi spetta prendere il treno. I treni... senza dubbio i luoghi più pericolosi e pieni di criminali. Ne vengono beccati di continuo, due o tre volte ogni due settimane. Mi capita spessissimo di assistere. Ladri, borseggiatori, a volte anche pazzi assassini. La scorsa settimana soni stati registrati 4 scippi nel giro di 7 giorni. Solo uno di questi è andato a buon fine.
Ho come il presentimento che quest'oggi avrò a che fare con qualcosa di brutto. C'è qualcosa che mi dice di non prendere il treno. Ma non posso di certo dar retta a un presentimento.
Salgo a bordo del treno, come tutte le mattine.
Per circa metà del viaggio, tutto procede tranquillamente, e sto per tranquillizzarmi. Ma poi, a circa mezz'ora dall'arrivo, una donna urla dal fondo del vagone. Sussultando, non ci penso due volte e corro nella direzione dell'urlo. Penso che si tratti del solito borseggiatore: e invece no. Un giovane uomo, di circa 27 anni, più o meno mio coetaneo, tiene in ostaggio una ragazza puntandole una pistola alla tempia. Tutto il treno va nel panico e cerca di allontanarsi il più possibile. Solo io rimango là, occhi contro occhi con il pazzoide di turno. Non ha nemmeno un passamontagna.
"Lasciala adesso, figlio di puttana." Dico con voce ferma e calma. Lui mi guarda con aria assorta, non so per quale motivo.
"Ti ho detto di lasciarla." Ripeto.
Il ragazzo allenta la presa sulla ragazza, che scappa subito via dalle sue braccia, attaccandosi a me, tremando e pregandomi di andare via.
"Non far storie e consegnami la pistola, ora." Dico allungando il braccio. Lui la fissa per qualche secondo, sbattendo gli occhi, poi fa per porgermela.
Ma proprio mentre non me lo aspetto, il ragazzo spara, colpendomi dritto allo stomaco. Poi getta la pistola per terra, e scappa via. L'intero treno urla dal terrore, e in esso regna il panico. La vista comincia ad annebbiarsi, e le mie gambe a cedere. Mi accascio sul pavimento ormai tinto di rosso. Non credo di aver mai provato nulla di così doloroso in tutta quanta la mia vita. Non capisco improvvisamente più niente, e non me ne rendo nemmeno conto, quando perdo completamente i sensi.

Quando riapro gli occhi, mi fa male tutto. Nella testa rimbomba un costante "bip bip", e l'aria intorno è impregnata da un odore fastidioso. Come un misto tra alcool, zuppa e disinfettante: il tipico odore degli ospedali.
Non riesco a muovermi, e se ci provo, fitte lancinanti mi attanagliano. Gli unici muscoli che sono in grado di muovere sono quelli delle palpebre.
"Che cosa è successo? Perché mi trovo qui?" Comincio a pensare. Mi rendo conto che non si trattava di un incubo: un uomo mi ha sparato.
Immediatamente, un'infermiera ed un medico si precipitano nella saletta in cui sono sdraiato. "Ha ripreso conoscenza!" Esclama l'infermiera. Lentamente, fa capolino dalla porta anche una ragazza bionda, che si avvicina con cautela: non ho dubbi, ho già visto il suo volto.
La ragazza si siede timidamente al fianco del mio letto.
"Mi dispiace per ciò che è successo. Volevo ringraziarla per tutto."
Faccio per dire qualcosa, ma lei mi zitttisce.
"Non deve sforzarsi. Stia a riposo."
Ma certo, ora ricordo: è la ragazza che stava per essere aggredita dal giovane uomo che mi ha sparato.
"Wert... Dean Wert..." Dico allungando la mia mano verso di lei e parlando con enorme sforzo e fatica. La ragazza mi stringe la mano.
"Agente di polizia Christina Way."
Polizia?
Christina fa per andarsene, ma poi si ferma sulla soglia per un istante.
"Lo prenderemo, Signor Wert. Quel ragazzo che le ha fatto questo... È una promessa."
A quella frase esce dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
Improvvisamente ho una fitta dolorosissima che comprende tutta l'area dell'addome, è così dolorosa che mi costringe a tamponarla con le mani; ma con stupore mi accorgo che le mie mani non toccano bende o cose del genere, ma la mia carne fredda. Svelto le ritraggo, e quando le guardo mi rendo conto che sono impregnate di sangue che si coagula immediatamente.
Lancio un urlo, chiamando aiuto.
"Ehi, ehi ehi!" Dice il medico che era sempre stato lì, finalmente degnandomi di un'attenzione.
"Stai calmo, ragazzo!"
"Che cazzo sta succedendo, che cosa era quella cosa?! Perché sto ancora sanguinando?!"
"Ti conviene farci l'abitudine." Risponde con noncuranza.
"EH?!"
"Puoi anche alzarti da quel letto, ora"
"NON CAPISCO, SONO APPENA STATO OPERATO, NO?"
Il medico toglie gli occhiali e mi fissa con aria divertita, per poi scoppiare in una risata.
"AHAHAH, operato! Bella questa!"
Non capisco cosa stia farneticando. Sono sempre più confuso, ciò che è accaduto nelle ultime 48 ore è qualcosa di davvero assurdo; e adesso mi ritrovo su un letto di ospedale con la pelle ancora aperta e sanguinante, e un dottore che tutto sembra tranne che un dottore.
Dopo la fragorosa risata, l'uomo si avvicina lentamente, guardandomi dritto dritto negli occhi:
"Tu sei già morto, ragazzo. Anzi, mi correggo: sei un Non-morto! Tutti noi qua lo siamo. Benvenuto nel mondo dei Non-morti!"

UndeadWhere stories live. Discover now