Dad

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La mattina seguente mi svegliai alle sei e mezza, Levy dormiva ancora con le lacrime agli occhi: avrei ucciso Gajeel prima o poi, sempre se sarei ritornata. Quel giorno non avrei indossato la divisa. Uscii dall'istituto indossando un paio di lenti scure per nascondere le mie occhiaie ben evidenti e notai seduta stante l'automobile parcheggiata dinnanzi all'edificio. Vi entrai senza guardarmi indietro.

-Signorina Lucy! Come sono contento di rivederla!-Disse il mio autista girandosi verso di me e sorridendomi.

Era rimasto sempre lo stesso, non era cambiato proprio per niente. I suoi baffetti grigi ben curati e mai fuori posto, gli occhi azzurri ed espressivi , il cappello con la visiera nera che gli copriva la testa e non lo abbandonava mai.

-E' bello anche per me rivederti, Robert.-Risposi sorridendogli.

Trascorsi la maggior parte del viaggio con la testa appoggiata al finestrino tentando di recuperare le ore di sonno perso ma invano. Mi sembrava di essere in uno di quei film tristi e deprimenti dove la protagonista partiva lasciandosi tutto alle spalle. Diciamo che questo era proprio il mio caso, mancava solo la musica in sottofondo. Dopo un'ora di viaggio Robert scese dall'auto ed aprì la mia portiera. Casa mia era rimasta sempre uguale, un'imponente magione interamente dipinta di bianco si estendeva in un immenso giardino costellato da alberi. Sollevai gli occhiali mettendoli a mo' di cerchietto nonostante il sole che batteva ancora forte. Oltrepassai il cancello in ferro già aperto e mi incamminai lungo il vialetto con Robert alle spalle. L'immenso portone in legno massiccio fu aperto da una dolce cameriera che non avevo mai visto. I suoi capelli castano scuro erano ordinati in uno chignon ben fatto , indossava un vestito nero coperto da un grembiule bianco e mi sorrideva dolcemente. Sembrava piuttosto giovane per fare un mestiere come questo.

-Lei deve essere la signorina Lucy, prego si accomodi.

Entrai in casa, l'arredamento dell'ingresso era sempre lo stesso, dal soffitto scendeva un lampadario di cristallo, le scale in marmo, come il pavimento, erano ricoperte da un tessuto di colore rosso, ed in cima si trovava mio padre: Jude Heartphilia, uno degli uomini d'affari più importanti della Nazione. I suoi occhi azzurro ghiaccio non trasmettevano alcuna emozione, nemmeno dopo mio ritorno, i suoi capelli e i suoi baffi erano dello stesso colore dei miei capelli, forse solo un po' più scuri. Era vestito in maniera impeccabile, come ci si poteva aspettare da un uomo come lui. La tensione creatisi si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Io me ne stavo davanti all'entrata con la testa chinata in attesa che dicesse qualcosa, qualunque cosa.

-Vieni nel mio ufficio.

Mi diede le spalle e si incamminò nella stanza dove mi convocava ogni qualvolta che mi doveva dire qualcosa di importante. Salii le scale con le gambe che mi tremavano. Questa volta non glielo avrei permesso, non poteva farlo ancora, non adesso. La mia infanzia non era stata infelice, perché la mamma era ancora viva. Layla Heartphilia era una donna gentile e piena di allegria e mi somigliava tanto, o almeno così dicono tutti. Eravamo una famiglia felice a quei tempi. Io non avevo molti contatti con il mondo esterno, avevo un insegnante privato ed ho studiato in casa ben otto anni, il tempo di fare le scuole elementari e medie. I miei ci tenevano molto per la mia istruzione, così leggevo tanto, avevo imparato a suonare il pianoforte e parlavo correttamente quattro lingue. Dopo la morte della mamma mio padre cadde in depressione e decise di mandarmi in collegio. Io non volevo, non volevo che la mia famiglia si sfasciasse ma non avevo scelta, non potevo più fare niente. Mi ricordo ancora quel tremendo giorno in cui dovetti lasciare questa abitazione, le lacrime agli occhi, Robert che cercava di trascinarmi verso l'auto, chiamavo il nome di mio padre ma lui non c'era, non mi aveva nemmeno salutata. A quell'epoca non riuscivo a comprendere perché mi odiasse tanto, ora sono arrivata alla conclusione che sia perché era più importante il suo lavoro e che non aveva più tempo da dedicarmi, così mi allontanò. Da quel giorno decisi di chiudermi in me stessa, mangiavo poco e non studiavo più. I miei voti cominciarono a calare e mio padre ogni anno mi revocava nel suo studio e decideva che era giunta l'ora di cambiare scuola. A diciassette anni avevo già cambiato quattro collegi. Di solito non era un gran problema ma questa volta avrei opposto resistenza. Il Collegio Cross era stato l'unico luogo in cui avevo avuto un'amica ( da cui sarei dovuta tornare al più presto), un amico/angelo custode ed un segreto. Riuscivo a definirlo solo così, non c'era alcun altro modo per chiamarlo.Proprio per questo ci tenevo tanto a superare quel test di matematica, ma oramai era sicuramente troppo tardi. Entrai nello studio di mio padre, lui era già seduto dietro alla sua scrivania piena di scartoffie. Dietro di lui c'era una vetrata, mi ricordo che lui e la mamma mi osservavano da lì mentre ero in giardino, ma quelli erano tempi passati. Le altre pareti erano ricoperte da librerie e varie mensole. Rimanevo immobile senza proferire parola davanti alla scrivania mentre lui mi fissava impassibile.

