23. L'approccio

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Emma

Shinhai era partita da una settimana. Sarebbe stata via per il resto del mese e io mi sentivo tremendamente sola.

Visto che ormai vivevo in casa di Ollie dove non c'erano regole se non quella per cui io non dovevo rompere a lui e lui non rompeva a me - anche se avrei voluto che invece lui lo facesse - avevo potuto passare con lei tutto il giorno prima della sua partenza e addirittura andare a salutarla all'aeroporto.

Al mio ritorno, nessuno mi chiese dove fossi andata, anche perché non c'era nessuno ad aspettarmi a casa.

Ollie non c'era mai. Lo incrociavo giusto di mattina. Ormai, mi ero fatta coraggio e uscivo dalla stanza appena sveglia. Di solito, scendeva mentre io stavo facendo colazione, già lavato e vestito - il profumo dei suoi capelli appena lavati mi dava alla testa anche più della sua presenza - poi prendeva velocemente qualcosa da mangiare dal frigo e spariva per fare ritorno quando io ormai dormivo già da un pezzo.

Le poche volte che era a casa la sera, c'erano sempre anche i suoi amici e, sebbene Ben mi chiedesse di rimanere con loro, io mi tenevo a debita distanza, visto che Ollie non tollerava la mia presenza.

Penelope, invece, era a casa solo quando non stava con il fidanzato. Eravamo entrate in una sorta di routine in cui almeno un pasto lo facevamo insieme. Se lei cucinava, io lavavo e viceversa. Era anche capitato che fossimo andate a fare la spesa insieme.

La casa sembrava riuscire a mantenere uno stato di ordine e pulizia accettabile. Penelope mi aveva confessato di aver visto persino Ollie lavare i piatti.

I miei genitori si erano messi l'anima in pace, soprattutto mia madre, che non mi chiamava più una volta all'ora sapendo comunque che non avrebbe ricevuto alcuna risposta e io non ero ancora pronta a pensare a cosa fare della mia vita, a come proseguire il piano.

La fase tre poteva aspettare settembre, come tutte le altre faccende della vita che non possono essere risolte nel bel mezzo dell'estate. Così, passavo le giornate impiegando il mio inutile tempo a scartavetrare mobili.

Era un qualunque giorno infrasettimanale di metà agosto e io stavo passando l'impregnante seduta in ginocchio sul prato davanti casa di Ollie. Il cielo era nuvoloso e Earl aveva tolto da poco la musica.

Quando il telefono squillò, fui sollevata di leggere sullo schermo il nome di Penelope e non quello di mia madre.

Non feci in tempo ad avvicinare il telefono all'orecchio che l'entusiasmo di Penelope mi contagiò.

«Stasera andiamo a divertirci!». La sua voce che vibrava di entusiasmo  si percepiva lontana ed era disturbata da un rumore fastidioso. Probabilmente, aveva l'altoparlante e i finestrini abbassati.

«È partito?». Le chiesi mentre spennellavo la superficie ruvida del legno.

«Sì. Quindi questa sera usciamo».

Non me ne intendevo molto di relazioni, ma quella tra Penelope e il suo fidanzato dal doppio cognome mi sembrava sempre più strana. Penelope sembrava molto innamorata ma anche più che felice quando lui se ne andava in Svizzera dai parenti, tra cui vantava anche anche una consanguineità con la famiglia Schumacher. Scherzava dicendo che, quando lui non c'era, lei fosse in ferie e potesse fare tutto quello che volesse, come trascorrere del tempo con persone che non fossero Ashton Benjamin Schneider.

«Facciamo una puntatina al Dylan & Dog e poi ci spostiamo da Gin and Hop dove ci sono Chase e gli altri».

La mia mano si bloccò. «Non posso venire al Dylan & Dog!». Le ricordai mentre l'impregnante colava dalle setole del pennello.

Come le ali di una farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora