10. Lo stratagemma

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Emma

«È una marquise dorata in stile rococò dal valore di duemila dollari. Lo sai che Divine si innervosisce quando mani profane toccano la sua merce». Rimproverai la mia amica che era stravaccata sulla marquise in questione, mentre io stavo inserendo nel catalogo online del negozio una scatola porta liquori francese stile boulle della seconda metà dell'ottocento in legno ebanizzato.

Era ridotta male - la marquise, non la mia amica - e probabilmente Divine non sarebbe riuscita a guadagnarci tutti quei soldi, se mai qualcuno fosse stato interessato.

«Rococò». Ripetè Shinhai scandendo le sillabe di quella strana parola. «Si mangia? Comunque, potrebbe essere anche il trono dell'ormai defunta Regina Elisabetta. È orrenda e in questo mausoleo non c'è neanche una sedia su cui sedersi e io sono stanca!». Si lamentò sprofondando ancora di più nella seduta.

Ma, quando Divine entrò nel negozio, scattò in piedi sfoderando un sorriso a trentadue denti.

«Chi rompe paga! Emma, ricordaglielo alla tua amica...». Divine le scoccò un'occhiata truce prima di sparire oltre la soglia del laboratorio, dove avrebbe passato il resto della mattina a fingere di portare avanti importanti trattative con i suoi clienti inesistenti.

In realtà, avrebbe passato il tempo a giocare a Candy Crush.

Neanche il tempo di sentire le note di una delle sue amate canzoni giapponesi risuonare dalla cassa JBL portatile che le avevo regalato per il compleanno, che Shinhai sprofondò di nuovo nella marquise, sdraiandocisi poco elegantemente.

«Allora, vediamo se ho capito: tua madre non ti fa uscire di casa neanche per venire da me, così dobbiamo vederci al negozio dove hai il permesso di andare perché ti accompagna personalmente lei». Annuii confermando il suo resoconto. «Come fa a essere certa che tu non te la darai a gambe?».

Distolsi lo sguardo dallo schermo di quel computer preistorico. «Papà ha fatto leva sul beneficio del dubbio che mi merito in quanto essere umano perfettibile. Perché tutti sbagliano ma meritano anche una seconda possibilità».

Fu la trattativa più lunga della mia storia personale. Se fosse stato per mia madre, sarei dovuta rimanere sepolta in casa fino all'inizio del semestre.

«Quindi, ci vedremo sempre qua?».

«Sì. La mia è estate non doveva essere così». Mi lamentai.

Shinhai si tirò su a sedere e mi guardò seria. «Sei finita in ospedale che neanche era iniziata l'estate astronomica. Ti sei fatta quasi un mese di ricovero ma ora guardati». Allargò le braccia e forzò un sorriso convincente. «A scartavetrare mobili come piace a te!».

Un tempo, il negozio di Divine era un pilastro dell'antiquariato. Ora, invece, somigliava più a un mercatino delle pulci: la discarica della città dove le persone portavano mobili, oggetti, cianfrusaglie di vario genere di cui volevano sbarazzarsi senza scocciature. Avevamo solamente una ventina di pezzi che potevano essere definiti di vero antiquariato, gli unici degni di essere catalogati.

Ma a me di quelli non interessava molto. A me piaceva tutta l'altra merce - come la chiamava Divine - che riempiva questo mausoleo - come lo chiamava Shinhai: librerie, settimini, specchi, mobiletti, cassapanche, cassettiere, bauli lasciati a marcire per anni in qualche cantina o soffitta e che ora aspettavano solo che io dessi loro una seconda vita.

Di solito, accadeva dopo una permanenza in negozio di almeno due mesi. Quando Divine si convinceva che non c'era più alcun speranza di vendita, mi dava il permesso di metterci mano. Così, un mobile da soggiorno degli anni settanta color legno tristezza invecchiata diventava un accattivamene, moderno e colorato pezzo unico nel suo genere e veniva venduto subito.

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora