Capitolo 7

450 29 3
                                    

A metà novembre, ottenni un colloquio di lavoro. Non era un lavoro vero e proprio, più un tirocinio, ma era presso una delle più importanti case editrici scozzesi, lo stipendio era soddisfacente e avrei potuto maturare una certa esperienza sul campo. Non avevo intenzione di diventare un editore, ma forse avrei potuto acquisire conoscenze utili per quando avrei iniziato a lavorare alle mie opere teatrali. In questo tipo di ambienti, era importante conoscere persone che potessero aprirti le giuste porte.

Il colloquio si svolgeva a Edimburgo quindi, un martedì mattina, salii sullo stesso bus che mi aveva portato al campus il primo giorno e tornai in città. Scesi alla stazione, tremando per il vento freddo. Fortunatamente, il posto non era troppo lontano; Queen Street era a circa dieci minuti a piedi e l'edificio era proprio accanto alla Portraits National Gallery.

Quando arrivai, fui accolto alla reception da una donna di mezza età vestita con un completo verdognolo. Mi guardò con un sorriso educato e mi accompagnò all'ascensore dopo che le diedi il mio nome. «Secondo piano, tesoro», disse, per poi tornare alla sua scrivania. Il secondo piano era un open space, con alcuni uffici e una sala riunioni dietro una parete di vetro. Proprio lì dentro, c'era un uomo che immaginavo stesse aspettando me; appena mi vide avvicinarmi, infatti, mi fece cenno di entrare.

«Buongiorno.» Gli strinsi la mano e mi sedetti sulla sedia di fronte a lui.

«Buongiorno, ragazzo. Mi chiamo Samuel, ma puoi chiamarmi Sam.»

Sam aveva un forte accento delle Highlands e l'atteggiamento amichevole tipico di uno scozzese. Aveva corti capelli bianchi e una lunga barba grigia; i suoi occhi azzurri sembravano piccoli dietro gli occhiali e il suo profumo mi ricordava il legno bagnato degli alberi nella foresta dopo la pioggia. Era vestito in modo informale; una maglietta e dei jeans di lana grigia. Mi sembrò quasi di essermi vestito troppo bene, con il mio dolcevita nero e i pantaloni bianchi, anche se avrebbe dovuto essere un incontro professionale a tutti gli effetti. Per l'occasione portavo i capelli tirati all'indietro con del gel, sistemati in un ciuffo alto, e avevo rubato un po' del profumo di Christian; delicato al naso, niente a che vedere con quello che usavo di solito.

«Grazie per avermi ricevuto.» Incrociai le gambe e aspettai.

«Ma certo. Hai un curriculum accademico impressionante.» Sam ridacchiò come se avesse appena fatto una battuta divertentissima. «Perché non mi parli un po' di te?»

Lo accontentai. Raccontai a Sam tutto ciò che avrebbe potuto trovare interessante su di me, presentandomi nel miglior modo possibile. Lavoravo sodo? Sì. Mi trovavo bene a lavorare con altre persone? Decisamente. Ero affascinato dal mondo dell'editoria? Ovviamente. In quel momento, diventai tutto ciò che voleva che fossi.

«Ricordami quale università frequenti», chiese alla fine.

«St. Joshua's College.»

«Oh, giusto. Mi sembrava familiare. Non sei il primo studente del St. Joshua a cui ho fatto il colloquio.»

Inarcai un sopracciglio. «Posso chiederle chi è l'altra persona?»

In una chiacchierata di venti minuti, Sam aveva sicuramente appreso molte cose su di me, ma anche io avevo acquisito qualche informazione su di lui. Ero giunto alla conclusione che Sam fosse stupido. Quello, oppure la vecchiaia gli stava giocando brutti scherzi. Sicuramente non pensava prima di parlare, e spesso sembrava confuso, come se non fosse sicuro che stesse dicendo la cosa giusta; continuava a farmi le stesse domande e sorrideva come se non avesse idea di cosa fare con la sua faccia. Non sapevo se mi stesse davvero ascoltando o se fosse perso nella sua testa. Quindi, di conseguenza, Sam fu così stupido da rispondere davvero alla mia domanda, anche se per motivi di privacy non avrebbe dovuto.

Gilded Cage - L'illusione della libertàWhere stories live. Discover now