6. Un'ombra tra luce e oscurità

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Biblioteca, 3 settembre 1999

L'odore di pelle dei libri antichi insieme alla polvere che ormai era diventata un tutt'uno con le superfici della Biblioteca, le invadeva le narici mentre il frusciare delle piume sulla pergamena era l'unico suono che poteva percepire intorno a sé.

Aveva trovato un tavolo abbastanza isolato, ma nemmeno troppo appartato, quella giusta misura di privacy per non avere distrazioni ma che non li avrebbero esclusi totalmente in mezzo agli scaffali e neppure tentato l'ira funesta di Madama Pince, la bibliotecaria, perché avrebbero disturbato la tranquillità della sala se si fossero messi a litigare. Dalla finestra con i vetri colorati alla sua destra, i raggi del sole che stava tramontando spargevano giochi di luce verdi e rossi sulle pergamene che aveva disposto sul tavolo.

Le era mancato tutto di quella sala.

In quelle interminabili giornate nella tenda insieme a Harry e Ron, mentre studiava e decifrava le rune che le aveva lasciato in eredità Silente dopo la sua morte, più volte si era lasciata andare ai ricordi sensoriali di quel luogo così familiare. Ogni volta che aveva sfogliato una pagina, s'immaginava uno studente dietro di lei mentre faceva frusciare gli appunti per un saggio d'Incantesimi del giorno dopo. Ogni volta che intingeva la penna nel calamaio, ascoltava il ticchettio della pioggia contro i vetri delle finestre mentre lei era al caldo a cercare tra gli scaffali un libro che approfondisse la guerra tra i giganti del XVIII secolo. E quando era il suo turno indossare il medaglione di Serpeverde, pur di non soccombere sotto l'influenza dell'Horcrux, aveva rievocato tra le dita la sensazione dei libri oscuri che aveva scoperto nella sezione proibita. Anche quando era sotto le grinfie di Bellatrix si era rifugiata lì, forse proprio sotto a quel tavolo. Ricordava vagamente i colori dei vetri che si riflettevano sulla pietra bianca del pavimento dove si era accovacciata.

Quel luogo era il suo tempio ed evocando quelle sale mentre viveva i suoi momenti più bui, le aveva permesso di ritornarci con la mente lucida e non troppo compromessa.

Lei apparteneva lì.

La figura di Malfoy apparve nel suo campo visivo e seguì il suo incedere finché non si arrestò di fronte a lei e scostò la sedia facendo stridere i piedi sulla pietra. Se il suo era un modo per sottolineare quanto fosse seccato, non gli parve sufficiente per l'espressione che assunse appena si sedette.

«Sei in ritardo.»

«Sono le cinque.»

«Sei minuti fa erano le cinque. Ergo, sei in ritardo» rovistò nella borsa e gli porse una fialetta. «Applica mezza goccia su ogni taglio. Entro stasera scompariranno anche le cicatrici.»

«Non mi serve l'essenza di Dittamo.» Il taglio che cadeva trasversalmente sul sopracciglio sembrò allargarsi quando assottigliò lo sguardo su di lei. «E di certo non prendo nulla creato da te, dopo quello che mi hai fatto.»

«Sei tu che ti sei tagliato con della semplice pergamena.»

«La tua semplice pergamena mi ha aggredito. Per poco i tuoi maledetti uccellini non mi tagliavano la testa!»

«Hai una bacchetta, Malfoy. Potevi difenderti.»

«Non mi hai reso il complito semplice siccome ne ero sommerso.»

«Questo significa che dobbiamo lavorare anche sugli incantesimi base di difesa» si appuntò quella voce sul programma di studio sotto il suo sguardo irritato. «Applica l'essenza e bada a non farla finire negli occhi» disse piazzandogliela davanti.

«Hai dei rimorsi, Granger?»

«Affatto, ma vedendo quanto sei delicato, non vorrei che ti dissanguassi per negligenza.»

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