Capitolo 18 - La Quarta Strada

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Tra le ragazze, Raine era l'unica a sapere della Quarta Strada. Cos'era, chi c'era, dove si svolgeva. Le informazioni gliele aveva date Jules, coinvolto in questa storia per merito di Sean.

Così, quella sera, quando Nathalie e Raine giunsero con l'auto di quest'ultima a un lago fuori dai confini di Milton, la bionda assaporò con la vista il territorio formato da percorsi e dossi di terriccio, segnati dalle ruote.

Corse clandestine con le moto e le auto. Ecco di cosa si trattava.

C'erano tanti ragazzi, sia liceali che universitari. Stavano seduti o poggiati contro le loro macchine, bevevano birra da lattine o bottiglie nascoste dentro sacchetti marroni. Per combattere il buio della notte, erano stati accesi un paio di falò.

Nat rabbrividì nel suo lungo giaccone e storse il naso per la puzza di marijuana. «Perché si chiama Quarta Strada?»

Prima che Raine riuscisse a fiatare, una voce glielo spiegò. «Secondo la scuola pitagorica, il movimento scientifico e quello filosofico, il tre è un numero perfetto». Jules teneva le mani nelle tasche della felpa arancione. «Il tre, nella teoria dei numeri, raffigura la superficie. Il limite. Quello che noi intendiamo superare. Siamo la strada che non sceglieresti mai. Quella che eviti, che ti sconsigliano di prendere».

Nat sogghignò. «Corri anche tu?»

«Ogni tanto, ma vengo qui principalmente per la musica e per stare in compagnia». Si inchinò davanti a Raine. «Buonasera, Pioggerellina».

Raine portò gli occhi al cielo e scosse la testa, fingendo antipatia.

«Che diavolo ci fa lei qui?»

I sensi di Nat si risvegliarono. Sean aveva attirato l'attenzione su di loro involontariamente. Si era rivolto a Jules, ma fissava Nathalie come se volesse scuoterla violentemente.

Lei mise le braccia conserte. «Sono stata invitata. Che c'è, la mia presenza è troppo da sopportare per te?»

La sua domanda retorica scatenò qualche risolino.

Sean si fece largo tra la folla e, piantandosi di fronte a Nat, guardò male Raine. «L'hai portata tu qui. Riaccompagnala a casa. Questo posto non fa per lei».

Nat gli artigliò la mascella e lo costrinse ad affrontarla. «Non parlare di me come fossi una ragazzina o un pacco da rispedire al mittente. Voglio restare e tu non puoi impedirmelo».

Credeva di poterle mettere i piedi in testa? Povero illuso.

Un ragazzo mise un braccio intorno alle spalle di Sean. «Amico, che problema c'è? Se vuole restare, che lo faccia».

Sean lo scansò e avvicinò la faccia a quella di Nat. «Io non la voglio qui».

Il tono disgustato nella sua voce provocò la nausea alla ragazza. Lei perse la sensibilità agli arti per qualche secondo. Riuscì a sentire solo le proprie pulsazioni e il rombo dei motori delle due Mustang che stavano gareggiando in quel momento.

Raine poggiò la mano sul petto di Sean per allontanarlo dall'amica. «Piantala di fare lo stronzo, Foster».

Il sorrisetto bislacco del bruno fece intendere a Nat che aveva appena iniziato a fare lo stronzo. «Che vuoi che ti dica, Hampton? Non è colpa mia se la tua amichetta non riesce a starmi alla larga. Se stasera farà la brava bambina e tornerà presto a casa, forse potrei considerare di darle una botta o due».

I versi svagati del loro pubblico fecero venire voglia a Nat di seppellirsi viva.

Gli andò contro, pronta alla sfida. «Te la darò io una botta degna di questo nome. Cosa ti fa credere che ti concederei di toccarmi?»

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