63. Il matrimonio (1)

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Chi ha letto "Blu come il cielo di Roma" riconoscerà sicuramente QUESTO CAPITOLO, almeno una parte... 🫶🏻

Ollie

Se avessi potuto, oltre a quella cravatta di merda, mi sarei strappato di dosso anche le narici.

Possibile che riuscivo a sentire il suo profumo come se ce l'avessi ancora addosso? Come se le sua braccia fossero ancora strette intorno al mio collo, il suo naso sfiorasse la mia pelle mentre il mio affondava nei suoi capelli?

Mentre Emma mi dava il suo ultimo abbraccio d'addio, non ero riuscito a stare fermo e il mio capo si era piegato al solo scopo di sprofondare con il naso in quella matassa setosa per sentire un'ultima volta il suo profumo.

Avevo fatto un gigantesco sforzo di autocontrollo affinché le mie braccia non finissero intorno alla sua vita, altrimenti sarebbe finita male. Male nel senso che l'avrei scongiurata di tornare su quella poltrona e restarci per sempre.

Per questo, le avevo pacatamente intimato di allontanarsi da me.

Serrai la presa delle mie dita che trafficavano con la cravatta e parlai al solo scopo di non essere divorato da quel silenzio logorante che mi costringeva a pensare esclusivamente a lei.

«Come ti senti?». Domandai a David, impegnato anche lui con il nodo alla cravatta.

«Io bene. Tu?».

«Se solo questa cazzo di cravatta...». Sbuffai di fronte alla mia immagine riflessa nello specchio.

«Vieni qua». Mi ordinò e, dopo un sospiro che sarebbe riuscito a pesare anche più mille parole pronunciate, mi avvicinai a David permettendogli di aggiustarmi il nodo.

Odiavo vestirmi così, anche se non quanto sentirmi in quel modo. Il pensiero che Emma si stesse preparando a sorvolare l'Oceano Atlantico, mentre io ero tutto in tiro pronto a fingere che andasse tutto bene perché mai avrei rovinato il giorno del mio migliore amico, rischiava di lasciarmi senza respiro.

«Tuo padre non aveva detto che saremmo stati in pantaloncini corti e maglietta?». Mi lamentai spazientito mentre lui continuava a torturarmi con il nodo.

«Sì. Ma poi mia madre e Eleonor si sono coalizzate affinché non accadesse. Fatto».

Finalmente mi lasciò libero.

Senza farmi vedere da David, diedi uno sguardo all'orologio da polso che Penelope mi aveva costretto a indossare. Mancava poco e lei sarebbe partita.

Sbuffai un'altra volta e me lo tolsi. Lo buttai sulla prima superficie che trovai e iniziai a camminare avanti e indietro per la stanza.

Mi sentivo soffocare, quel maledetto nodo alla cravatta non aiutava assolutamente, David non parlava e io non sopportavo il silenzio.

«Non sei agitato? A me manca l'aria qua dentro». Mi lamentai allentando nuovamente il nodo alla cravatta.

David mi lanciò uno sguardo enigmatico, poi si poggiò alla parete della stanza con le braccia conserte.

«No. Perché sono sicuro di quello che sto facendo, al contrario tuo».

Cercai di ignorare il tono di sfida con cui aveva pronunciato quell'allusione, ma non potei essere certo di non avergli scoccato un'occhiataccia.

Trovai anche io qualcosa su cui poggiarmi finendo proprio di fronte a lui. «Se lo dici tu».

«Starei meglio se tu non avessi quella faccia».

«È la mia».

David sospirò. «Senti, io mi sento in dovere di non fare la stessa cazzata che hai fatto tu con me all'epoca».

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora