Capitolo 32 "Cimitero"

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Jamie ha ripreso a camminare, rimettendo le mani in tasca, senza dar peso alle parole da lui appena dette. Ma io non ho intenzione di dargliela vinta:
"James!" Lo richiamo, serio. Sa benissimo che quando pronuncio il suo nome per intero non c'è da scherzare, difatti si gira verso di me con un'espressione preoccupata, quasi spaventata.
"Ho detto qualcosa di sbagliato?"
Mi nasconde qualcosa, ormai ne sono più che certo. Sta facendo il finto tonto, e devo ammettere che è davvero credibile. Ma ha troppi punti che mi lasciano perplesso, troppe cose non mi tornano, non c'è assolutamente da fidarsi.
"Mi stai prendendo in giro. Dato che non vuoi che io menta, allora non farlo nemmeno tu." Il mio tono è più serio che mai.
Jamie si arresta di colpo, massaggiandosi il mento, confuso:
"Scusa, cos'avrei detto di poco convincente?" Solleva un sopracciglio con la sua solita aria innocente.
'Tu non me la racconti giusta. Come fai a sapere di Helya?" Dico portandomi entrambe le mani sui fianchi.
Jamie scoppia in una risata impertinente.
"Dai, non dirmi che è per quello." Non smette di ridacchiare. Tutto ciò non fa che darmi ancora di più sui nervi:
"Nemmeno lo conosci, come fai a sapere qualcosa su di lui?"
"Cavoli, fratellone, quanto diamine sei cotto? Sembri non volerlo toccato. " Continua a testare le mie reazioni con la sua impertinenza.
"Rispondi alla mia domanda!" Sbotto, innervosito. Jamie sospira, spostandosi un ciuffo ribelle dalla faccia, e incrociando le braccia:
"So più di quanto tu possa immaginare su Helya Flame. O Cops, come lo si voglia chiamare. Ricordati che ero uno dei Cacciatori, e l'unico loro obiettivo negli ultimi tempi era catturarlo e ucciderlo, e più informazioni si riuscivano a raccogliere su di lui meglio era. Se non fosse stato per me, ricorda che sareste ancora chiusi dentro quella infernale stanza delle torture, magari già morti da un pezzo. Continui ancora a sospettare di me, dunque?"
Senza aspettare risposta, riprende a camminare, lasciandomi in asso come uno stupido. Avergli fatto capire che per un istante non mi sono fidato di lui, mi fa sentire in colpa come non mai. Come ho potuto dubitare di lui? È mio fratello!
Seppure stia camminando molto più avanti di me, riesco ancora ad intravederlo, e continuo a seguirlo. Forse si è offeso per quello che gli ho detto, magari non ha voglia di parlarmi ed è arrabbiato, perciò decido di rimanere comunque indietro, anche se avrei una miriade di domande da porgli.
Camminiamo senza sosta per ore e ore, al punto che il peso della fatica comincia a gravare sulle mie gambe, e il fiato inizia a farsi più corto. Fino a quando, giunti alla fine di un cunicolo buio, deserto e stretto, quasi da brivido, Jamie non si ferma di colpo davanti a un vecchio cancelletto marrone, ricoperto da ruggine e rampicanti ormai centenarie. Resta fermo, non si muove, non si volta nemmeno per vedere se lo sto raggiungendo. Se ne sta lì impalato, di spalle, sempre con le mani in tasca. Sembra mi stia aspettando;
Non appena lo raggiungo, allunga una mano verso il cancelletto, che si rivela sorprendentemente aperto: con un unico gesto, lo apre spingendolo verso l'esterno, e mi invita ad entrare per primo.
"Siamo arrivati." Afferma, in tono sommesso. Rendendosi conto che sto esitando, non perde tempo ed entra prima lui:
"Se hai intenzione di fare ancora il diffidente dimmelo prima, così torniamo indietro." Mi avverte. Deglutendo, mi faccio coraggio e sorpasso la soglia del cancello.
A primo impatto, mi sembra un ambiente dall'aspetto piacevole e rilassante: somiglia a un enorme giardino curato, con tanti alberi e tanto verde. Ma un istante dopo, rabbrividisco, rendendomi conto di essermi sbagliato. Qua e là, in ordine sparso, vi sono delle lapidi di marmo, con vere e proprie sculture annesse: rappresentazioni di angeli, giovani donne, coppie di innamorati. Ai piedi di ognuno di essi vi sono incisi diversi nomi. Questo giardino è pieno zeppo di tombe, un vero e proprio cimitero.
Con i brividi che attraversano il mio intero corpo, Jamie riprende a parlare:
"Viene qui tutti i giorni, da allora. Stessa ora, stesso luogo."
Mi guardo intorno, ancora spaesato.
"Perché mi hai portato in un cimitero?" Chiedo.
"Questo non è un semplice cimitero: questo è il cimitero dei Wert, e dei loro parenti acquisiti." Afferma cupo.
Percepisco un tuffo al cuore, quando mi accorgo che ha ragione; su ogni lapide, il cognome più ripetuto è quello:
"Qui giace William Wert."
"Riposa qui in memoria dei suoi cari Anastasia Wert."
"Riposano in pace la coppia di sposi Anne e John Wert."
"Wert."
"Wert."
"Wert."
"Wert." Ovunque,
"Wert."
Perché non ero a conoscenza dell'esistenza di questo posto? Jamie sembra conoscerlo così bene, eppure io...non ne sapevo niente. Perché? Per quale motivo mi è stato sempre tenuto nascosto?
"È qui che sei stato seppellito, Dean."
Mi volto di scatto verso la direzione di Jamie, pronto a chiedergli spiegazioni, ma è scomparso. Non lo vedo più da nessuna parte, è come evaporato. Che sta succedendo? Mi ritrovo in una situazione a dir poco inquietante, e adesso Jamie scompare pure nel nulla da un momento all'altro.
Come sarebbe a dire che sono seppellito qui? Quale corpo avrebbero sepolto? Io sono vivo! Beh, più o meno... Ma il corpo l'ho ancora.
"Jamie?" Comincio a chiamare il suo nome a gran voce, girando senza meta per quel luogo così raccapricciante.
"Jamie? Jaaaamie?! Jamie!" Continuo a cercarlo, invano.
"Jamie, dove sei?!"
Improvvisamente, sento il rumore di qualcosa andare in frantumi alle mie spalle. Mi giro per vedere di chi si tratti, ma lo scenario che mi ritrovo davanti è a dir poco inaspettato:
Cocci di un vaso di ceramica sparsi per terra insieme a un mazzo di svariati fiori. Un uomo abbastanza in avanti con l'età, i capelli ormai tutti grigi così come la barba, che nonostante ciò non gli fanno perdere tutta l'autorità e la severità che ho sempre associato alla sua figura, mi fissa così, incredulo, come se avesse appena visto un asino volare, un fantasma: la bocca spalancata così come gli occhi, le mani che tremano...
È mio padre che, pallido come un lenzuolo, sembra stia per avere un mancamento dallo shock.
"No, non è possibile, no... Dean?" Scuote la testa, senza smettere di tremare. Dietro di lui, intravedo la figura di Jamie, con le braccia incrociate: così piccola rispetto a quella di papà, accompagnata da un'espressione furbastra e un sorrisetto soddisfatto dipinto sul volto.
"Dean...non posso crederci, sei davvero tu?" La sua voce è un fievole tremolìo pronto a essere spezzato dalle lacrime, che già cominciano ad arrossargli gli occhi.
Credo di essere scioccato tanto quanto lui: non mi aspettavo di trovarlo così invecchiato, deperito, trasandato. Mio padre non ha mai avuto questo aspetto.
Annuisco debolmente, incapace di pronunciare una sola parola. Non me lo sarei mai aspettato, ma anche dentro di me si sblocca qualcosa di forte. Sento un'emozione davvero travolgente montarmi dentro, non so ben definirla: forse assomiglia alla gioia, o forse alla nostalgia.
"Che ti avevo detto, papà? Non sono pazzo." Aggiunge Jamie compiaciuto.
Mio padre fa qualcosa che mai aveva fatto verso di me, in vita sua, e che mi lascia sorpreso oltre ogni limite: spalanca del tutto le sue braccia, invitandomi ad abbracciarlo.
Non ci credo.
Non posso crederci.
Vorrei rinfacciargli tutta quanta la mia rabbia, recimolata e repressa in questi lunghi anni in cui ho sempre bramato un piccolo gesto del genere, e mai l'ho ottenuto. Vorrei rinfacciargli i miei sentimenti, e come mi sentivo ogni volta che prendeva Jamie sulle spalle facendolo volteggiare per aria, ridendo, quando con me non lo aveva mai fatto. Vorrei rifiutare quell'invito, con orgoglio e freddezza pura, facendogli capire come si ci sente, cosa si prova...
Ma non ci riesco. Sarebbe stupido, da veri idioti, anche se l'orgoglio mi urla di farlo. È ciò che ho sempre desiderato da lui, alla fine, e rifiutarlo sarebbe perdere l'occasione che ho sempre cercato. Perciò smetto di pensarci, ascoltando il mio cuore, e mi tuffo all'interno di quelle braccia salde e forti, che un tempo mi sembravano così invincibili da non potere essere spezzate da niente. Quell'emozione mi scuote dentro ancora più forte di prima, e sento le lacrime salirmi agli occhi. Non posso piangere, non adesso, non davanti a lui.
Papà continua a riempire la mia schiena di pacche affettuose, mi stringe fortissimo, da vero uomo.
È vero, non stavo mentendo, io non odio mio padre. Ero solo molto, molto arrabbiato.
"Allora era vero... James ha sempre avuto ragione. Tu eri qui, figlio mio. E io che non ci credevo!" La commozione è palese, nel tono della sua voce.
"Che cosa ti è successo? Dove sei stato tutto questo tempo? Devi raccontarmi ogni cosa!" Continua. Dopo quell'enorme shock, finalmente parlo:
"Lo farò, promesso, ti racconterò tutto. Ma prima ho bisogno che tu mi chiarisca le idee: perché non mi hai mai parlato di questo posto? È per la mamma, non è vero? È sepolta qui, ecco perché non ti ho mai visto andare a farle visita."
Jamie tossisce leggermente, di proposito, per attirare l'attenzione di mio padre, e una volta ottenuta, gli rivolge uno sguardo eloquente, come per comunicargli qualcosa, piegando lievemente il capo.
Mio padre si morde leggermente il labbro inferiore:
"Dean... c'è una cosa che devo dirti. Una cosa di cui avrei dovuto parlarti tanto, tanto tempo fa."

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