-Purtroppo la nostra società ha dovuto attraversare una grave crisi e sono stato costretto ad indebitarmi. Sono sommerso dai debiti e non riesco a sfuggire ai creditori ...

Ah. Mi sarei aspettata di tutto ma non questo. Guardai i suoi occhi di ghiaccio e per la prima volta non mi sembravano così inespressivi. Dietro quella maschera costruita con tanta fatica si nascondeva un uomo che aveva lavorato partendo da zero e che era riuscito in tutti i suoi obiettivi. Era una persona stimabile e molto fiera del suo lavoro. Il solo pensiero che tutto ciò che aveva costruito poteva sgretolarsi lo mangiava dall'interno ed era abbastanza palese. Ora i suoi occhi celavano disperazione, paura di non riuscire a farcela. Ma io che cosa c'entravo in tutto questo?

-Lucy, forse ti sto chiedendo troppo, ma devi aiutarmi.

Percepii una leggera nota di speranza nella sua voce che mi fece sorridere lievemente.

-Ed io che cosa posso fare?

-Il solo modo per salvare la compagnia è quello di riuscire ad unirci con un'altra, precisamente quella di Aidoh Hanabusa. E' il figlio di un ricco milionario deceduto pochi anni fa e che ha ereditato le sue proprietà, dovrebbe avere più o meno la tua età ...

No, non poteva chiedermi questo. Avrebbe venduto sua figlia pur di salvare la sua azienda? Sentivo le gambe che stavano per cedere e le lacrime annebbiarmi gli occhi. Aprii la bocca per rispondere ma la richiusi subito dopo: non sapevo proprio cosa dire.

-Vedi, se tu riuscissi a fidanzarti con lui probabilmente riusciremo a sistemarci ed in tal caso non ci sarebbe nemmeno il bisogno di fondere le società e lui mi aiuterebbe a pagare i miei debiti.

Quelle erano le parole che non mi sarei mai aspettata di sentirgli dire. Tutto ma non quello. Io non sarei stata mai capace di commettere qualcosa del genere, di illudere una persona solo per i suoi soldi. Inoltre non volevo e non potevo. Non sapevo ancora il perché ma non lo avrei mai fatto.

-No, io non ho intenzione di aiutarti.

-Lucy, ragiona, noi ne abbiamo bisogno-disse prendendosi la testa fra le mani.

-Tu ne hai bisogno, non io. Tu hai sempre pensato al tuo bene, non al mio. Ancora adesso pensi solo al tuo lavoro e saresti disposto a vendere tua figlia per questo. Mi hai allontanata, mentre negli altri collegi i genitori facevano visita ai loro figli tu non venivi mai. Ti rendi conto di quello che ho passato? Ancora oggi non fai altro che essere egoista e tremendamente cinico.

Le lacrime scendevano lentamente bagnandomi il viso, non avevo mai parlato in questo modo a mio padre, ma non ne potevo proprio più. Mi sentivo più libera, gli avevo detto tutto quello che pensavo. Leggevo lo sgomento e il dispiacere nella sua espressione, ma non mi importava più. Uscii da quella stanza fin troppo piccola e dove mi sentivo soffocare. Scesi le scale di corsa spintonando qualche domestico e mi avviai verso l'unico posto in cui mi sentivo veramente al sicuro. Uscii dalla villa, attraversai tutto il giardino ed arrivai davanti alle stalle. Lo notai subito, anche se era di spalle: la figura alta e slanciata dove correvo ogni volta che ne avevo bisogno. I suoi capelli rosso fuoco circondavano tutta la sua testa coperta da un cappello nero circondato da una fascia rossa. Avevo ancora il fiatone per la corsa, poggiai le mani sulle mie ginocchia chinando la testa per prendere fiato. Quando sollevai il capo incontrai i suoi occhi verde smeraldo e l'espressione incredula sul suo viso.

-Sei tornata?

-Si, sono tornata.

*Angolino dell'autrice*

Si, è tremendamente corto e io sono tremendamente in ritardo. Allora, piaciuto il colpo di scena? E chi sarà questo misterioso personaggio? Lo scopriremo nella prossima puntata!


Ok, scherzavo.


Vi volevo ringraziare per i numerosi voti e commenti, mi fa sempre più piacere che questa storia venga seguita!

Bacioni :-*

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