65. La promessa

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Ollie

Dopo aver dichiarato il mio amore a Emma davanti a tutti, niente più avrebbe potuto farmi provare vergogna. Infatti, non ne provai neanche un po' quando, dopo aver assolto i compiti da testimone, andai a supplicare la sposa per ottenere il permesso di usare la sua ex stanza. Avevo altre cose da dire a Emma e per alcune di queste serviva una dimostrazione pratica poco consona all'atmosfera di un matrimonio.

Non ci fu bisogno di chiederlo due volte a Beatrice. Per questo, stavo tenendo aperta la porta della sua ex camera a Emma che, invece, non era molto convinta.

«Sicuro che possiamo stare qua?». Mi chiese mentre mi richiudevo la porta alle spalle.

Mi tolsi la cravatta e la giacca del completo appendendola alla spalliera della sedia mentre Emma iniziò a camminare nervosamente per la stanza che, a parte un letto, una scrivania e una sedia, era completamente vuota.

«Ho il permesso della sposa». Le spiegai quando finalmente si voltò verso di me permettendo ai miei occhi di osservare ogni suo piccolo dettaglio.

Le labbra sottili, le ciglia lunghe, gli occhi grigi, i lineamenti dolci e rotondi... Non che ne avessi dimenticato qualcuno, ma dal vivo era uno spettacolo diverso.

Ci guardammo a fondo e attentamente, quasi non volessimo rovinare il momento ma avessimo entrambi il bisogno di passare a quello dopo.

Fu Emma a prendere la parola. «Ho immaginato questa scena miliardi di volte nella mia testa: tu di fronte me. Certo, nei miei sogni eri meno bello e non eri assolutamente vestito con uno smoking, che tra l'altro ti sta d'incanto, anche se ti preferisco in jeans, felpa e maglietta. A proposito, ho rubato una tua felpa e l'ho praticamente consumata indossandola ogni giorno, usandola perfino come pigiama. Poi mia nonna l'ha lavata a mia insaputa, perché a detta sua cominciava a puzzare del mio sudore, e io ho avuto una crisi perché non riuscivo più a sentire il tuo profumo. Così, ho pensato di andare a rubarne un'altra a casa tua ma Shinhai mi ha costretto a non farlo...».

«Emma...».

Emma scrollò la testa come per recuperare il filo del discorso che aveva interrotto. «Sì, scusa. Stavo dicendo: tu eri di fronte a me e mi dicevi di avermi perdonato».

«Ti ho perdonato». Puntualizzai ma sembrò che Emma avesse bisogno di proseguire.

«Di voler stare con me».

«Voglio stare con te».

«E di essere disposto a cancellare tutto quello che ti ho fatto. Non volevo farti soffrire, anche perché penso che quella che abbia sofferto di più sia io».

Impossibile, ma la lasciai parlare.

«Io pensavo veramente di agire per il tuo bene. Non volevo sentirmi il tuo personale impedimento. Mi faceva stare così male il pensiero che tu non partissi a causa mia. Se io non fossi malata, probabilmente avremmo fatto quel viaggio insieme».

«Ne faremo tanti altri». Dissi per evitare che continuasse a torturarsi con i sensi di colpa.

Quando abbassò gli occhi ancora mortificata, io feci un passo avanti, azzerando la distanza che intercorreva tra di noi.

«Non ti basta quello che ti ho detto?».

Emma annuì con decisione. «Penso fino alla prossima estinzione di massa».

«Bene». Le portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e lei chiuse per un momento gli occhi.

«Di solito nella mia immaginazione, dopo avermi detto tutte quelle cose, finivamo entrambi nudi e avvinghiati in modo davvero poco casto che neanche nei migliori porno in circolazione».

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora