15. Esasperante Cameratismo Grifondoro

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Sala comune, 18 settembre 1999


Quel pomeriggio prima di cena, Hermione stava spiluccando una tavoletta di cioccolato davanti al camino della sala comune, la penna in mano mentre finiva di scrivere il saggio di Storia della Magia per la prossima settimana. Contemporaneamente, si esercitava a liberare la mente come aveva provato con Malfoy nelle ultime tre lezioni di Occlumanzia.

Acciuffava e lanciava pensieri come se fossero palline da tennis legate a una racchetta, li faceva rimbalzare, studiandoli da ogni angolo, quali emozioni le trasmettessero e poi, una volta catalogati, come suggerito dal Serpeverde, li allontanava via, come se ponesse dei libri su uno scaffale. Talvolta quei volumi venivano sputati indietro da una magia invisibile e si ritrovava ad annegare in essi, un pulsante mal di testa minacciava di ridurle il cervello in poltiglia, ma lei non mollava e sempre dietro suggerimento di Malfoy, che dopo la lezione di quel giorno l'aveva vista stremata e claudicante, per ricaricare le energie e continuare con le sue esercitazioni aveva iniziato a mangiare cioccolato. Perciò procedeva con determinazione.

Erano state insolite quelle lezioni, ritrovarsi dall'altra parte a farsi impartire ordini dal biondo, ma come lui si stava dimostrando inflessibile durante il tutoraggio, lei non avrebbe fatto da meno. Tra i due era pur sempre lei la migliore studentessa e nonostante qualche volta lui si fosse sollazzato in quello scambio di ruoli, lei non aveva mai ceduto, anche quando le tirava fuori ricordi spiacevoli. Anche se, almeno per il momento, non si era nemmeno avvicinato a quello che era successo al Manor, sebbene, più di quanto volesse, Hermione aveva tenuto quella porta aperta per tutto il tempo, come un fermo immagine da cui lui rifuggiva pedissequamente.

«Devi chiudere tutto» aveva detto a denti stretti appena sgusciò via dalla sua mente.

«Ci sto provando» aveva ribadito lei con la stessa foga segnandosi il palmo con l'impugnatura della bacchetta per quanto la stringeva. Si sentì tremare le ginocchia e si avvicinò a una sedia su cui collassò prima di cadere sui suoi stessi piedi. «Ne sono ancora terrorizzata» mormorò col cuore a mille, come se fosse ancora distesa su quel tappeto sotto le sue torture.

«Forse il problema è proprio questo» disse lui al centro dell'aula osservandola. «Non sei una che scappa davanti alla paura.»

«Grazie.»

«Non era un complimento, Granger. È per sottolineare quanto tu sia stupida» disse duro. Gli avrebbe assestato un'occhiataccia se non avesse avuto lo stomaco in subbuglio.

«Prima o poi dovrai fermarti e fare un passo indietro davanti al pericolo.»

«Non sono così sprovveduta come mi dipingi, sai?»

«A me non sembra, da quello che ho visto finora. Un drago, Granger? Sul serio?» ribadì. Era da quando l'aveva vista cavalcare il drago dopo la fuga dalla Gringott che non faceva che darle della stupida. Sconsiderato eroismo Grifondoro, aveva detto. Per non parlare di quando l'aveva vista trasmutarsi in Harry prima che inneggiasse una battaglia con i Mangiamorte nei cieli del Surrey. Lì le aveva dato della cretina dissennata senza alcuno spirito di autoconservazione. O quando aveva provato a battersi contro Dolohov all'Ufficio Misteri. Lì aveva detto cose sul nome del buon vecchio Godric che non aveva nemmeno il coraggio di ripetere a mente. C'era da dire che il repertorio di insulti sulla sua Casa di appartenenza non aveva una fine.

Sbuffò e provò a rialzarsi. «Forza, continuiamo.»

«No, prenditi cinque minuti» la fermò notando come si reggesse allo schienale per darsi equilibrio sulle gambe traballanti.

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