Capitolo 6

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Alexi aveva preso l'abitudine a infilare gli inviti sotto la mia porta. Questa volta si trattava di un invito a una festa di compleanno. La sua festa di compleanno. Compieva ventidue anni. Avevamo la stessa età. Il biglietto era un rettangolo di carta spessa, color crema; con la sua consueta grafia perfetta, mi chiedeva di unirmi a lui quella sera nella Sala Comune del Dipartimento di Inglese per festeggiare.

Quando arrivai alle otto, vestito con i miei abiti migliori, la sala era già piena di persone che non conoscevo. Tutti erano già ubriachi e ballavano al ritmo della musica proveniente da un giradischi. La luce era fioca e l'aria puzzava di erba. Visto che non riuscivo a vedere Alexi da nessuna parte, afferrai da bere - qualcosa di marroncino in un bicchiere di plastica - e mi misi alla ricerca di un volto familiare. Appena notai Christian, mi lanciai verso di lui. Stava parlando con un ragazzo biondo che non avevo mai visto.

«Ehi», dissi.

«Oh, ciao.» Christian sembrò preso dal panico, come se lo avessi sorpreso a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare. Le sue guance erano di una leggera sfumatura rosa, e non sapevo se fosse a causa dell'alcol o se fosse semplicemente imbarazzato. «Sei venuto.»

«Sì. Prima dovevo finire di leggere qualcosa per Storia.»

«Storia?» chiese lo sconosciuto.

«Storia del teatro.» Gli offrii la mano. «Benjamin.»

«Henry. Henry McGee», disse lui, con un forte accento di Glasgow. «Sono il capitano della squadra di rugby.»

Oh. Quindi ce l'abbiamo una squadra di rugby.

Henry era più alto di me, forse anche più alto di Alexi, con un grosso naso e occhi scuri. Indossava un maglione bianco con la scritta Rugby St. Joshua in nero sul petto e pantaloni grigi. Non sembrava troppo muscoloso, ma era decisamente più grosso di qualsiasi altro ragazzo che avessi visto in giro. La presa sulla mia mano era forte e sicura, come ci si aspettava da qualcuno che portava sulle spalle la reputazione della scuola. La gente in Gran Bretagna era stranamente ossessionata dal rugby, forse tanto quanto lo era dal calcio. Non io, e non pensavo che lo fosse nemmeno Christian, ma lui era decisamente interessato a Henry.

«Come vi conoscete?» domandai.

Il sorriso sul volto di Henry vacillò. «Non ci conosciamo. Stavamo solo parlando.»

Christian guardava il pavimento, rigirando il suo bicchiere tra le mani.

«Come vi conoscete voi?» chiese Henry, avvicinandosi a me. Annusai la sua colonia, un profumo pungente di liquirizia che mi fece venire un conato di vomito.

«Frequento Folklore con lui.» Provai a fare un passo indietro, ma Henry mi seguì. Christian ci osservava con un'espressione desolata.

«Folklore? Non è il modulo con quel lunatico? Rober-qualcosa.»

Inarcai un sopracciglio. «Jamie non è un lunatico.»

«Se lo dici tu.» Henry scrollò le spalle e appoggiò una delle sue grandi mani sul mio braccio. «Tu sembri abbastanza normale.»

«Hen, basta.» La voce di Christian fu così improvvisa che ci sorprese entrambi.

«Chi cazzo pensi di essere per dirmi cosa fare?» biascicò Henry. Solo allora mi resi conto che fosse chiaramente ubriaco. Quando cercò di afferrare Christian, lo presi per un braccio e lo spinsi via.

«Non toccarlo.» Mi frapposi tra loro due. Sentii Christian muoversi dietro di me.

«Oh. Capisco. La bimba qui ha un fidanzato, eh? Non è vero, Cristina?»

Gilded Cage - L'illusione della libertàWhere stories live. Discover now